Imparare a gestire in modo corretto la tecnologia. L’uso eccessivo dello smartphone, infatti, può giungere ad interferire con la normale routine quotidiana.
Secondo uno studio di Pew Research Center, l’85% degli anziani statunitensi di età superiore ai 65 anni possiede un telefono cellulare, il 40% di loro ha un telefono di vecchia generazione e il 46% ha uno smartphone.
Anziani e dipendenza da smartphone: un tema che si inserisce perfettamente in un quadro che già allarma, poiché le malattie da rete non sono appannaggio esclusivo di giovani e giovanissimi.
Parliamo di patologie digitali come la sindrome da iperconnessione tecnologica e l’isolamento sociale, la Nomofobia (termine che deriva dall’acronimo “NO Mobile Phone PhoBIA” e sta ad indicare il terrore di non essere raggiungibili e di non poter usare il proprio dispositivo), la Fomo (“Fear of Missing Out”), dunque sia l’ansia inerente la possibilità che gli altri possano vivere delle esperienze gradevoli e appaganti da cui si è assenti sia la volontà incessante di essere in contatto con gli altri mediante i social. E ancora, la dipendenza da internet abbraccia il Phubbing – termine che nasce dalla fusione delle parole “phone” e “snubbing” (snobbare) –, ovvero l’atto di disinteressarsi del proprio interlocutore in un contesto sociale concentrandosi sul proprio smartphone, e il Vamping, la pratica di restare svegli fino all’alba condividendo dei post, delle foto, dei meme ma anche giocando, guardano video o – più banalmente – scrollando tra i feed della propria rete sociale.
Dipendenza digitale in aumento tra gli anziani: lo studio giapponese
Va da sé che un utilizzo patologico ed eccessivo di smartphone tra gli anziani può giungere ad interferire con le canoniche attività quotidiane (fare la spesa, passeggiare da soli o con altri, ritirare una ricetta medica, recarsi in farmacia, leggere un libro, pagare le bollette) e sempre più di frequente molti adulti, spesso over 65, adottano gli stessi comportamenti della popolazione adolescente rispetto all’uso dei dispositivi e della rete.
C’è di più. Lo psichiatra giapponese Hiroyuki Yoshitake ha mostrato, in una serie di articoli scientifici, come la dipendenza da smartphone tra chi ha già spento 65 candeline sarebbe correlata a un declino delle funzionalità cognitive nonché della capacità di elaborare informazioni . Direttore sanitario di una clinica a Yamato, città della prefettura di Kanagawa, Yoshitake ha osservato che mentre i giovani tendono per lo più a essere “dipendenti” da giochi online, gli anziani sembrano non potere fare a meno di scorrere rapidamente i contenuti in rete e, soprattutto, sui social network per trovare qualcosa da vedere.
La dipendenza da smartphone negli over65 sarebbe correlata a declino delle funzionalità cognitive e della capacità di elaborare informazioni
In Giappone, i dati resi noti dal Ministero degli Affari Interni e delle Comunicazioni lasciano spazio a pochi fraintendimenti: nel Paese del Sol Levante oltre l’80% delle persone di età pari o superiore a 60 anni utilizza uno smartphone (quasi quanto il 90% di coloro che hanno tra i 20 e i 30 anni). Inoltre, la percentuale di anziani che utilizza un dispositivo mobile supera quella di chi guarda la tv (67%) o di chi usa un pc (60%).
Yoshitake rimarca quanto siano sempre di più le persone anziane dipendenti da smartphone a causa del loro crescente senso di isolamento man mano che invecchiano: in Giappone gli anziani si stanno rapidamente avvicinando al 30% della popolazione totale, con il 17% degli uomini e il 23% delle donne che vivono da soli. Rivolgendosi a queste persone, raccomanda: “Piuttosto che trascorrere un’esistenza virtuale, impegnatevi nella società con gli amici e i familiari”. Senza dimenticare che il Giappone, ancora nelle parole dello psichiatra, vanta il maggior numero di letti al mondo nei centri dedicati alla cura delle dipendenze da internet, e che il ricovero medio presso tali strutture (circa 400 giorni) è sensibilmente più lungo rispetto ad altre analoghe realtà internazionali.
Sul tema anziani e dipendenza da smartphone parla Paola Federici, psicologa e psicoterapeuta, che sul suo blog ha dedicato un post all’argomento (“Internet dipendenza, ma anche gli over 60 ne sono vittime?”): “Come sappiamo, in Giappone il lavoro assorbe tante ore della giornata per l’intera vita, non lasciando molto tempo alle attività di svago e agli interessi personali. A 65 anni, improvvisamente, i neopensionati si trovano a dover riempire le giornate dopo una vita spesa in ufficio. Forse non hanno hobbies, non hanno potuto coltivare le proprie passioni e possono così scivolare in progressivi stati di depressione per non saper come riempire il loro tempo. Di qui il passo verso un progressivo decadimento cognitivo ci può stare”.
Fermo restando che “ciò accade comunque e dappertutto, ma in altre culture la famiglia, il ruolo dei nonni che dopo l’orario scolastico accudiscono i nipoti, sono ancora prevalenti. Come nel sud europeo, Italia compresa”, la dottoressa Federici individua nei casi affrontati dagli articoli scientifici di Yoshitake “un’analogia con il fenomeno degli Hikikomori, la condizione dell’autoisolamento sociale degli adolescenti giapponesi – il cui unico contatto sociale mantenuto avviene tramite internet – di cui si parla in modo diffuso”. Ragione per cui, “non posso essere del tutto d’accordo con la motivazione dello studioso giapponese. Il decadimento cognitivo potrebbe essere una delle concause, a mio parere, anche perché non tutti gli over 65 hanno un decadimento importante a livello mentale”.
Malattie da rete sempre più diffuse, lo stato dell’arte in Italia
Sono distanti, comunque, i tempi in cui ci si collegava alla rete per cercare ciò di cui si aveva bisogno per poi tornare (a stretto giro) offline. Oggi gli utenti internet in tutto il mondo, Italia inclusa, sono “always on” – sempre connessi – e intendono il restare collegati come una condizione stabile delle proprie giornate.
Il report AGI-Censis “L’insostenibile leggerezza dell’essere digitale” riporta che il 77,7% degli italiani manifesta difficoltà a dormire la notte in quanto fatica a separarsi dal dispositivo tecnologico (che il 61,7% usa anche a letto). Complessivamente, un quinto della popolazione adulta (oltre il 20%) riconosce di essere dipendente da internet e l’11,7% di andare in ansia se si ritrova in un luogo privo della connessione.
Oggi gli utenti internet in tutto il mondo sono sempre connessi: in Italia oltre il 20% degli adulti riconosce di essere dipendente dalla rete
E ancora, il 63% degli italiani controlla i propri profili social come prima attività quotidiana dopo la sveglia e il 34,1% lo fa anche a tavola. Gli stessi social, che in principio hanno consentito di ricontattare vecchi amici e conoscenti (oppure allacciare nuovi rapporti), sempre più spesso divengono un surrogato delle conoscenze e delle frequentazioni che avvengono di persona.
“Ai nostri giorni, dopo il pensionamento, gli anziani possono disporre di molte offerte di attività sociali, organizzate dai comuni e da associazioni per il tempo libero”, riprende la dottoressa Federici. “In campo culturale, artigianale o sportivo: c’è solo l’imbarazzo della scelta tra i tanti corsi offerti, i pomeriggi culturali, le visite a mostre d’arte e musei. Per non parlare delle gite, anche di un solo giorno, in pullman organizzati – prosegue –, tutte attività aiutano anche a livello cognitivo ed evitano l’isolamento sociale”.
Sulla condizione che colpisce il regolare funzionamento delle principali funzioni cognitive, come affermato da Yoshitake, la psicologa e psicoterapeuta conclude: “Credo che a favorirla sia l’abbandono improvviso degli impegni di una vita. Non parlo solo di quelli lavorativi, ma anche famigliari, i figli adulti ormai fuori casa”. Da qui l’importanza di ritrovare un proprio equilibrio, riconoscendo e spezzando i meccanismi che creano dipendenza, ripristinando i giusti ritmi sonno-veglia e attribuendo spazi consoni alle relazioni interpersonali.