La COP28, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, si è tenuta quest’anno a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, dal 30 novembre al 12 dicembre 2023.
I grandi della terra si sono riuniti per fare il punto della situazione e valutare i progressi dopo l’Accordo di Parigi e il “Global Stocktake” (GST), il primo resoconto dell’impatto delle azioni per il clima adottate dai Paesi membri dell’United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC).
COP28 si è chiusa a Dubai con l’intento di ridurre i combustibili fossili entro il 2050
L’emergenza clima è sempre più pressante e servono risposte tempestive e concrete agli effetti del cambiamento climatico. Gli scienziati di tutto il mondo quasi all’unanimità evidenziano da anni, e ora con forza sempre maggiore, l’urgenza di attuare politiche più forti e concrete rispetto a quelle adottate fino ad oggi per mantenere l’innalzamento della temperatura globale entro 1,5°C.
Cosa si è deciso
L’accordo scaturito dalla Conferenza dispone la “transizione dai combustibili fossili” per raggiungere le emissioni zero nel 2050 e rafforzare l’azione sul clima per contenere l’aumento della temperatura e non superare il limite di un grado e mezzo della temperatura media rispetto ai livelli preindustriali. Nel testo però manca l’espressione “eliminazione graduale”, richiesta dalla grande maggioranza dei Paesi e alla quale si era opposto un piccolo fronte guidato dall’Arabia Saudita. Non è chiaro quindi se entro il 2050 le nazioni dovranno aver abbandonato del tutto la loro dipendenza dall’energia fossile. Per gli ambientalisti e gli esperti, il termine “transition away” è ambiguo e soggetto a interpretazione.
In una nota di Legambiente il presidente nazionale Stefano Ciafani, sottolinea che “è solo un timido passo avanti su cui, però, ora i Paesi devono dimostrare azioni decise, senza più tentennamenti o inspiegabili rinvii, perché il tempo incalza e la crisi climatica avanza ad un ritmo sempre più veloce”.
Deboli, invece, tre elementi dell’accordo, secondo l’associazione ambientalista, legati al “ricorso alle tecnologie d’abbattimento di emissioni di anidride carbonica e all’utilizzo di fonti fossili come combustibili di transizione per garantire la sicurezza energetica. È inoltre mancato un serio impegno per la finanza climatica indispensabile per aiutare i Paesi più poveri e vulnerabili ad accelerare la fuoriuscita dalle fossili”.
Roberto De Vogli, Professore Associato in Salute globale e psicologia del potere (Global Health & Psychology of Power) dell’Università di Padova, ha dichiarato a TrendSanità: “Aver messo per iscritto per la prima volta che si andrà verso una transizione in cui i combustibili fossili non ci saranno più è comunque un evento storico. Che poi sia stato detto a Dubai è un valore aggiunto. È solo una frase, però c’è. L’attivismo, le proteste e la scienza stanno facendo la differenza. Il punto è che dopo i grandi applausi, dopo la massiccia presenza anche dei lobbisti dell’industria fossile, mi chiedo se queste conferenze riescano davvero a produrre vantaggi, oltre allo svantaggio della CO2 emessa per i viaggi aerei necessari a raggiungere Dubai. Perché tra le parole, messe nero su bianco, e un piano d’azione concreto c’è un abisso e mi pare che non ci siano le condizioni affinché questo obiettivo, anzi questa aspirazione, del 2050 si concretizzi. Avevano tutti gli occhi del mondo addosso e non volevano mostrare un fallimento totale, quindi hanno infilato questa frase all’ultimo momento. A me sembra però sia un’operazione di facciata, perché manca il come, le indicazioni concrete.
La civiltà moderna così com’è, se segue il modello business as usual, è destinata al collasso
Nafeez Ahmed, analista politico e attivista per i diritti umani, direttore dell’Institute for Policy Research & Development, afferma da tempo che la civiltà moderna così com’è, se segue il modello business as usual, è destinata al collasso. A COP28 dice una cosa importante: dichiarare di voler eliminare i combustibili fossili senza spiegare come sostituirli ha poco senso. Serve una pianificazione accurata e una timeline. Ci sono poi gli interessi nazionali di 198 governi, di cui 98 sono produttori di petrolio e metà dei quali sono Paesi in via di sviluppo. Chiedere alle nazioni che producono combustili fossili di abbandonare questo business non è realistico. Ci vogliono accordi globali per la sostituzione dei fossili, con investimenti massivi sull’energia più pulita e un cambio di rotta dell’economia”.
COP28 e salute, il primo Health Day
Approvata da più di 120 paesi, la “Dichiarazione UAE su clima e salute” è il primo atto che riconosce il crescente impatto dei cambiamenti climatici sulla salute e la necessità che i governi proteggano le comunità e preparino i sistemi sanitari a fronteggiare conseguenze come il caldo estremo, l’inquinamento atmosferico e le malattie infettive.
Nonostante l’importanza storica della dichiarazione su clima e salute, che sancisce l’impegno politico dei governi di introdurre il tema della salute nella propria agenda climatica, non è indicato il ruolo dei combustibili fossili nei fenomeni climatici che tanto gravano sulla salute delle persone (tra cui ondate di calore, inquinamento dell’aria, siccità, eventi meteorologici estremi e la diffusione delle malattie infettive).
Il primo Health Day alla COP28 ha dato visibilità alla resilienza e sostenibilità dei sistemi sanitari, alle comunità vulnerabili e alla necessità di finanziamenti
Il primo Health Day alla COP28 resta comunque un momento storico, che dà visibilità a temi cruciali come la resilienza dei sistemi sanitari e la loro sostenibilità, il coinvolgimento delle comunità vulnerabili e la necessità di finanziamenti.
Tuttavia, è fondamentale che l’impegno politico si traduca in azione, facendo entrare da subito la salute nei processi negoziali.
Siamo in netto ritardo, dicono gli scienziati
Secondo gli autori del rapporto 2023 di Lancet Countdown su salute e clima siamo già in netto ritardo nell’affrontare la riduzione delle emissioni, un vero atto di negligenza, non solo da parte dei governi ma anche della comunità sanitaria internazionale che dovrebbe guidare la richiesta dell’intervento più importante, cioè l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, per garantire che i rischi crescenti sulla salute umana non superino la capacità dei sistemi sanitari di rispondervi.
All’attuale 1,14°C di riscaldamento medio rispetto all’epoca preindustriale, i decessi legati al caldo tra le persone di età superiore ai 65 anni sono aumentati dell’85% dagli anni ’90, il doppio del livello previsto se le temperature non fossero cambiate, ci dicono gli scienziati di Lancet. La maggiore frequenza di ondate di caldo e siccità dal 1981 al 2010 ha comportato per 127 milioni di persone un’insicurezza alimentare moderata o grave. Inoltre, il clima sta diventando un elemento basilare nella trasmissione di molte malattie infettive, aumentando i rischi di epidemie e pandemie.
Il clima sta diventando un elemento basilare nella trasmissione di molte malattie infettive, aumentando i rischi di epidemie e pandemie
Questi aspetti sociali e sanitari hanno anche implicazioni economiche. Nel 2022, l’esposizione al caldo estremo ha portato alla perdita del 41% in più di ore potenziali di lavoro rispetto agli anni ’90, con perdite di reddito che salgono al 6% del prodotto interno lordo nei Paesi classificati con un indice di sviluppo umano “basso”. Tali perdite minano i mezzi di sussistenza, il benessere e le condizioni socioeconomiche che definiscono anche la salute delle persone, colpendo l’intera economia.
Con un riscaldamento di 1,14°C, la maggior parte dei Paesi non è riuscita ad adattarsi efficacemente ai cambiamenti climatici e le popolazioni affrontano i danni senza protezione. Sebbene i Paesi più svantaggiati del mondo e quelli che hanno contribuito meno alle emissioni globali dei gas serra siano i più colpiti, nessuna nazione è immune dalle crescenti minacce del cambiamento climatico.
Per De Vogli “si confonde la salute con la sanità, pensando che siano i sistemi sanitari a essere in sofferenza. Sarà, invece, la salute globale in sofferenza, perché gli eventi estremi stanno aumentando in maniera esponenziale. L’idea di restare sotto l’1,5 di incremento delle temperature ormai è una pia illusione più che un obiettivo. Non c’è alcuna azione decisiva per impedirlo. I momenti storici in cui c’è stata una riduzione di CO2 negli ultimi 50 anni sono state le crisi economiche e il Covid, quindi il messaggio è chiaro. Occorre ripensare l’economia e abbandonare il negazionismo climatico ed economico. Perché le regole del profitto, della crescita economica infinita e dei mercati che si autoregolano sono le principali nemiche alla lotta per salvare il pianeta.
Occorre ripensare l’economia e abbandonare il negazionismo climatico ed economico
Possiamo prendercela con le banche, con l’industria dei fossili e con i Paesi che li producono, ma in realtà stanno facendo ciò che in un sistema capitalistico fanno tutti: migliorare il proprio status, il proprio reddito e la carriera, sia a livello individuale che mondiale, con buna pace del clima. O si pongono regole vigorose in economia e si cambia stile di vita, tutti insieme ovviamente, oppure è tutto inutile. Non si è capita la gravità del problema. I dati sono terrificanti e nelle pubblicazioni scientifiche appare la frase claimed endgame, fine dei giochi, una cosa che non si era mai vista. La scienza ha compreso quindi la gravità del problema, il mondo politico ed economico sembra, invece, vivere in una realtà parallela.
Le stesse nuove pandemie che arriveranno assumono un contorno relativo rispetto alle catastrofi naturali, con massive migrazioni climatiche di centinaia di migliaia di persone o di morti a causa del clima. Ma gli eventi più disastrosi ci saranno quando i cambiamenti climatici impatteranno sul sistema del cibo e dell’acqua e la risposta dei governi, dell’homo sapiens, sarà una sola, il conflitto”.
Clima e mondo del lavoro: la tecnologia può aiutare
Giovanna Tranfo, Direttrice Dipartimento di Medicina, Epidemiologia, Igiene del Lavoro e Ambientale presso INAIL, così commenta a TrendSanità: “La realtà è sempre molto complessa e non è possibile indicare una soluzione unica e benché l’obiettivo della tutela della salute e sicurezza dei lavoratori sia condiviso, le soluzioni possono essere onerose per i datori di lavoro. Si parla di One Health, di economia circolare, poiché quello che facciamo in un punto del mondo ha ripercussioni in un altro e sicuramente non possiamo chiudere gli occhi davanti ai cambiamenti climatici, ma trovare un equilibrio fra tanti interessi contrastanti. Non è facile e non esiste un’unica strada. INAIL da più di 13 anni si è trasformato in un ente la cui mission è principalmente la prevenzione e non solo l’indennizzo.
Prendiamo in considerazione tutti i rischi che sono previsti nel decreto 81 e anche quelli emergenti. Oggi gli ambienti di lavoro sono diventati anche ambienti di vita e viceversa, in cui l’obiettivo non è più solo la tutela ma la promozione della salute, la cosiddetta total worker health, perché la salute è unica e dipende anche dalla salute del pianeta. Ogni cosa che facciamo ha un impatto sull’ambiente, sull’aria che respiriamo, sull’acqua che beviamo, sui cibi che mangiamo e quindi ha un impatto anche sulla nostra salute sia come cittadini, sia come lavoratori. Chiaramente alcuni ambienti di lavoro risentono più di altri dei cambiamenti climatici, pensiamo solo all’agricoltura.
Oggi gli ambienti di lavoro sono diventati anche ambienti di vita e viceversa, in cui l’obiettivo non è più solo la tutela ma la promozione della salute
INAIL sta portando avanti un progetto insieme al CNR e ad altri partner chiamato Worklimate in cui si esaminano gli infortuni e le malattie professionali da un punto di vista statistico. Si è notato che c’è un’associazione fra gli infortuni sul lavoro e le temperature ambientali. Si è visto cioè che le temperature elevate in ambienti di lavoro come in agricoltura e nell’edilizia sono correlate agli infortuni, sia perché la temperatura ha un effetto diretto sulla persona, quindi il malore, il colpo di caldo, lo svenimento, sia perché quando si lavora in un ambiente che presenta dei rischi, l’alta temperatura crea un discomfort, riduce l’attenzione e la percezione del rischio. Sono state create quindi delle mappe di previsione climatica per le temperature molto accurate. Ciò consente al datore di lavoro di bloccare le attività per quel giorno se si superano i 35°.
Abbiamo anche sperimentato degli indumenti speciali “ventilati” e che registrano la temperatura o il battito cardiaco per avvisare di un possibile malore. È tutto ancora sperimentale e per passare a una produzione industriale occorre capire il costo. Diciamo però che la ricerca va avanti per trovare delle soluzioni tecnologiche. La tecnologia può aiutare a trovare delle soluzioni, anche se non risolvono completamente il problema.
Le temperature elevate in ambienti di lavoro dell’agricoltura e dell’edilizia sono correlate agli infortuni
Anche per l’utilizzo dei pesticidi, perché in agricoltura i cambiamenti climatici causano un aumento degli insetti e dei parassiti provenienti da altre zone che prima da noi non sopravvivevano per le temperature troppo basse. Ora invece si diffondono. Serve quindi intervenire contro questi parassiti ma anche tutelare i lavoratori agricoli e i consumatori. Sono nuove sfide che dobbiamo affrontare. Un aumento dell’uso di antiparassitari oppure la nascita di nuove molecole più aggressive? Entrambe, ma fortunatamente in Italia e in Europa c’è una legislazione sui prodotti chimici e sugli antiparassitari estremamente attenta”.