Dispositivi medici, perché il payback mette tutti in allarme

Payback dispositivi medici: a rischio aziende, forniture e prestazioni. Ne abbiamo discusso con Fernanda Gellona (Confindustria DM), Anna Lisa Mandorino (Cittadinanzattiva) e Mauro Scatizzi (Acoi)

Il pagamento del payback sui dispositivi medici è slittato al 30 aprile: lo ha confermato il governo nel Milleproroghe. Salvo novità, le aziende del comparto sanità sono tenute a rimborsare il 50% delle spese effettuate in eccesso dalle Regioni. Per questa primavera parliamo del pregresso per gli anni 2015-2018, che vale 2 miliardi e 200 milioni. Una cifra che desta preoccupazioni su molti fronti: si parla di rischio chiusura per circa l’80% delle piccole imprese del comparto, che sono oltre 5mila, ma anche, di conseguenza, di un grave problema di approvvigionamento per gli ospedali e in definitiva di pesanti ricadute sulle prestazioni offerte ai cittadini dal Servizio Sanitario Nazionale.

Ne abbiamo discusso nella LIVE “Payback, dispositivi medici a rischio” con Fernanda Gellona (Direttore generale Confindustria Dispositivi Medici), Anna Lisa Mandorino (Segretaria generale Cittadinanzattiva) e Mauro Scatizzi (Direttore UOC Chirurgia Generale Ospedale Santa Maria Annunziata di Firenze, ASL Toscana Centro, Presidente Associazione Chirurghi Ospedalieri – ACOI).

Il dibattito ha preso le mosse dai risultati del sondaggio condotto nelle settimane precedenti tra i nostri lettori. Innanzitutto abbiamo domandato: del payback dispositivi medici cosa ti preoccupa maggiormente? Per il 32% il principale timore è quello del calo delle prestazioni sanitarie. Seguono le forniture a rischio (27%) e, alla pari, con il 20%, posti di lavoro a rischio e fuga delle aziende all’estero.

La seconda domanda era: qual è la priorità in ambito di payback dispositivi medici? Per il 35% la priorità è proprio la cancellazione del payback. Seguono la necessità di fondi al SSN (33%), la valorizzazione dell’innovazione (25%) e, con un risultato decisamente inferiore, l’adeguamento del tetto per le regioni (8%).

Confindustria DM: “Mantenere il testo significa decidere di dare meno prestazioni ai cittadini”

Fernanda Gellona

Lo slittamento ad aprile non basta: per Confindustria Dispositivi Medici il payback va cancellato. Perché? “Se questo non accadrà, a maggio le imprese dovranno chiudere i bilanci in perdita; molte di loro saranno costrette a licenziare o chiudere e comunque moltissime subiranno un forte contraccolpo dalle inevitabili restrizioni di accesso al credito, che deriveranno da questa situazione. Ma la cosa più grave e difficile da mettere a fuoco è che quelli che ci rimetteranno insieme a noi sono i professionisti e i cittadini. Bisogna comprendere che il payback è una norma che non rappresenta uno strumento di contenimento della spesa, peraltro già completamente controllata dal sistema delle gare pubbliche, ma è un forte danno per la salute dei pazienti. In Italia, infatti, non c’è un problema di spesa in dispositivi medici fuori controllo, ma di sottofinanziamento del Ssn“.

Molte aziende stanno rinunciando a rispondere alle nuove gare: si rischia l’interruzione delle forniture agli ospedali

Come vi muoverete quindi nelle prossime settimane e cosa è possibile aspettarsi? “Ci si augura che il Tar metta una parola ferma sulla questione. Il balletto di norme, decreti attuativi, proroghe e ricorsi rappresenta perfettamente l’incertezza nella quale si vive. Incertezza che determina non solo ulteriori problemi alle aziende, sulle quali pende una spada di Damocle, ma frena anche gli investimenti nel settore. Se non si capisce questo, mettendo fine alla questione, non credo si renda un servizio ai cittadini sotto alcun aspetto. Molte aziende in questo contesto stanno rinunciando a rispondere alle nuove gare, si rischia l’interruzione delle forniture agli ospedali.

Senza la cancellazione del payback, gli ospedali avranno grandi problemi di approvvigionamento e se le imprese del comparto falliranno si avranno pesanti ricadute anche sull’assistenza tecnica degli strumenti installati negli ospedali, che ad oggi sono di responsabilità proprio delle imprese del comparto, e sulla fornitura di tecnologie di qualità. Oggi la spesa media pro capite in dispositivi medici nel nostro Paese è tra le più basse d’Europa: 123 euro contro i 284 di media europea. E mantenere i tetti vuol dire decidere di dare meno prestazioni ai cittadini e abbassare la qualità degli strumenti diagnostici, di cura e riabilitazione indispensabili per la salute. Il Governo deve decidere se continuare a sottofinanziare il Ssn, riversando così sulle aziende l’onere della sua sostenibilità, finanziarlo, o investire in salute facendo una programmazione più attenta e aderente ai bisogni di cura dei cittadini. In ogni occasione di incontro lo stiamo ribadendo”.

Cittadinanzattiva: “Coinvolgere i pazienti giova al SSN”

Anna Lisa Mandorino

Come Cittadinanzattiva avete il polso della condizione dei pazienti. Come valutate il sistema attuale di payback dei dispositivi medici da questo punto di vista? “Come un’ulteriore criticità che va a incidere su una situazione già di difficoltà in cui versa il servizio sanitario in molte aree del nostro Paese. I problemi che più pesano sui cittadini al momento sono noti: la difficoltà di accedere alle prestazioni sanitarie, quindi le lunghe liste d’attesa; il fatto di essere spesso costretti a rimetterci in termini di spesa diretta per avere prestazioni sanitarie che altrimenti arriverebbero troppo in ritardo, investendo anche direttamente con il cosiddetto out of pocket; la difficoltà di trovare un’assistenza territoriale adeguata, con la desertificazione di molte professioni sanitarie su gran parte del territorio, non soltanto sulle regioni del sud. Il quadro è quindi abbastanza critico e richiede un investimento sistematico complessivo sul Servizio Sanitario Nazionale, cosa che d’altra sembravamo aver capito durante il periodo della pandemia. Tutti noi ci siamo detti: mai più disinvestire sulla salute e sul Servizio Sanitario Nazionale, che ne è il principale strumento, universale ed equo. La salute è l’infrastruttura per eccellenza del nostro Paese e anche la precondizione per tutte le altre attività: non c’è il lavoro, per esempio, senza la salute, e questo sembrava un insegnamento che avevamo appreso. Purtroppo, però, a distanza di qualche mese lo rivediamo messo in discussione anche da provvedimenti come questo, che non vanno nel senso di rafforzare il servizio sanitario ma anzi possono essere causa dell’arretramento di molte prestazioni e della qualità delle stesse”.

La partecipazione dei cittadini alle decisioni sulle politiche sanitarie ha ancora degli spazi di grande crescita

I cittadini/pazienti nel nostro sistema sanitario sono coinvolti a sufficienza nei processi decisionali, compreso il dibattito su un tema caldo come quello del payback? “Con rammarico, devo dire che i cittadini non sono stati coinvolti in questa discussione, altrimenti avrebbero potuto portare il loro punto di vista e magari contribuire a prendere una decisione un po’ più accorta e prudente. Questa riflessione mi porta a precisare che in generale la partecipazione dei cittadini alle decisioni sulle politiche sanitarie ha ancora degli spazi di grande crescita.

Non che non esista partecipazione nel nostro mondo, non che le associazioni non rivendichino con forza spazi e modalità di partecipazione, non che manchino la pratica e i processi di partecipazione, però tutto questo è legato a scelte contingenti o legate alla buona volontà di chi le fa, dimenticando un dato secondo noi fondamentale: in fondo la partecipazione serve alle istituzioni, dico per paradosso, più ancora che alle associazioni dei pazienti. Permettere alle associazioni dei pazienti e dei cittadini di partecipare fa sì che alcune decisioni che si assumono siano più efficaci e non portino risultati controproducenti come è avvenuto nel caso del payback. Chiudo tuttavia citando una notizia positiva da questo punto di vista: il Ministero della Salute, nel precedente governo (e sembra che anche l’attuale abbia confermato l’intenzione), ha approvato un atto di indirizzo sulla partecipazione delle associazioni che potrebbe rappresentare invece un perimetro un po’ più strutturato in cui rendere possibile la partecipazione dei cittadini. Speriamo che da questo punto di vista ci siano utili sviluppi anche su temi delicati come quello del payback sui dispositivi medici”.

Scatizzi: “Attenzione alle gravi disparità regionali”

Marco Scatizzi

Interpellato sull’imminenza del rischio per le forniture, Scatizzi ha affermato: “Ne abbiamo già avuto qualche sentore. Devo dire che noi parliamo di Servizio sanitario nazionale, ciò che è previsto dalla legge e di cui la nostra associazione è fautrice, cioè di un servizio sanitario pubblico e nazionale, ma ahimè in realtà non è così, perché il servizio sanitario pubblico è un servizio sanitario regionale con forti disparità sia sotto il profilo del finanziamento globale che dell’erogazione delle prestazioni. Noi in Toscana eroghiamo praticamente tutto, intorno al 95%, attraverso il sistema sanitario pubblico e quindi diretto, e abbiamo 396 milioni di payback; ci si può chiedere se l’abbiamo gestito bene, cioè se il superamento dei tetti sia stato ben gestito, e io sono convinto che non lo sia stato, quindi abbiamo delle responsabilità anche noi come servizio pubblico, ma la Lombardia o il Lazio (che ha soltanto il 50% di erogazione delle prestazioni come sanità pubblica), ovviamente hanno iscritto a bilancio quasi niente. Ricordiamoci – e noi percepiamo qualche inizio di scricchiolio al rifornimento – che se il servizio andasse in crisi, non andrà in crisi nello stesso modo in tutte le regioni e nemmeno all’interno della Regione.

Il rischio per le forniture insiste maggiormente sulle regioni che hanno erogato più prestazioni in regime di sanità pubblica e che quindi hanno cifre di payback più alte

Questo perché se il problema è per le prestazioni del servizio pubblico, il privato convenzionato che accede alla ripartizione dei fondi del SSN tramite il sistema dei “Drg”(diagnosis related groups, il sistema delle tariffe e delle regole di remunerazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera erogate nelle strutture sanitarie pubbliche e private accreditate) potrà tranquillamente continuare a erogare il proprio servizio; basta che la regione dia l’ok e rimborsi il “Drg” perché il presidio è dentro quella prestazione. C’è quindi una fortissima disparità in Italia e come noi anche l’Emilia Romagna, il Veneto, il Friuli, in parte la Puglia, sono molte le regioni che hanno dovuto iscrivere a bilancio tanti soldi per il payback e lì insiste sicuramente di più il rischio”.

Così come i pazienti, anche i medici lamentano di non essere sufficientemente coinvolti nelle decisioni sul SSN. “Eppure ne dovremmo essere un elemento centrale. Siamo, di fatto, titolari di una responsabilità enorme, ma questo non significa che siamo presi in considerazione. Noi facciamo il possibile per esserlo e stimoliamo a tutti i livelli le autorità, soprattutto quelle che legiferano perché ci mettono nella condizione di lavorare entro alcuni limiti che sono appunto quelli dettati dalle leggi e dai decreti attuativi. Vorremmo essere più ascoltati anche perché crediamo di avere qualche elemento prezioso di suggerimento per poter scrivere forse un po’ meglio le leggi o applicarle in modo più adeguato.

Vogliamo assolutamente coinvolgere i pazienti e spiegare loro che la battaglia contro il payback è nel loro interesse

Perché l’Acoi per prima e, ahimè, quasi da sola, ha iniziato una campagna di sensibilizzazione sul payback? Per due motivi. Il primo è la preoccupazione forte di non avere gli strumenti adatti da qui a breve se quel che chiede il payback dovesse essere restituito davvero tutto e nei termini nei quali era scritto nella legge. Il secondo è che noi siamo da sempre abituati come Associazione dei Chirurghi Ospedalieri Italiani e come chirurghi a parlare tutti i giorni con i pazienti. Noi vogliamo assolutamente coinvolgere il paziente, spiegare che questa battaglia è nel suo interesse: qui non ci sono trucchi o altre cose, un retropensiero che spesso e volentieri si fa strada in molte delle nostre quotidiane attività. No, qui è una legge che fu scritta, a mio giudizio, molto male all’epoca e che per otto anni non è stata resa esecutiva.

Non ci dimentichiamo che questa è la prima tranche: 2,2 miliardi sono degli anni 15-18, poi c’è un altro miliardo e 8 circa tra il 2019 e il 2022, insomma 4 miliardi che secondo le regole pazzesche dei payback dovrebbero essere richiesti. Chi ci governa adesso non avrà responsabilità in tal senso, perché non l’ha scritto e non l’ha portato in esecuzione, ma sono loro che dovranno trovare a valle una soluzione perché i nostri cittadini possano ancora affidarsi e venire a farsi operare nelle nostre sale operatorie con la tranquillità di avere la migliore prestazione e la migliore qualità dei dispositivi perché questa prestazione possa essere efficiente ed efficace ogni giorno”.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario