Digitale, la sanità per tutti

La sfida della sanità digitale è anche organizzativa: per garantire un equo accesso servono formazione e investimenti infrastrutturali. Esperti a confronto nella prima edizione del Festival del Digitale Popolare

La pandemia ha messo alla prova la sanità, obbligandola a sperimentare in ambito digitale. La maggior parte dei cittadini e dei medici ha dovuto, suo malgrado, acquisire familiarità quantomeno con l’uso dello smartphone e, in alcuni casi, del fascicolo sanitario elettronico. Il Covid ha infatti portato a pieno compimento la dematerializzazione delle ricette mediche, che fino a quel momento necessitavano ancora di un promemoria cartaceo per poter ritirare il farmaco.

Di questo e di molto altro si è parlato nel panel “Digitale, la sanità per tutti” che si è tenuto all’interno del Festival del Digitale Popolare organizzato dalla Fondazione Italia Digitale e di cui Policy and Procurement in Healthcare è stato media partner.

“Con l’avvento della pandemia abbiamo anche toccato con mano gli effetti della disinformazione – ha esordito Cesare Buquicchio, capo ufficio stampa del Ministero della Salute – Abbiamo capito che, a differenza di qualche anno fa, oggi il debunking non è più così utile: invece di smontare in modo puntuale le tesi false, sarebbe meglio far capire quali sono i sintomi della disinformazione, in modo da creare gli anticorpi per intercettarla”.

 

Il nodo organizzativo

Quando si parla di digitale in sanità si pensa immediatamente alla telemedicina, all’intelligenza artificiale e in generale a hardware e software. In realtà, per poter utilizzare questi strumenti al meglio è necessario investire sui processi delle aziende sanitarie e degli ospedali.

“Questi due anni ci hanno mostrato il divario tecnologico e organizzativo che ci separa dal territorio e dai pazienti – ha sottolineato Franca Dall’Occo, direttrice generale dell’Asl To3 – Siamo stati accusati di aver fatto un’eccessiva ospedalizzazione, con accessi al Pronto soccorso non appropriati. Probabilmente avremmo potuto evitare alcuni focolai che hanno interessato le strutture ospedaliere se fossimo stati in grado di mettere a terra la telemedicina e i teleconsulti”.

Il nodo infatti non è solo sapere utilizzare gli strumenti digitali: per erogare un nuovo modello di assistenza sanitaria è necessario intervenire sui processi organizzativi sottostanti a questi nuovi processi di cura.

“Dobbiamo ricordare che esiste un gap culturale, e non solo tra i professionisti della sanità – ha aggiunto la Dg – E poi c’è il problema infrastrutturale: internet non arriva nei territori montani, per esempio. In quelle aree serve dunque uno sportello con un’impiegata per le prenotazioni o per il ritiro dei referti”.

Il territorio dell’Asl To3 comprende alcuni grandi centri e diversi Comuni sparsi in località marginali che rischiano di essere doppiamente penalizzati dalla digitalizzazione: una cattiva organizzazione potrebbe infatti privarli del presidio fisico, senza che sia loro garantito l’accesso al servizio online.

L’altro aspetto riguarda l’adeguamento dei professionisti alle novità: “Fino a qualche mese fa molti dei nostri medici non erano in possesso della firma digitale, indispensabile per utilizzare il fascicolo sanitario elettronico – riporta Dall’Occo – Ebbene, oggi il 100% di loro si è adeguato, ma la percentuale di cittadini che accede allo strumento è di molto inferiore al 50%. Serve un’attività di alfabetizzazione digitale della nostra popolazione e poi investimenti in infrastrutture. Solo così si garantirà davvero l’equità d’accesso alle cure a tutti i cittadini”.

La Dg ha poi ricordato come in un futuro non così lontano “ci troveremo a dover gestire quella bomba epidemiologica che sono le malattie croniche: si tratta di una serie di patologie che richiedono un monitoraggio frequente. Se non ci prepariamo a farlo in modo digitale, difficilmente avremo le risorse per gestirle in altro modo al domicilio del paziente”.

 

L’importanza delle persone

Filippo Anelli, presidente dell’Ordine nazionale dei medici, ha ricordato che “il problema risiede nel numero dei professionisti: la digitalizzazione e l’avvio di tutti i processi di intelligenza artificiale non determineranno una riduzione del tempo di lavoro del personale. Credo anzi che bisognerebbe puntare sempre di più sui professionisti”.

Si dice spesso che la differenza la faranno le persone e in questo caso più che mai: Filippo Anelli“Abbiamo di fronte a noi opportunità straordinarie che consentono di migliorare l’equità nell’accesso alle cure. Il fatto che i cittadini abbiano ancora difficoltà nell’accesso dipende anche da come viene organizzato il sistema. La ricetta digitale, per esempio, durante la pandemia ha subito un processo accelerato e molti cittadini hanno iniziato a usare il fascicolo sanitario elettronico per poter visualizzare il documento direttamente in farmacia”.

Se c’è un’esigenza pressante, si corre per soddisfarla. La vera sfida nella Pubblica amministrazione è riuscire ad accelerare una serie di percorsi e consentire ai professionisti di poterli utilizzare.

L’intelligenza artificiale, inoltre, va ben oltre alla mera gestione di grandi quantità di dati: “Ritengo che questo strumento debba essere di grande supporto ai professionisti: noi non soltanto siamo pronti, ma siamo ansiosi di iniziare questi processi. Ovviamente con una grande cautela per quanto riguarda la privacy dei cittadini”.

Il presidente Fnomceo ha poi ricordato che le potenzialità sono molte: dalla radiodiagnostica alla consultazione di banche date per migliorare l’appropriatezza, fino a evidenze scientifiche per determinare la migliore assistenza da parte del medico.

L’intelligenza artificiale in azienda

Al tavolo erano presenti anche i rappresentati di due delle aziende che stanno più utilizzando l’intelligenza artificiale applicata alla sanità: Affidea e Takeda. La prima è specializzata in diagnostica per immagini, la seconda è una casa farmaceutica specializzata in oncologia, gastroenterologia, neuroscienze e malattie rare.

Roberto Atzeni“L’intelligenza artificiale affianca il paziente nelle varie fasi, dalla prenotazione in poi – ha spiegato Roberto Atzeni, Quality and Risk Manager and Data Protection Officer di Affidea Italia – Nella diagnostica per immagini, per esempio, le apparecchiature che di default ricostruiscono immagini ad altissima qualità riducono il tempo di esposizione alle radiazioni ionizzanti”.

Atzeni vede il rischio derivante da un utilizzo non regolamentato dell’intelligenza artificiale: “Non vogliamo un mondo digitale fuori controllo. Come azienda siamo disponibili per aiutare a normarlo”.

Durante la pandemia Takeda ha rivisto alcuni meccanismi organizzativi. Quelli rivolti all’esterno si sono rafforzati: “Già nel 2014-15 avevamo introdotto un engagement multicanale per i medici da parte degli informatori scientifici – ha affermato Andrea Pecci, Costumer Excellence&Innovation Head di Takeda Italia – La pandemia ci ha quindi trovati pronti e abbiamo incrementato questo approccio olistico”.

Circa il 30-35% di medici ha richiesto un engagement multicanale. Andrea Pecci“Il nostro obiettivo è fornire le informazioni corrette al momento giusto e nel posto giusto – ha continuato Pecci – Oggi abbiamo a disposizione metriche molto più potenti di quanto poteva essere in passato il feedback dopo una chiacchierata. Possiamo capire che cosa interessa di più al medico tracciando gli articoli che legge all’interno della nostra newsletter, i temi sui quali si sofferma di più e così via. In questo modo possiamo fornirgli un’esperienza molto più personalizzata”.

La vera rivoluzione, invece, è avvenuta nell’organizzazione aziendale interna: “La digitalizzazione ci ha permesso di cambiare il paradigma, impostando un nuovo modello lavorativo all’interno degli uffici – ha spiegato Pecci – Abbiamo chiesto alle persone di cambiare il proprio mindset: non siamo più pagati per il tempo che diamo all’azienda, ma per quello che produciamo, per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti. Si tratta di un mix tra lavoro agile e intelligente”.

Le ricadute di questo sistema organizzativo hanno un impatto positivo sul pianeta (i dipendenti si spostano meno e quindi inquinano di meno) e sul benessere personale (la maggiore flessibilità permette un miglior equilibrio con la vita privata).

“All’inizio chi era abituato alla vita d’ufficio si è sentito un po’ oppresso – ha ammesso Pecci – Nei primi tempi abbiamo assistito a una sovraproduzione di mail e videocall. Oggi, però, tutto funziona meglio: abbiamo il diritto alla disconnessione e sappiamo di non dover rispondere immediatamente a un messaggio. Se c’è un’urgenza, veniamo chiamati”.

L’Agenzia per la sanità digitale

L’Agenas, l’Agenzia nazionale per i Servizi sanitari regionali, sta assumendo anche il ruolo di Agenzia nazionale per la sanità digitale e avrà quindi il compito di portare a compimento la digitalizzazione della sanità italiana.

Giulio Siccardi“Nell’ambito della rivoluzione digitale in sanità sono stati individuati due grandi progetti e una riforma – ha ricordato Giulio Siccardi, direttore Uoc Sistemi informativi, patrimonio, gestione della logistica e provveditorato di Agenas – A supporto del fascicolo sanitario 2.0 e della telemedicina è stata introdotta l’Agenzia per la sanità digitale, per superare tutte le difficoltà che avevano fatto sì che ci fossero 21 fascicoli sanitari elettronici diversi che disorientavano il cittadino”.

Con la prima versione del fascicolo c’è infatti stato un problema di interoperabiità: visite, esami e vaccini effettuati in una regione diversa dalla propria non erano riportate.

“L’agenzia deve quindi produrre progettualità partecipata per assicurare uno sviluppo omogeneo sul territorio italiano a supporto della sanità digitale – ha proseguito Siccardi – Abbiamo iniziato a farlo per la telemedicina. Per la telemedicina abbiamo un miliardo di euro grazie al Pnrr. Dal punto di vista progettuale sono state definite delle linee guida per valorizzare tutte le esperienze che si sono succedute nel territorio nazionale e assicurare un’integrazione”.

Da una survey del Ministero salute emerge che solo per il 33% delle attività digitali svolte in Italia è stata dimostrata una qualche efficacia clinica. “Inoltre, è emerso come pochissime di queste attività fossero integrate – ha rilevato Siccardi – È fondamentale che la telemedicina sia sviluppata assicurando una interoperabilità con tutti gli strumenti a disposizione. È altresì importante che ci siano interlocutori chiari e precisi. In questo il fascicolo sanitario elettronico deve diventare l’unica porta di accesso a tutti i servizi”.

Il problema dunque non è solo tecnologico, ma anche di comunicazione: “Affinché gli sforzi non siano vanificati, tutti gli strumenti che diffondiamo devono essere conosciuti dai cittadini. In questo abbiamo bisogno dei comunicatori”, ha concluso Siccardi.

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista