“C’è un grande divario nell’adozione e nell’uso del digitale delle donne rispetto agli uomini di tutte le età. Le differenze di genere sono più pronunciate in età avanzata, nelle comunità emarginate, come le minoranze etniche e tra le persone con disabilità. Sono anche più importanti nei paesi con minore inclusione digitale, in particolare nell’Europa meridionale e orientale, nei Balcani occidentali e nell’Asia centrale. Questo divario di genere nell’accesso al digitale è accompagnato da un divario di genere nell’uso significativo del digitale, ad esempio, le donne utilizzano una gamma limitata di servizi digitali e li usano meno spesso e meno intensamente rispetto agli uomini“. Così recita il recente rapporto OMS sulle disuguaglianze nell’uso degli strumenti di digital health. “Tuttavia, i dati provenienti dai paesi ad alto reddito indicano che le donne tendono a servirsi delle tecnologie digitali più frequentemente degli uomini per accedere alle informazioni relative alla salute e per sostenere la propria salute, comprese le attività relative al benessere mentale e al supporto sociale“.
È uno dei paradossi dell’incremento dell’uso delle tecnologie in sanità. Infatti, se da un lato l’adozione e lo sviluppo di sistemi sanitari digitali ha un enorme potenziale per offrire benefici diffusi grazie a un’assistenza sanitaria più efficiente e mirata, d’altro canto l’attenzione agli approcci digitali può addirittura ampliare le disuguaglianze esistenti in ambito di salute se le disparità nell’accesso e delle tecnologie non vengono prese in considerazione e affrontate. Il punto centrale è l’equità.
Ne abbiamo discusso con Sergio Pillon, responsabile per la trasformazione digitale della Asl di Frosinone, vice presidente Associazione italiana Sanità digitale e Telemedicina (AiSDeT), facendo il punto anche sulla situazione in Italia: “Dovremmo tenere conto delle fragilità, inserendole anche nel Fascicolo Sanitario Elettronico, che dovrebbe diventare un Fascicolo Socio Sanitario Elettronico”.