Sullo sfondo i lasciti della pandemia e l’intricata situazione geopolitica in Ucraina. In primo piano le difficoltà delle aziende per continuare a produrre. E non si tratta solo dell’impossibilità di mantenere i prezzi concordati con la Pubblica amministrazione (Pa). Si rischia anche di rinunciare ai volumi produttivi previsti dai piani aziendali. Il tutto con forti ripercussioni sul mercato di riferimento.
Se questo mercato è quello dei dispositivi medici, il quadro si arricchisce delle immaginabili conseguenze per il sistema sanitario nazionale e, naturalmente, per i pazienti.
“Pandemia, guerra e crisi delle materie prime stanno lasciando il nostro comparto in forte sofferenza. Le aziende dei dispositivi medici si rivolgono prevalentemente al pubblico e il mercato si realizza attraverso l’aggiudicazione di gare per lotti spesso molto grandi e pluriennali. Trattandosi di beni di prima necessità per il funzionamento di ospedali, ambulatori, non è possibile interrompere le forniture per non configurare un’interruzione di pubblico servizio. Da ciò si capisce come le peculiarità che caratterizzano il nostro settore producono effetti molto diversi rispetto ad altri comparti industriali, al di là dei numeri evidenziati dall’indagine”, spiega Massimiliano Boggetti, presidente di Confindustria Dispositivi Medici.
A gravare maggiormente, in senso negativo, sull’iter produttivo delle aziende di settore è soprattutto il caro energia, che, secondo la recente indagine di Confindustria Dispositivi Medici, nel 2021 inciderebbe sui costi di realizzo fino al +101% rispetto al 2020 e farebbe registrare a un player su cinque costi per l’energia elettrica fino al triplo in più rispetto al passato.
Come è facile intuire, il problema dell’incremento della bolletta energetica è un fattore comune all’intero settore manifatturiero italiano. Secondo Confindustria, il caro bollette si aggirerebbe tra i 27,3 e i 31,8 miliardi di euro su base annua per le imprese italiane, molto più penalizzate delle sorelle francesi e tedesche a causa della maggiore dipendenza nazionale dal gas naturale (di provenienza estera).
Per i produttori di dispositivi medici grandemente impattante è poi il costo dei servizi di trasporto (+94%), seguito da quello per i servizi di finitura (+63%). Fanalino di coda, si fa per dire, il costo per l’acquisto delle materie prime, lievitato del 48%. Più interessati dall’aumento dei costi sono metalli come acciaio (+34%) e alluminio (+25%). Più modesti, ma sempre preoccupanti giacché relativi alla microcomponentistica elettronica sempre più presente nei Dm, gli aumenti a carico di metalli preziosi come oro (+4%) e argento (+2%) e dalle proprietà tecnologiche quali il silicio (+6%).
Note dolenti anche per i semilavorati, soprattutto quelli derivati dagli idrocarburi. Più 15% per le materie plastiche e +13% per quelle chimiche. Analoghi aumenti si registrano poi per i componenti elettrici ed elettronici che in parte arrivavano proprio dall’Ucraina, oggi impossibilitata a far fronte alle richieste del settore.
I dati di Confindustria DM: a fronte dell’81% delle aziende che riceve materie prime in ritardo, il 64% dichiara di essere stata costretta a ritardare a sua volta i tempi di realizzo
Conseguenza di tutto questo? Nemmeno a dirlo, duplice. Da un lato, l’estrema difficoltà, finanche impossibilità, per le imprese di rispettare i prezzi concordati nei contratti d’appalto con la Pa. Dall’altro, ritardi nelle consegne, che le imprese riescono a tamponare solo in parte: a fronte dell’81% delle aziende che riceve materie prime in ritardo, il 64% dichiara di essere stata costretta a ritardare a sua volta i tempi di realizzo.
A ciò si aggiunge il fatto che i produttori si trovano già costretti a ridurre i volumi di produzione previsti, proprio per difficoltà intrinseche nell’approvvigionamento di materie prime, semilavorati e servizi nei tempi stabiliti. E, chi non si è già trovato costretto a questa riduzione, lo farà probabilmente nel prossimo futuro. Per un totale di circa un’azienda su tre a dover produrre meno.
Ci si potrebbe chiedere: perché le aziende non cercano altri fornitori di materie prime più competitivi sul piano dei costi e della reperibilità? Facile a dirsi, meno a farsi. Almeno per quanto riguarda chi si occupa di dispositivi medici.
Commenta a Policy & Procurement in Healthcare Boggetti: “Le aziende che producono dispositivi medici potrebbero prendere in considerazione l’idea di reagire all’incertezza sul costo e sulle tempistiche di approvvigionamento di determinate materie prime cercando di sostituire quest’ultime con componenti di più facile reperibilità. Tuttavia, nell’operare questa sostituzione le imprese del settore devono rispettare vincoli normativi che limitano a tutti gli effetti questa possibilità. Pertanto l’azienda che mette in atto un cambiamento significativo sul proprio prodotto dovrà provvedere a certificare di nuovo il dispositivo ai sensi dei nuovi regolamenti europei, sostenendo sulle proprie spalle le lunghe tempistiche di certificazione causate dalla limitata capacità degli Organismi notificati e il rischio di una momentanea interruzione della fornitura dei dispositivi.
“La sostituzione di una materia prima, che potrebbe configurarsi come un cambiamento significativo, può non essere un’alternativa effettivamente perseguibile e sostenibile per la filiera”
In questo contesto, quindi, la sostituzione di una materia prima che potrebbe configurarsi come un cambiamento significativo, può non essere un’alternativa effettivamente perseguibile e sostenibile per la filiera, pur rappresentando a volte una scelta obbligata per mantenere la produzione a regime. Ognuno di questi cambiamenti rischia di tradursi in modifiche del fascicolo tecnico di marchiatura CE con conseguente necessità, in molti casi, di studi clinici nella sostanza incompatibili con le esigenze del momento visti i tempi e i costi di una nuova certificazione”.
Più precisamente e tecnicamente, come riporta una nota di Confindustria Dm: “I nuovi regolamenti (l’art. 120 dell’MDR e l’art. 110 dell’IVDR) consentono alla quasi totalità dei dispositivi ad oggi in commercio (definiti dispositivi legacy) di continuare a essere immessi sul mercato in conformità alle precedenti direttive purché non vengano posti in essere cambiamenti significativi trattati nel dettaglio all’interno delle linee guida europee MDCG 2020-3 e 2022-6. In caso contrario, l’azienda che mette in atto un cambiamento significativo nel proprio processo di produzione dovrà provvedere a certificare il dispositivo ai sensi dei nuovi regolamenti e perdere la possibilità di mettere i prodotti a disposizione degli utilizzatori finali fino al 2025, sostenendo sulle proprie spalle le lunghe tempistiche di certificazione causate dalla limitata capacità degli Organismi notificati ed il rischio di una momentanea interruzione della fornitura di dispositivi”.