Sono quasi 4 milioni le persone in cura per Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (DNA) in Italia. Di questi, 22mila sarebbero a rischio a causa del mancato rifinanziamento del Fondo nazionale per il contrasto ai disturbi dell’alimentazione. Decisione che ha spinto famiglie e addetti ai lavori a protestare: il 19 gennaio sono previste manifestazioni in molte città italiane.
La Legge di Bilancio approvata a fine 2021 ha destinato 15 milioni di euro per il 2022 e 10 per il 2023 per i DNA, una misura tampone che avrebbe dovuto garantire ossigeno alle Regioni fino all’entrata in vigore dei nuovi LEA, approvati nel 2017 e che diventeranno pienamente operativi entro il primo semestre di quest’anno. La Legge di Bilancio prevedeva infatti che fosse individuata, all’interno dei LEA, l’area dei DNA, sganciata da quella della salute mentale.
La progettualità finanziata scadrà il 31 ottobre 2024, data entro la quale molti servizi dovranno chiudere se non si troverà una soluzione. «L’istituzione del Fondo ha permesso di potenziare un pochino la rete sanitaria per il trattamento dei DNA – spiega a TrendSanità Aurora Caporossi, fondatrice dell’associazione Animenta -. In questi ultimi due anni sono state assunte circa 800 nuove risorse e sono stati aperti nuovi reparti per il trattamento dei DNA. Il problema è che molti di questi basavano la loro progettualità sulle risorse elargite dal Fondo e adesso si trovano a rischio chiusura, così come le persone che sono state assunte e che potrebbero essere licenziate in mancanza di un sostegno economico adeguato».
Un inizio
Sebbene sia stata una misura importante, il Fondo non ha cambiato la situazione dei DNA a livello nazionale, che spesso manca di progettualità proprio perché i Centri e i servizi sono privi di risorse strutturate.
«Il Fondo ha creato una maggiore sensibilità che a sua volta ha permesso la nascita di una rete di offerte nazionali e regionali, gettando le basi per l’individuazione delle buone pratiche tra i diversi servizi», evidenzia a Trendsanità Armando Cotugno, Responsabile dell’UOSD Disturbi e Comportamento Alimentare dell’Asl Roma1.
«Chiediamo che i DNA abbiano un budget autonomo all’interno dei LEA – aggiunge Caporossi -: in questo modo si riuscirebbe ad avere fondi vincolati e perenni, a prescindere dalla Legge di Bilancio e dal Governo».
Il Movimento Lilla, cioè la rete delle associazioni che si batte per ottenere più diritti chiede lo scorporo, come previsto dalla già citata Legge di Bilancio (priva del decreto attuativo per rendere possibile la trasformazione) e come accaduto in passato per l’autismo.
Il Fondo è stato importante, ma servono risorse vincolate e perenni, che garantiscano una vera progettualità e impongano standard minimi per la presa in carico
L’inserimento dei LEA, inoltre, obbligherebbe le Regioni a garantire uno standard minimo per la presa in carico di queste patologie. «Oggi i Centri si concentrano nel Centro-Nord e ci sono Regioni che ne sono completamente prive», ricorda Cotugno.
A livello nazionale i Centri sono 126 (122 appartengono al Servizio Sanitario Nazionale e i rimanenti al privato accreditato). A questi si aggiungono una serie di associazioni e strutture private riconosciute dal Ministero della Salute e in grado di erogare i servizi necessari per questo tipo di disturbi.
«Impensabile fare a meno del pubblico»
Si potrebbe pensare che se i servizi pubblici chiudono, sarà il privato a fare affari. «Non è così nel modo più assoluto – afferma a TrendSanità Maria Laura Ippolito, Presidente di FIDA (la Federazione Italiana Disturbi Alimentari) e del Centro Gapp di Alessandria -. I Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione sono patologie che richiedono tutti i livelli di cura ed è indispensabile una sinergia tra pubblico e privato».
Secondo Ippolito, i cinque Centri privati che afferiscono alla FIDA si sono integrati da sempre con il pubblico e i suoi servizi: «Da parte nostra, l’aver attivato una rete associativa ci permette di accompagnare anche persone in difficoltà economica. Il pubblico, d’altra parte, può contare su di noi per esempio per la psicoterapia continuativa, un servizio che può avere difficoltà ad erogare. Negli anni è successo che fossimo noi a inviare al pubblico persone che avevano avuto un primo contatto con la nostra rete. Si tratta di una collaborazione bidirezionale proprio alla luce della complessità di questi disturbi».
Il mancato rifinanziamento del Fondo, quindi, pone problemi anche agli enti privati: «I DNA richiedono un’équipe integrata tra pubblico e privato sociale. È impensabile fare a meno del pubblico».
Un esempio del perché? «Noi collaboriamo con il servizio di Psichiatria dell’ospedale di Alessandria, dove ci sono pochissimi psichiatri nonostante i concorsi. Le liste d’attesa sono lunghe e siamo in difficoltà a lavorare, senza la “sponda” del servizio pubblico».
I Centri abbattono la mortalità
Con 3.128 decessi nel 2022 i DNA sono la seconda causa di morte tra gli adolescenti dopo gli incidenti stradali. «Ci si focalizza molto sulla mortalità, com’è giusto che sia. Bisogna però ricordare che questa è direttamente proporzionale alla carenza dei servizi – chiosa Cotugno –. Laddove questi ci sono, il rischio di mortalità si abbatte. Noi in 15 anni abbiamo avuto un solo decesso».
A volte tuttavia avere il Centro vicino non basta: «Anche dove esiste un servizio si fa fatica a dare una risposta adeguata – prosegue Cotugno -. Esiste una criticità epidemiologica non solo in Italia, ma in tutta Europa e negli USA. Questi Paesi scontano un ritardo nell’organizzazione dei servizi DNA».
Il Covid ha fatto aumentare le richieste di presa in carico 30-40% a livello nazionale. «Nel nostro Centro l’incremento è stato del 280% e questa domanda può essere gestita solo con team multiprofessionali, la cui istituzione era uno degli obiettivi del fondo».
L’Asl di Roma1, con un bacino di oltre un milione di persone, ha circa 150 persone in lista d’attesa.
«È poi assolutamente necessario che ci sia un Piano dedicato, specifico per questi pazienti e costruito in base all’età e allo stadio di malattia – prosegue il Responsabile dell’UOSD Disturbi e Comportamento Alimentare dell’Asl Roma1 -. In passato i pazienti venivano seguiti da un solo professionista: dietista, psicologo, psichiatra, nutrizionista o medico internista. L’identificare i DNA nei LEA deriva anche dalla necessità di integrare tutti questi interventi».
Che cosa succede adesso
Le Associazioni del Movimento Lilla manifesteranno in molte città italiane il 19 gennaio, per chiedere di non dimenticare chi soffre di Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione e per invitare il Governo a inserire i DNA nei nuovi LEA.
In assenza di indicazioni, la responsabilità dell’accesso ai servizi resta in capo alle Regioni: alcune, come l’Emilia Romagna, hanno affermato di non aver intenzione di chiudere nessun Centro, sopperendo con fondi propri alle mancanze nazionali. In una nota l’assessore alle Politiche per la salute, Raffaele Donini ha commentato che «lo Stato non può abbandonare questi cittadini lasciando completamente sulle spalle delle Regioni l’onere delle cure».
Il Governo sta cercando di correre ai ripari: il Fondo potrebbe essere rifinanziato per 10 milioni di euro grazie a un emendamento inserito nel Milleproroghe
In questi giorni, anche a causa delle proteste che si sono levate da più parti, il Governo sta cercando di correre ai ripari: il Ministro della Salute Orazio Schillaci ha detto di essere al lavoro per reperire le risorse necessarie almeno per il 2024. Se riuscirà nell’impresa, il Fondo potrebbe essere rifinanziato grazie a un emendamento inserito nel Milleproroghe.
Mercoledì, rispondendo al Question Time alla Camera su un’interrogazione del PD, Schillaci – puntualizzando come al momento le Regioni e le Province Autonome abbiano impegnato solo il 59% del finanziamento e speso appena il 3% – ha detto di aver deciso di mettere a disposizione del Fondo straordinario per i DNA 10 milioni di euro per il 2024.
«Quello che serve, al di là dell’investimento, è una visione comune a livello di Paese, una progettualità e una struttura nel trattamento dei DNA perché purtroppo interventi spot di questo tipo non garantiscono una continuità – conclude Aurora Caporossi -. Come realtà associative ci muoveremo insieme per chiedere una risposta concreta e tutelare il diritto alla salute e all’accesso alle cure».