Il 2 aprile è la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo (WAAD, World Autism Awareness Day), istituita nel 2007 dall’Assemblea Generale dell’ONU per richiamare l’attenzione di tutti sui diritti delle persone nello spettro autistico. La prevalenza del disturbo è stimata essere attualmente di circa 1 su 54 tra i bambini di 8 anni negli Stati Uniti, 1 su 160 in Danimarca e in Svezia, 1 su 86 in Gran Bretagna. In età adulta i pochi studi effettuati a livello internazionale segnalano una prevalenza di 1 su 100. Concordemente al dato internazionale, in Italia si stima che 1 bambino su 77, nella fascia di età 7-9 anni, presenti un disturbo dello spettro autistico.
Oggi parliamo di un’iniziativa innovativa che mette le tecnologie digitali al servizio dei ragazzi con autismo con Paolo Robutti, presidente dell’associazione Abilitando, che ha l’obiettivo di concorrere a facilitare la vita quotidiana delle persone disabili, arrivando a colmare, anche grazie alla tecnologia, gap fisici e cognitivi.
I ragazzi con autismo hanno una naturale predisposizione per l’apprendimento delle tecnologie informatiche
I ragazzi con autismo hanno una naturale predisposizione per l’apprendimento delle tecnologie informatiche. Il computer crea un contesto per loro ottimale in quanto esclude la mediazione sociale, è prevedibile, sfrutta le abilità visive, non ha sfumature emotive, non giudica, è ripetitivo e neutrale.
Da queste premesse è nato il progetto Autismo e tecnologie informatiche, che ha come obiettivo una didattica inclusiva che possa supportarli nelle loro difficoltà, preparandoli anche a un possibile inserimento nel mondo del lavoro. L’iniziativa, innovativa sul territorio italiano, ha preso il via a febbraio ad Alessandria con la collaborazione di associazione Il Sole Dentro, Abilitando Onlus e Università del Piemonte Orientale. Partner del progetto la sezione locale dell’Associazione italiana assistenza spastici (Aias). Il finanziamento viene dalla fondazione Social e dalla fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria.
Dottor Robutti, in che modo le tecnologie possono aiutare le persone con disturbi dello spettro autistico?
La tecnologia digitale può essere di grande aiuto per lo sviluppo cognitivo, linguistico e sociale e può diventare un potente alleato per comunicare, imparare e interagire con nuove modalità. Nel caso specifico dell’autismo, l’uso del computer favorisce lo sviluppo delle abilità visuo-spaziali, dell’attenzione e della reattività e potrebbe essere di grande supporto per superare molte delle difficoltà psico-comportamentali frequentemente riscontrate.
In che consa consiste il vostro progetto?
La fase sperimentale, definita “Progetto Pilota”, della durata di tre mesi (fino a maggio), coinvolge una ventina di ragazzi autistici. La maggior parte ha un’età compresa tra i 15 e 18 anni: è stata individuata perché i soggetti con autismo sono perfettamente integrati, frequentano le scuole superiori e poi in tanti vanno all’università, e la nostra idea è proprio di dare loro una marcia in più, che possa essere utile già nel percorso scolastico e poi nel prosieguo degli studi o per l’inserimento nel mondo del lavoro.
Gli studenti, suddivisi in classi molto piccole (di massimo tre o quattro individui) in base alle loro capacità, seguono due ore di lezione gratuite settimanali all’Università di Alessandria. Le lezioni sono tenute da quattro educatori e quattro tutor che conoscono molto bene i ragazzi, supervisionati e coordinati da un docente del Dipartimento di Scienze e Innovazione Tecnologica dell’Università del Piemonte Orientale (DiSit).
Per gli studenti con particolari capacità si prevede l’insegnamento anche del coding
Per gli studenti con particolari capacità si prevede l’insegnamento anche del coding, ossia della programmazione informatica, e di quelle conoscenze necessarie a un inserimento in ambito lavorativo, dalla navigazione su Internet all’uso della posta elettronica, scrittura di testi e uso dei fogli di calcolo. Ma è solo un inizio: non ci vogliamo fermare qui.
Come procederete?
Oltre a una serie di incontri propedeutici, è previsto un monitoraggio. Si tratta di un progetto pilota, che come tale crescerà insieme all’esperienza. Di certo, il nostro obiettivo è di non fermarsi a un corso di tre mesi l’anno, cercando di strutturarlo e di renderlo fruibile per sette mesi l’anno. Partiamo con 20 studenti, ma vogliamo arrivare a 40 perché siamo stati purtroppo costretti a dire di no a tanti. Ancora, vogliamo arrivare a un percorso più completo: partiamo da 24 ore settimanali ma intendiamo aumentare a 50, sempre con il coinvolgimento delle famiglie e degli insegnanti di sostegno nella più completa condivisione del progetto didattico. Il tutto assolutamente in modo gratuito. Inoltre speriamo di estendere il confronto sul tema anche al di fuori dal contesto cittadino.
Il nostro è un progetto pilota, che ha bisogno di dialogo il più possibile ampio e di altri partner non solo per quanto riguarda i fondi, ma anche le idee e le soluzioni: abbiamo bisogno di persone che ci aiutino a farlo crescere.
In prospettiva, come si potrebbe ulteriormente migliorare un progetto del genere dal vostro punto di vista?
La possibilità di seguire i ragazzi fin dalle scuole primarie significherebbe poter intraprendere un lungo percorso formativo al fine di stimolare al meglio le loro potenzialità. Già oggi sono disponibili e sono usati già in quell’età strumenti come Scratch che stimolano un pensiero computazionale e quindi avvicinano in qualche modo il bambino al mondo dell’informatica.