Dal mese di aprile Manuela Bertaggia è la Presidente di FAND, l’Associazione Nazionale Diabetici, un’associazione che si impegna a rendere visibili i bisogni delle persone con diabete, contribuendo a semplificare loro – per quanto possibile – la vita. E a garantire pari diritti non solo nell’accesso ai farmaci, ma anche in tutti gli aspetti che riguardano la vita quotidiana.
Bertaggia da anni è una presenza fissa nel consiglio direttivo di FAND e ha rivestito la carica di vicepresidente dal 2021. Tra i suoi cavalli di battaglia, la proposta di legge per il Diabetico Guida e una revisione della patente più equa e in linea con le innovazioni tecnologiche per la gestione del diabete.
Quali sono i bisogni non ancora pienamente soddisfatti delle persone con diabete?
«Per la persona con diabete il bisogno più grande è quello del target glicemico, riuscire cioè a rimanere in un range di glicemia appropriato. Un obiettivo che purtroppo molte persone non riescono a raggiungere, pur avendo a disposizione tecnologie e farmaci. Questo accade perché manca una gestione clinica più efficace e soprattutto personalizzata. Tutto questo necessita di tempo che purtroppo gli operatori sanitari non hanno più. Il tempo serve perché è necessaria l’educazione terapeutica. Questo, nel nostro caso, si traduce nella conta dei carboidrati oppure, nel caso del diabete di tipo 1, in una buona educazione sull’alimentazione. Occorre poi parlare degli stili di vita: tutti elementi essenziali, che richiedono del tempo.
L’educazione terapeutica è necessaria affinché tutti riescano a raggiungere il proprio target glicemico. Per farlo serve tempo, che è una risorsa che scarseggia tra gli operatori sanitari
Affinché tutti raggiungano un target glicemico nuovo, inoltre, occorrerebbe garantire un accesso equo a farmaci e tecnologie innovative. Anche questo manca, perché esiste un divario tra Nord e Sud per quanto riguarda i tempi e le modalità e tutto questo non è equo.
Infine, abbiamo bisogno di un team multidisciplinare allargato, come dicono le linee guida. Che comprenda certamente il diabetologo e l’infermiere, ma anche un dietista dedicato, che conosca la conta dei carboidrati, che per noi è la bussola. Infine, il supporto psicologico, perché ci sono momenti, come l’esordio della malattia o i cambi di terapia, in cui serve un accompagnamento di questo tipo.
I pazienti infine dovrebbero essere più coinvolti nel percorso di cura, affinché si instauri una reale alleanza terapeutica con il medico».
Qual è l’importanza di associazioni come la vostra a fianco delle società scientifiche?
«Ci sono due modi per collaborare con le società scientifiche: una è quella politica, che si esercita nei tavoli istituzionali delle Regioni. Abbiamo visto che quando pazienti e specialisti riescono a fare fronte comune, si ottengono più cose. L’altra via è quella della collaborazione sul campo: FAND per esempio ha ideato la figura del Diabetico Guida, un corso realizzato in collaborazione con la SID (Società Italiana di Diabetologia) e l’AMD (Associazione Medici Diabetologi). Si tratta di undici lezioni spalmate in tre mesi e certificate da queste due società. Per contro, noi diamo loro una mano nelle Diabetologie, per tutto quello che attiene la comunicazione delle caratteristiche della malattia e l’empatia con il paziente. Il Diabetico Guida ha il compito di rispondere alle domande che i pazienti si vergognano a porre a un camice bianco, come il differente impatto sulla glicemia tra pasta e riso, per esempio. In questo senso il Diabetico Guida può far crescere l’aderenza terapeutica grazie al suo esempio: il paziente si fida di lui o di lei perché sa che ci è passato in prima persona. Per questi motivi a nostro avviso l’alleanza con le società scientifiche è importantissima».
Quali le sfide e gli obiettivi del suo mandato?
«Sono principalmente due: la revisione della patente e la proposta di legge sul Diabetico Guida. La prima è normata da una circolare europea datata che prevede, per il rischio medio, un rinnovo ridotto rispetto alla popolazione non diabetica. Ma da quel momento ad oggi abbiamo assistito a una rivoluzione nel mondo del diabete. All’epoca non c’erano nemmeno i sensori diabetici. Perché una persona con diabete ma senza complicanze deve avere una revisione diversa dai 10 anni canonici? La circolare parla di ipoglicemie gravi, ma oggi con i sensori molto è sotto controllo. Non è un passaggio facile l’equiparazione per chi non ha complicanze e serve tempo, ma noi ci stiamo lavorando e ci crediamo molto.
Per poter cambiare le cose, abbiamo bisogno del sostegno delle persone: i nostri tesserati sono molti meno dei 4 milioni di italiani diabetici
L’altro aspetto riguarda il Diabetico Guida: FAND ha formulato una proposta di legge che abbiamo consegnato alle istituzioni e speriamo che questa figura possa un giorno essere normata a livello nazionale.
Queste sono le due sfide impegnative che mi pongo. Infine, c’è la questione dei numeri: in Italia ci sono 4 milioni e mezzo di diabetici, ma i nostri tesserati sono molti meno. Per poter cambiare le cose, abbiamo bisogno del sostegno delle persone, che giustamente si lamentano per alcune condizioni della malattia».
Come vi ponete rispetto all’accesso ai farmaci a base di semaglutide e simili?
«Noi siamo da sempre molto aperti alle innovazioni, ci mancherebbe che non fossimo aperti al semaglutide, che da quello che vedo ha effetti che non ci saremmo mai immaginati. Ci sono persone che purtroppo non riescono a perdere peso, a rientrare nei livelli glicemici, oppure erano costrette a fare insulina, con tutte le difficoltà del caso, come sappiamo bene noi che siamo tipo 1. Per tutte queste persone questa classe di farmaci rappresenta un miglioramento della qualità di vita notevole. Certo, spiace che per assicurare la sostenibilità del SSN sia mutuabile solo per i diabetici: il fatto che le persone siano disposte a spendere diverse centinaia di euro al mese per perdere peso in passato ha creato qualche problema a chi aveva il diabete. Ora che l’offerta si è ampliata, spero non avremo più questo problema. Abbiamo avuto molte segnalazioni di mancata disponibilità del farmaco. Spiace che in questi casi le persone diano la colpa al Servizio sanitario nazionale quando in realtà le ragioni sono più complesse».
Cosa si può fare per migliorare la prevenzione e l’informazione sul diabete?
«Sicuramente sono necessari più livelli: le campagne di sensibilizzazione sui media nazionali sono utilissime, ma dovremmo avere anche noi la possibilità di farle. Un’operazione simile per associazioni come la nostra è insostenibile economicamente: riusciamo a raggiungere qualche radio o emittente locale, ma se potessimo avere uno spazio gratuito con una visibilità nazionale – in televisione o sui social – potremo avere una risonanza diversa.
E poi bisogna agire nelle scuole: parlando con i bambini alla scuola primaria entriamo nelle famiglie, intercettiamo genitori e nonni. Io vado nelle scuole dal 2007 e ho visto che questo è uno strumento potentissimo di prevenzione: lasciamo opuscoli e informazioni ai bambini che li portano a casa.
Infine, le associazioni fanno eventi di prevenzione come gli screening. Cerchiamo di organizzare anche convegni aperti alla cittadinanza, ma anche questi sono una voce di costo importante. Da questo punto di vista l’alleanza con le società scientifiche è preziosa: noi siamo capillari sul territorio e possiamo raggiungere molti cittadini».