La corruzione in sanità non è più un argomento tabù: i cittadini sono sempre più sensibilizzati (e sensibili) al tema, i dipendenti pubblici si impegnano per colmare lacune e per intensificare i controlli, le leggi aiutano, fioriscono reti territoriali che lavorano per arginare la corruzione nelle strutture sanitarie e autorità di vigilanza come ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione, istituita nel 2014) e associazioni nazionali come Transparency Italia fanno la differenza, diffondendo conoscenza, numeri, raccomandazioni e linee guida per arginare il fenomeno della corruzione nella sanità nel nostro paese. Tutto questo è bastato e basta per diminuire i casi di corruzione?
No. O meglio, qualcosa è migliorato, ma i casi di corruzione sono sempre all’ordine del giorno. Perché è difficile controllare, perché il monitoraggio in ultima istanza è affidato alla singola azienda sanitaria, perché alla pubblica amministrazione concetti come digitalizzazione, utilizzo dei big data e tecnologia sono quasi sconosciuti o sono poco implementati. E l’ingranaggio, di conseguenza, prima o poi si inceppa.
Dalle sperimentazioni cliniche ai rapporti tra medici e case farmaceutiche, dalla nomina dei comitati etici, all’accreditamento delle strutture private, sono tante, complesse e diversificate le situazioni in cui può sorgere un conflitto di interesse.
Nel rapporto di ANAC “La corruzione in Italia 2016-2019”, il settore più a rischio di corruzione nel nostro paese è quello legato ai lavori pubblici che rappresenta il 40% degli episodi corruttivi. La sanità rappresenta il 13% con casi che riguardano soprattutto forniture di farmaci, di apparecchiature mediche e strumenti medicali e servizi di pulizia.
Il settore più a rischio di corruzione in Italia è quello dei lavori pubblici
Dalla legge “Severino”, la n.190/2012, intitolata “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”, ad oggi sono stati fatti passi avanti significativi nella percezione generale della corruzione, che non è più considerata un fenomeno di costume, ma è qualcosa da cui le persone, cittadini, medici e funzionari pubblici, stanno cominciando a prendere le distanze. E a denunciare in modo attivo. Con la legge n.179/2017, si sono introdotte infatti nuove tutele per i whistleblower, i soggetti che volontariamente segnalano un illecito, in particolare nel settore pubblico. ANAC, nei primi nove mesi del 2019, ne ha ricevute oltre 700, di cui l’11,2% circa si riferisce al settore sanitario. E a ricevere segnalazioni è anche Transparency Italia, emanazione di Transparency International, la più grande organizzazione a livello globale che si occupa di prevenire e contrastare la corruzione e che con il servizio Allerta Anticorruzione (ALAC) dal 2014 al 2018 ha raccolto 618 segnalazioni.
Nel 2018 le segnalazioni ad ALAC sono state 152 e di queste il 22% riguardava il settore sanitario. Tra le tipologie di illeciti segnalati a Transparency ce ne sono alcune ricorrenti: nomine irregolari, malagestione di reparti ospedalieri o strutture distaccate, irregolarità negli appalti, casi di “malasanità”, casi relativi ai “furbetti del cartellino” ma anche richieste economiche nei confronti dei pazienti per garantire dei favori da parte dei medici. Altre situazioni riportate sono sponsorizzazioni farmaceutiche irregolari, false invalidità, frodi economiche da parte di farmacie, abilitazione di medici senza requisiti, scambi di favori tra un ente sanitario e un’azienda privata, casi di ospedalizzazione irregolare di pazienti, favori elettorali in cambio di prestazioni mediche, acquisto di ambulanze a costi sproporzionati, gestione irregolare dell’intramoenia, attestazioni di false partecipazioni a corsi di aggiornamento.
La legge Severino ha introdotto l’obbligo in capo alle aziende pubbliche (quindi anche le Asl) di produrre il piano triennale di prevenzione della corruzione (PTPC), un documento di natura programmatica che ingloba tutte le misure di prevenzione obbligatorie per legge, coordinando gli interventi e che deve essere pubblicato sul sito dell’ente in amministrazione trasparente.
Ma non basta pubblicare il piano anticorruzione per dimostrare di essere al riparo da frodi e atti corruttivi.
Dal 2016, ANAC, Ministero della Salute e Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS) lavorano strettamente per verificare l’attuazione delle misure di trasparenza e di prevenzione della corruzione da parte degli enti del Servizio Sanitario Nazionale in conformità al Piano Nazionale Anticorruzione (sezione sanità).
Nonostante tutti questi controlli, le leggi e le segnalazioni, perché c’è ancora così tanta corruzione?
Qual è la contropartita? Se nella prima Repubblica era il denaro l’obbiettivo principale, oggi la “tangente” si è in qualche modo dematerializzata e riguarda diverse fattispecie.
Nel rapporto ANAC si parla infatti di tangenti economiche dalla portata irrisoria (2-3.000 euro ma anche 50 o 100 euro).
La moneta di scambio più preziosa è il posto di lavoro: soprattutto al Sud l’assunzione di persone legate al soggetto corrotto è stata riscontrata nel 13% dei casi. Dopo il posto di lavoro ci sono le assegnazioni di prestazioni professionali, specialmente sotto forma di consulenze, spesso conferite a persone o realtà giuridiche riconducibili al corrotto o in ogni caso compiacenti. Oltre a ricorrenti benefit di diversa natura (benzina, pasti, pernottamenti) non mancano singolari ricompense di vario tipo (ristrutturazioni edilizie, riparazioni, servizi di pulizia, trasporto mobili, lavori di falegnameria, giardinaggio, tinteggiatura) comprese talvolta le prestazioni sessuali. Tutte contropartite che hanno un valore modesto, ma che indicano con quanta facilità sia svenduta la funzione pubblica ricoperta.
Ci sono comunque dei segnali postivi. Sempre secondo ANAC, nonostante queste oggettive difficoltà, l’Italia in questi ultimi anni ha ricevuto diversi riconoscimenti in tema di prevenzione della corruzione: Onu, Commissione europea, Ocse Consiglio d’Europa, Osce, solo per citare i principali.
La percezione della corruzione in sanità nelle varie strutture è molto articolata
Anche l’opinione pubblica è cambiata nei confronti della corruzione nel nostro paese.
L’indice di Percezione della Corruzione (CPI) di Transparency International misura la percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica basandosi sull’opinione di esperti e assegnando una valutazione che va da 0, per i Paesi ritenuti molto corrotti, a 100, per quelli “puliti”.
Dal 2012 ad oggi l’Italia ha continuato a scalare posizioni: nel 2019 il CPI vede l’Italia al 51° posto nel mondo su 180 Paesi, con un punteggio di 53 su 100.
La trasparenza pubblica è stata rafforzata dal “Decreto Trasparenza” approvato nel 2016 che ha permesso un accesso civico alle informazioni delle amministrazioni pubbliche. Inoltre, la diffusione fra le amministrazioni dell’istituto della vigilanza collaborativa, che consente di sottoporre la documentazione di gara al vaglio preventivo dell’ANAC, ha consentito lo svolgimento di grandi eventi e di bandire appalti di particolare entità senza le infiltrazioni mafiose e criminali che hanno costellato il passato recente.
In questa intervista abbiamo chiesto proprio ad ANAC, e nello specifico al suo presidente Francesco Merloni, quali siano stati i principali risultati di questi primi sei anni di attività nella lotta alla corruzione in sanità in Italia.
La percezione del rischio nelle strutture sanitarie
Secondo il Report “Curiamo la Corruzione” realizzato nel 2017 da Transparency Italia, Ispe sanità e Censis, la percezione della corruzione in sanità nelle varie strutture è molto articolata. Non ci sono stati aggiornamenti dal 2017 ad oggi, ma la fotografia scattata tre anni fa aiuta comunque a comprendere come si percepisce il fenomeno. Il 42,6% delle aziende sanitarie ha un indice alto (14,7%) o medio-alto (27,9%) di percezione del rischio. Il 64,7% dei responsabili per la prevenzione della corruzione intervistati ritiene che il rischio nella propria azienda sia moderato, solo il 5,9% lo giudica elevato. I settori ritenuti maggiormente a rischio dagli intervistati sono quello degli acquisti e delle forniture, le liste d’attesa e le assunzioni del personale.
Il 51,7% delle aziende sanitarie non si è adeguatamente dotata di strumenti anticorruzione, come previsto dalla legge n.190/2012. L’assenza di standardizzazione e le differenze nella classificazione dei rischi di corruzione nei PTPC rendono più complesse sia la valutazione dei Piani stessi, sia l’attività di analisi e confronto più precisi sui rischi di corruzione in sanità.
Per quanto riguarda le stime, qualsiasi calcolo economico risulta fuorviante perché non si può quantificare correttamente un fenomeno così pulviscolare, che può manifestarsi in modi diversi, tra soggetti diversi, in contesti diversi. Non esistono ad oggi parametri oggettivi per quantificare la corruzione. ANAC ha svolto diverse indagini conoscitive in questi anni che restituiscono una parte della misura del fenomeno, il quale però è talmente ampio da ricomprendere crimini che ancora non sono stati scoperti.
Famosa è stata l’indagine ANAC sui pasti negli ospedali, dove alcune realtà proponevano pasti giornalieri a 7 euro e altre, con lo stesso menù, segnavano costi pari a 17,77 euro. E anche il dossier sugli sprechi nel mercato dei dispositivi medici per il diabete realizzato nel 2017 metteva in luce oscillazioni di prezzo ingiustificabili: un ago penna per iniettarsi l’insulina, ad esempio, era pagato 1,5 centesimi dalla Liguria e 16,5 centesimi dal Lazio; per le lancette pungidito si andava dai 2 euro dell’Emilia-Romagna ai 28,86 euro della Provincia di Trento.
Il problema alla base di questi costi così diversi è la gestione dei capitolati. La mano destra non sa cosa fa la mano sinistra e tutti si muovono senza chiedersi cosa fanno realtà simili. Bisogna quindi lavorare sulla trasparenza nella gestione delle risorse perché in questo settore ogni giorno si trovano episodi di conflitto di interesse: preferire una fornitura di un dispositivo medico a un’altra può rappresentare un affare notevole.
Transparency Italia: c’è ancora molto da fare per regolare le lobby e il conflitto di interesse
“Il Decreto Trasparenza con il Foia (Freedom of Information Act) nel 2016 ha fatto fare un grosso salto in avanti, perché i cittadini possono richiedere informazioni relative ad atti pubblici – spiega Davide Del Monte, direttore Esecutivo di Transparency Italia – e oltre a questo sono stati fatti passi avanti a livello legislativo. Ma per il resto le cose non vanno bene. Ogni giorno ci sono casi di corruzione, anche legate al Covid19. Lobby e conflitto di interessi sono due temi su cui bisogna lavorare molto”.
Sul conflitto di interessi Del Monte insiste particolarmente, proponendo un tavolo di discussione e di lavoro tra istituzioni e soggetti del settore sanitario per definire una volta per tutte regole chiare e intelligenti per gestire i rischi: “È normale che un medico faccia docenze, attività di ricerca e poi eserciti la funzione pubblica? – si chiede Del Monte – Probabilmente no. Ci vogliono regole e sanzioni adeguate. E occorre ampliare l’accesso alle informazioni e sviluppare la trasparenza proattiva, vale a dire la pubblicazione autonoma da parte delle pubbliche amministrazioni di tutte le informazioni interessanti. I dati vanno pubblicati perché sono pubblici, il dato è di chiunque paghi le tasse, non è dell’azienda sanitaria”.
Con questa trasparenza proattiva si potrebbe sapere, ad esempio, a quali congressi ha partecipato un medico e come è stato pagato. E queste informazioni non solo dovrebbero essere accessibili ma anche in formato aperto, in modo che si possano copiare e utilizzare per analisi e reportistiche. Adesso, per l’emergenza da Covid-19, l’accesso civico alle informazioni è sospeso fino al 15 maggio. Questo perché la maggior parte del personale lavora da casa e la documentazione è prodotta su carta e messa in archivio. I documenti possono arrivare entro 30 giorni.
In occasione della giornata nazionale contro la corruzione in sanità, lo scorso 6 aprile Transparency Italia ha lanciato il “Forum per l’integrità in sanità”, un’iniziativa patrocinata dall’Associazione Italiana per l’Integrità della Salute. I promotori del progetto mirano ad aumentare l’integrità, la responsabilità, l’etica e la trasparenza del sistema sanitario nazionale avviando e coordinando una stretta collaborazione con le aziende italiane che aderiscono all’iniziativa. E proprio il 21 aprile Transparency Italia ha pubblicato un’analisi dei piani anticorruzione e dei maggiori rischi di corruzione in sanità durante l’emergenza Covid-19.
AIIS: la rete territoriale per arginare la corruzione
L’Associazione Italiana per l’Integrità della Salute (AIIS) è una nuova realtà (ha poco più di un anno) formata dai responsabili per la prevenzione della corruzione della sanità, professionisti sanitari e direttori che hanno deciso di collaborare e diventare interlocutori nei confronti delle istituzioni sui temi della corruzione in sanità. Agnese Morelli è presidente di questa associazione e lavora come responsabile internal auditing e responsabile per la prevenzione della corruzione presso l’Azienda provinciale per i servizi sanitari della Provincia Autonoma di Trento.
Morelli ha una visione “da dentro” e ogni giorno si confronta con clinici e dipendenti pubblici che le chiedono come potersi muovere per andare a un convegno, per partecipare a una gara o accreditare una struttura pubblica.
“Quando parliamo di corruzione – afferma- non dobbiamo solo pensare alla frode in senso lato. Corruzione significa anche maladministration (cattiva amministrazione da parte di un ente pubblico, ndr), dove rientra un po’ di tutto. È difficile individuare chi vuole commettere la frode, perché chi agisce con dolo di solito si prepara, sa quali meccanismi evitare e con il piano anticorruzione sa anche come si muove l’amministrazione”.
Come si mappa quindi un rischio? Si analizza l’ambiente in cui si trova ad agire l’azienda, se esiste criminalità organizzata, se sono state emesse sentenze per corruzione, o sentenze della Corte dei conti per utilizzo non appropriato del denaro pubblico. Internamente si analizza come è strutturata l’organizzazione, se ci sono separazioni delle funzioni, come funzionano le deleghe. Dopodiché si mappano i processi e si individua per ogni fase quali sono i rischi, che impatto possono avere e soprattutto la probabilità che l’evento possa verificarsi.
Si classificano questi rischi e per i rischi ritenuti “medio alti” si pensa a piani di contenimento: se esiste già una misura si valuta se è sufficiente, altrimenti si individuano piani ad hoc e presidi oltre a tutte quelle misure che ANAC ha richiesto alle aziende. Almeno questo è quello che succede nella Asl dove lavora Agnese Morelli, ma non tutte le strutture effettuano questo tipo di controlli.
C’è poi la partita delle strutture private: “Ci sono regioni dove le aziende private rappresentano una buona parte dell’offerta ospedaliera. Qui in Trentino il 90% delle aziende sono pubbliche e la parte restante si occupa di riabilitazione e poco altro. Ma in altre realtà la situazione è diversa. Utilizzare risorse pubbliche per pagare una struttura privata senza controllarla può portare a episodi di corruzione. Ci vuole sempre qualcuno che controlli che i servizi siano stati erogati in modo corretto”.
Sul piano della sensibilizzazione contro la corruzione anche Morelli nota un grande miglioramento, ma anche poca informazione: “Il clinico mi chiama per sapere se può fare certe cose, perché non sa esattamente come muoversi, ad esempio se deve partecipare a un convegno sponsorizzato da un’azienda farmaceutica. Noi facciamo molta formazione in questo senso, andiamo negli ospedali e facciamo incontri con il personale per spiegare cosa sia il conflitto di interesse. Chiunque può trovarsi in questa situazione e il codice di comportamento ti dice che ti devi astenere e informare il tuo responsabile che poi gestirà il conflitto: può decidere di rimuoverti dall’attività oppure può decidere di gestire il conflitto con misure compensative per controllare che non sfoci in un vantaggio personale”. Per il presidente di AIIS, al fine di arginare la corruzione andrebbe rivisto l’art. 53 della legge n.165 del 2001 (“Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) che permette a qualsiasi dipendente pubblico di poter svolgere lavori giornalistici, recensire, partecipare a convegni o fare attività di ricerca senza nessuna autorizzazione: “Questo in campo sanitario è molto pericoloso, perché in questo modo i medici potrebbero partecipare a convegni o a ricerche sponsorizzate, creando un evidente conflitto di interesse per loro e un danno di immagine per l’azienda sanitaria”. Ma ogni Asl può dotarsi di un regolamento che disciplini queste situazioni, superando di fatto la legge n.165 del 2001.
Il capitolo della corruzione nella sanità italiana è lungo, articolato e complesso. Piccoli passi avanti sono stati fatti, ma senza un cambio di paradigma che passi per la tecnologia e la formazione, il nostro paese è destinato a rimanere indietro rispetto ad altre realtà europee. E in un momento di emergenza sanitaria epocale come questo, non ce lo possiamo permettere.