Desideri: “Equità e sostenibilità sono facce della stessa medaglia”

La Fondazione per l’Innovazione e la Sicurezza in Sanità ha l'obiettivo di promuovere e diffondere la ricerca e lo sviluppo delle competenze manageriali e professionali nel campo dell’innovazione organizzativa e teconologica in sanità

Prosegue con questa intervista la rubrica di colloqui con i membri del Tavolo Tecnico per lo studio delle criticità emergenti dall’attuazione del Regolamento dell’assistenza ospedaliera (DM70) e dall’attuazione del Regolamento dell’assistenza territoriale (DM77)

“Il Tavolo tecnico straordinario è composto da ben 52 membri: è ampio, ma, dico io, anche inclusivo. Questo va sottolineato perché altrimenti potrebbe accadere che si facciano tante parole, ma in definitiva quanto discusso non venga applicato”. Così Enrico Desideri, Presidente della Fondazione per l’Innovazione e la Sicurezza in Sanità, interpellato all’indomani della prima riunione di venerdì 20 luglio. Medico, direttore generale per 25 anni, consulente ministeriale, Desideri vanta un’esperienza ricchissima come manager sanitario, e con questo bagaglio si prepara a portare al Tavolo le istanze della Fondazione nata per promuovere e diffondere la ricerca e lo sviluppo delle competenze manageriali e professionali nel campo dell’innovazione organizzativa e teconologica in sanità, con particolare riferimento al settore della sicurezza del paziente, del cittadino e dell’operatore sanitario.

Com’è andato il primo incontro del Tavolo?

Enrico Desideri

Il Ministro in prima persona ha sottolineato la necessità di un approccio organizzativo teso alla trasversalità dei processi di cura, cioè a favorire i percorsi assistenziali e quindi il raccordo fra ospedale e territorio. Questa dinamica deve essere così ben strutturata da favorire la multiprofessionalità e la multidisciplinarietà. L’idea è di sviluppare percorsi trasversali, in una piattaforma organizzativa al posto di quelli che siamo soliti definire e considerare silos organizzativi separati, l’ospedale e il territorio. Oggi per fortuna la visione ospedalocentrica sta andando un po’ in cantina e questo approccio ai percorsi assistenziali è affiancato anche da una maggiore flessibilità organizzativa. Abbiamo avuto il Covid e ci siamo resi conto che gli steccati che in alcuni ospedali ancora c’erano fra la terapia intensiva, la subintensiva pneumologica, la neurologica, la cardiologica ci hanno messo in difficoltà perché non abbiamo in quei casi saputo organizzare le attività secondo i bisogni che improvvisamente si sono presentati. C’è un’idea che gira già da tempo di organizzare anche le attività ospedaliera per intensità di cura e sviluppare questa flessibilità organizzativa e la relativa formazione che è necessaria affinché si possa sviluppare in modo adeguato.

Oggi questo naturalmente è ancora più facile grazie alle potenzialità tecnologiche che erano del tutto inimmaginabili fino a qualche anno fa. Oggi possiamo raccordarci e parlarci in modo efficace fra professionisti e il teleconsulto è quasi scontato.

Il Tavolo si è posto l’obiettivo di concludere il lavoro entro il 31 ottobre con un libro bianco

Tornando al Tavolo, devo dire che la prima riunione è stata anche meglio di quanto mi aspettassi e i partecipanti, dalle organizzazioni sindacali alle associazioni di esperti, ai rappresentanti delle organizzazioni datoriali, tutti hanno espresso un grande apprezzamento per questa impostazione lanciata dal Ministero sui modelli organizzativi, volta a rinnovare anche normativamente, ma di certo prima culturalmente, perché nulla si migliora se non cambia la testa. Ci siamo organizzati con dei sottotavoli e ci siamo proposti di concludere il lavoro entro il 31 ottobre, quindi non c’è tempo da perdere. L’esito sarà un libro bianco ed è chiaro che il Ministero poi lo trasformerà in qualcosa di più cogente, però se abbiamo scritto tutti insieme non dovrebbero esserci i soliti rallentamenti che conosciamo quando non c’è un così esteso consenso. Sono contento, mi sembra stranamente possibile e davvero tutto molto positivo.

Quali sono le priorità sui due Decreti per la vostra Fondazione?

La prima è superare gli steccati. In questo senso il DM 77, che è più recente, presenta minori criticità, però manca comunque una visione del percorso di cura: il punto non è proprio richiamato dal decreto, che resta in ogni caso un passo avanti perché valorizza il territorio. Però neanche nel DM 77 è definita la strutturazione del raccordo, che non può essere lasciata al buon cuore del singolo. Insomma, qualche ritocco andrà fatto.

Il DM 70 invece risente un po’, come già emerso in diverse sedi, di mancanza di flessibilità. Inoltre, ma questa è la mia opinione, la lungodegenza ha ancora senso dentro l’ospedale come letto ospedaliero, perché dentro l’ospedale ci può stare anche l’Ospedale di Comunità: quanti corridoi vuoti ci sono oggi in tutti gli ospedali d’Italia, con il tasso di ricovero calato drasticamente rispetto al passato. È qui che si trova quello che chiamo raccordo strutturato, dove il paziente può contare sul medico di famiglia, ma anche sullo specialista che l’ha conosciuto perché purtroppo magari lì è stato ricoverato.

Oggi siamo più orientati verso i dipartimenti tecnico-scientifici che come forme di tipo organizzativo

Le idee che si possono mettere in campo sono tante. Ad esempio parliamo molto di dipartimenti, che sono tecnicamente sempre stati pensati come forme di tipo organizzativo: il capo del dipartimento con tante unità operative, che sono nate con la legge Mariotti del 1968. Oggi siamo molto più orientati verso i dipartimenti tecnico-scientifici. In concreto, è chiaro che il territorio e l’ospedale devono interagire, perché un paziente che ha avuto un trattamento sanitario obbligatorio deve giustamente e rapidamente essere preso in carico sul territorio. Lo stesso vale per tanti altri casi: la riabilitazione è un dipartimento tecnico scientifico a cavallo fra ospedale e territorio, quelli che nel linguaggio tecnico vengono chiamati dipartimenti transmurali. Su questi aspetti il tavolo non si è lanciato, ma a mio parere potrebbero essere punti da rivedere.

Al di là del Tavolo, quali sono in questo momento gli obiettivi principali per la Fondazione che presiede?

La Fondazione è nata in epoca pre-Covid dalla mia consapevolezza, condivisa con altri, che il problema dell’ospedalizzazione fosse legato alla mancanza di assunzione in cura dei malati cronici, dei malati rari, del ritardo diagnostico, alla mancanza di prevenzione primaria e secondaria. Il messaggio che ho lanciato è che bisogna sottolineare l’importanza della prevenzione e della trasversalità dell’organizzazione per i percorsi di cura e molte Aziende Sanitarie hanno aderito. Qualcuna ha anche preso iniziative in ottica di formazione ai propri middle manager, cioè ai direttori di distretto, di dipartimento, alle figure che stanno sotto la “triade” formata dal direttore generale, il direttore sanitario e il direttore amministrativo, cui si aggiunge il direttore del servizio sociale. Quindi l’obiettivo è stato di supportare le aziende nel fare formazione e convincimento verso il middle management in questa direzione.

Equità e sostenibilità sono due facce della stessa medaglia

È qualcosa che ho applicato e di cui ho visto i risultati in termini di sopravvivenza dei pazienti fragili e soprattutto con i più fragili, coloro che vivono nelle aree interne e con un basso livello di istruzione. È incredibile quanto si sono ridotte la mortalità e soprattutto l’ospedalizzazione d’urgenza di questi pazienti e il risultato è che si risparmia. Lo slogan che uso spesso è equità e sostenibilità, perché sono due facce della stessa medaglia.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario