Cinque domande e sei ministri per salvare la sanità pubblica

Primo giro di boa per la serie di interviste di TrendSanità: dopo Speranza, Grillo, Lorenzin, Balduzzi, Turco e Garavaglia facciamo il punto sulle soluzioni e sulle idee emerse per tutelare il nostro SSN

Governare la sanità è un duro mestiere. È sicuramente questa la consapevolezza comune che emerge dalle nostre prime sei interviste della serie “5 domande” che con TrendSanità abbiamo rivolto ad altrettante, e altrettanti, ex ministri della salute. La sanità è una macchina grande e complessa in cui ogni elemento va soppesato con cura: i cittadini e i pazienti; i medici, gli infermieri e tutti gli altri professionisti sanitari; le risorse che non bastano mai; le medicine, i farmaci, la ricerca pubblica e quella delle industrie che può dare risposte inaspettate ad una patologia fino a poco prima incurabile; le leggi, le norme, la burocrazia, le regole per tenere tutto in piedi; la politica, le nomine, i rapporti di forza; tutto questo e molto altro ancora.

Criticare da fuori è troppo facile, solo dalle parole di chi è stato in quelle stanze di Lungotevere Ripa può emergere la piena coscienza dei grandi poteri e delle grandi responsabilità che derivano dal guidare il nostro Servizio Sanitario Nazionale. Dalle sei interviste, infatti, non emergono i toni duri e sprezzanti che quasi sempre contraddistinguono la battaglia politica, rivolti soprattutto da chi sta fuori a chi sta dentro e, qualche volta, anche in senso inverso.

Grandi difficoltà, ma radici solide. Non c’è un destino irreversibile per il SSN a patto che si intervenga in modo davvero efficace

Certo, andando nel merito le difficoltà ci sono e sono anche gravi. E le critiche, di conseguenza, non mancano ed è giusto che sia così. Ma arrivano anche proposte e ipotesi di alleanze trasversali per il bene della salute e dei cittadini a difesa di uno degli istituti più preziosi che il nostro Paese sia stato in grado di edificare: la sanità pubblica. Così, in attesa di confrontare queste idee, queste proposte e queste critiche con quelle di chi è attualmente dentro al Ministero, a cominciare dal suo vertice, Orazio Schillaci, e con gli altri soggetti che in questo sistema vivono e lavorano, riavvolgiamo il nastro e cerchiamo di isolare alcuni dei punti più interessanti.

LE RIFORME

Si parte dalle riforme, l’ancora di salvezza per molti. Soprattutto per i problemi che non trovano rapide soluzioni: territorialità, innovazione, PNRR, cronicità, digitale, intelligenza artificiale. Sono questi i temi ricorrenti per cambiare e migliorare (in teoria) la sanità. C’è chi le riforme le ha fatte da poco e proprio all’insegna di queste parole d’ordine come Roberto Speranza, ma è ancora presto per vederle applicate. C’è chi non crede alle riforme se prima non c’è un accordo tra i partiti e le parti politiche come Giulia Grillo e chi introduce variabili diverse, urbanistica, trasporti, modelli di lavoro, come Beatrice Lorenzin che invoca un ripensamento anche alla luce dell’invecchiamento della popolazione. Ecco, ad anziani e non autosufficienti bisogna pensare con un occhio sociale oltre che sanitario dice Livia Turco trovandosi d’accordo con Mariapia Garavaglia, mentre Renato Balduzzi batte il tasto dei medici di famiglia e degli specialisti ambulatoriali collegandolo alla prossimità e alla territorialità. È molto chiaro a tutti, però, che senza adeguate risorse le riforme hanno poca strada da fare.

IL DECLINO

Ma riformare qualcosa vuol dire constatare che quello che c’è ora non funziona o non basta. Ma come sta, davvero, il nostro SSN? È al declino o è ancora un reale punto di forza? Su questo il coro è unanime, o quasi: ci sono grandi difficoltà, ma le radici sono ancora solide. Tra i valori fondamentali viene citato spesso il grande patrimonio umano che ha il nostro Servizio Sanitario Nazionale, le donne e gli uomini che ogni giorno si dedicano alla cura di tutti noi, la loro qualità e la loro dedizione sono un punto fermo per tutti gli ex ministri. I nostri professionisti sanitari sono preziosi e come tali stanno diventando rari, in alcuni casi introvabili come accade per gli infermieri, e questa è una delle esigenze più citate. Insomma, liste d’attesa drammatiche, carenza di risorse, carenza di personale, strutture in diversi casi fatiscenti, le difficoltà ci sono ma non c’è niente di inesorabile se si fanno le scelte giuste. C’è chi lancia anche un allarme sul fatto che l’idea stessa di declino e il soffermarsi troppo sui problemi sia strumentale proprio a chi vuole indebolire il SSN com’è adesso e rimpiazzarlo con una versione “light” che copra poco più delle urgenze e solo per chi non può permettersi altro, lasciando la gran parte della torta al mercato e al privato.

I PRIVATI

Ed ecco, appunto, il tema dei privati. Il dubbio di fondo è sempre lo stesso: perché la sanità pubblica è in perdita e quella privata (anche convenzionata) è in attivo, e anzi, spesso fa affari d’oro. Qui dai ministri arriva quasi sempre il riconoscimento di un fatto: la sanità privata convenzionata è un elemento integrante del SSN. Diverso il discorso della sanità integrativa che rappresenta sempre più spesso una sostituzione e non una vera integrazione. Ma è qualcosa che le norme consentono e che finora nessuno ha realmente provato a contrastare. Altro spunto interessante è quello della prevenzione: demandata solo esclusivamente al pubblico e che, se fosse potenziata, potrebbe davvero cambiare lo scenario della salute dei cittadini in modo potente.

LE SOLUZIONI

Qui la questione risorse torna con prepotenza. C’è il rammarico di vedere un calo in previsione delle risorse per i prossimi anni, anche alla luce di quello che abbiamo passato con la pandemia da covid-19, ma solo un ex ministro si spinge a delineare una soglia precisa (il 7% del Pil) e un modo concreto per alimentare questo aumento (la lotta all’evasione fiscale). Certo, ci sarebbe sempre il discorso del riportare l’intramoenia nel pubblico e del perché una TAC funziona 6 ore nel pubblico e 12 nel privato. Poi ci sarebbero anche quote rilevanti di quei 40 miliardi di euro che i cittadini ogni anno mettono di tasca propria (“out of pocket”) e che con tutta probabilità sono frutto di prescrizioni e prestazioni inappropriate. Ma è davvero complicato arginare questa deriva. Perché? Uno dei motivi che vengono citati, per questo e per tanti altri mali che affliggono la nostra sanità, è quello dell’autonomia regionale che rende spesso disomogenea l’applicazione delle regole e difficile da contrastare, a livello centrale, ogni distorsione.

I RIMPIANTI E LE SPERANZE

La riforma sui medici di medicina generale, un piano sulla salute mentale, le case di comunità da non abbandonare, i decreti attuativi di molte delle riforme citate che non hanno mai visto la luce rendendo quelle riforme solo dei distinti pezzi di carta. Sono questi i rimpianti per chi ha vissuto in quelle stanze di Lungotevere Ripa. Invece, per chi la vede da fuori la domanda è: qual è la prima cosa che fareste se foste voi in quelle stanze?

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Cesare Buquicchio
Giornalista professionista. Condirettore TrendSanità. Capo Ufficio Stampa Ministero della Salute dal 2019 al 2022. Direttore scientifico del corso di perfezionamento CreSP, Università di Pisa