Blockchain: il documento degli esperti del MISE non convince, soprattutto sul fronte sanitario

C’è tanto entusiasmo nel nostro paese per questa tecnologia, ma in pochi casi questo afflato si è trasformato in progettualità. Abbiamo chiesto il perché a Roberto Reale, esperto di innovazione e di e-government, presidente di Eutopian, Osservatorio europeo sull’innovazione democratica

La Blockchain continua a essere il convitato di pietra al tavolo della digitalizzazione italiana, soprattutto per quanto riguarda l’ambito sanitario. Il documento di sintesi Proposte per la Strategia italiana in materia di tecnologie basate su registri condivisi e Blockchain, redatto dal gruppo di 30 esperti nominati dal Ministero dello Sviluppo Economico a fine 2018 e presentato dal MISE qualche settimana fa, mostra ancora diverse carenze sull’implementazione di questa tecnologia nel nostro SSN. Più che carenze, diciamo che non c’è scritto nulla che non sapessimo già. Nel capitoletto dedicato alla sanità, infatti, si leggono più che altro delle raccomandazioni sull’uso dei dati sensibili, sul fatto che la tecnologia debba rispettare i limiti etici e giuridici promossi dalle normative nazionali e comunitarie e sulla necessaria interoperabilità dei sistemi. Tutte cose già note.

Anche se quello che possiamo in effetti leggere è solo una sintesi di 31 pagine, mentre il documento originale ne conta qualche centinaio, ma al momento non è stato reso pubblico. L’obbiettivo di queste proposte è quello di delineare una possibile “strategia blockchain” identificando tutti i possibili sviluppi, valutando le competenze necessarie per attuarli e analizzando le prospettive socioeconomiche nell’utilizzo di queste tecnologie. Nelle scorse settimane il MISE ha indetto una consultazione pubblica su questo documento di sintesi (che scade a fine mese) con l’obbiettivo di raccogliere altri spunti e affinare ulteriormente il documento strategico.

Il sistema Blockchain, in parole semplici, si basa su una rete di singoli computer, detti “nodi”, che rendono disponibili, in tempo reale, i dati senza bisogno di un’autorità centrale che li debba gestire o manipolare. Questa tecnologia potrà rivoluzionare il modo con il quale le imprese, i privati e le amministrazioni pubbliche interagiscono tra di loro. E in campo sanitario potrebbe fare la differenza nella condivisione dei dati tra i diversi sistemi (ad esempio con la Cartella Clinica Elettronica) e nella protezione degli stessi, perché una volta registrata l’informazione questa non è più manipolabile o cancellabile.

Per il nostro SSN forse i “nodi digitali” da sciogliere sono ancora altri

C’è tanto entusiasmo nel nostro paese per questa tecnologia, ma in pochi casi questo afflato si è trasformato in progettualità. Benché il 2019 sia stato l’anno della blockchain nel nostro paese con una crescita del 56% dei nuovi progetti, in Italia questa tecnologia stenta a decollare per i soliti problemi di cui abbiamo parlato anche noi su PPHC poco tempo fa: incertezza normativa; carenza di informazione e consapevolezza; accesso ai finanziamenti; carenza di competenze e talenti.

Per il nostro Sistema Sanitario Nazionale forse non è il momento giusto per parlare di blockchain perché sono altri i “nodi digitali” da sciogliere prima di poter applicare una tecnologia che comunque, per come è disegnata, non può essere calata tout court nel nostro SSN.

Roberto RealeIl perché ce lo spiega Roberto Reale, esperto di innovazione e progetti di e-government, trasformazione digitale di settori strategici in ambito nazionale e UE e presidente di Eutopian, Osservatorio europeo sull’innovazione democratica.

Dottor Reale, c’era grande attesa per questo documento: qual è la sua impressione sui contenuti della sintesi?

Noi adesso ragioniamo su una sintesi perché al momento non è possibile vedere il documento integrale, ma credo che basare una consultazione pubblica su un riassunto e non sul documento integrale rischi di limitare la portata delle valutazioni.

Per quanto riguarda i contenuti, nell’ambito finanziario non vedo nulla di nuovo, ci si limita a dire che cosa si fa oggi con le criptovalute. Questi sono temi di cui si parlava già cinque anni fa e sono già consolidati. Sulla blockchain in campo finanziario e fintech si potrebbe dire molto di più.

Ma c’è anche una questione di metodo che non mi è del tutto chiara. In Italia esistono due piattaforme per la consultazione pubblica: una è Docs Italia e l’altra è Partecipa. Per questa consultazione pubblica si è scelto invece di mettere questo documento a disposizione sul sito del MISE attraverso un link e si invita a partecipare alla consultazione rimandando a un semplice indirizzo email: blockchain.strategia@mise.gov.it

Mi pare una procedura un po’ irrituale, benché legittima naturalmente. Diciamo che utilizzando un indirizzo email, chi valuta i commenti non vede in contemporanea le osservazioni degli altri utenti che hanno partecipato (cosa che invece con le piattaforme pubbliche si può fare) e questo comporterà una duplicazione degli sforzi e una ridondanza dei contenuti esposti.

I dati sanitari prevedono maggiori cautele nel trattamento rispetto a quanto previsto ad oggi dalla blockchain

Anche dal punto di vista sanitario, un ambito in cui si dice che la blockchain possa davvero fare la differenza, in realtà il documento dice poco.

In effetti di parla poco di questo settore nel documento del MISE. In ogni caso ad oggi è difficile prendere la blockchain e applicarla in questo campo perché i dati sanitari hanno un livello di trattamento che prevede determinate cautele, come ribadito anche dal GDPR. La blockchain, così come è stata pensata, mal si sposa con un dato sensibile come questo perché tutto quello che finisce su un registro blockchain non può essere cancellato e quindi l’utente non può esercitare il diritto all’oblio previsto dal regolamento europeo (art. 17 del GDPR, ndr). Il settore sanitario è molto maturo e ricco di standard su flusso, trattamento e gestione delle informazioni, mentre l’ambito blockchain è ancora molto fluido e ha relativamente pochi standard. Nei prossimi anni sicuramente ce ne saranno di più e anche la commissione europea sta lavorando in questo senso.

La blockchain si può calare nel sistema sanitario solo nel momento in cui si compie un’attenta valutazione del rischio nell’implementare questo tipo di tecnologia.

Al di là della blockchain, come vede il processo di digitalizzazione in sanità nel nostro Paese?

La blockchain è solo un pezzo di questo cammino, ma ricordiamoci che la digitalizzazione in sanità non riguarda solo la gestione del dato, ma anche l’applicazione di tecnologie come l’intelligenza artificiale per la diagnostica clinica e la medicina di precisione. Non solo, la digitalizzazione può migliorare il procurement sanitario, ottimizzare gli acquisti e razionalizzare la spesa pubblica: un aspetto che non riguarda da vicino il rapporto medico e paziente, è vero, ma è altrettanto importante perché impatta sulla qualità del servizio che il sistema è in grado di offrire. Anche la cyber security si sta espandendo in campi che prima erano impensabili, come i dispositivi medici indossabili che sono e saranno sempre più connessi e i cui dati sensibili che elaborano vanno assolutamente protetti. Ci ricordiamo ancora tutti l’attacco hacker che colpì il sistema sanitario inglese nel 2017 e che per ore bloccò tutti i servizi, pronto soccorso incluso, arrecando non solo danni economici ma anche privando gli inglesi dell’assistenza e delle cure mediche.

La digitalizzazione può migliorare il procurement sanitario e la spesa pubblica

Uno dei più grossi ostacoli all’accelerazione della digitalizzazione in Italia, e quindi alla conseguente applicazione della tecnologia blockchain (e non solo) è un analfabetismo digitale dilagante. Secondo l’indice Desi 2020, il Digital Economy and Society Index elaborato dalla Commissione Europea per misurare il livello di digitalizzazione dei paesi europei, l’Italia è al venticinquesimo posto  in Europa, davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria. Siamo molto avanti sul fronte delle reti infrastrutturali (come la diffusione del 5G), ma solo il 74% degli italiani usa internet abitualmente. Un paradosso tutto italiano che pare confermarsi anno dopo anno. Forse è il momento di stravolgerlo e cominciare a diffondere seriamente la cultura digitale tra la popolazione e le imprese. Il Covid ci ha mostrato che un’accelerazione è possibile. Non perdiamo questa occasione.

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Angelica Giambelluca
Giornalista professionista in ambito medico