Droghe, per una vera riduzione del danno bisogna coinvolgere i consumatori

Giuseppe Ialacqua, sociologo e assistente sociale, racconta a TrendSanità l'importanza della co-progettazione delle politiche con chi beneficia dei servizi. Un rovesciamento del paradigma attuale

Siamo abituati a vivere situazioni come lo spaccio e il consumo di sostanze stupefacenti come qualcosa che non ci appartiene, lontano dalla nostra quotidianità. Ma è davvero così?

La voce dell’Emilia paranoica: la riduzione del danno a Bologna” (SEEd 2024) è una lettura capace di incrinare questa convinzione. 

Il libro, un ampliamento della tesi di laurea di Giuseppe Ialacqua, sociologo e assistente sociale, racconta l’open drug scene bolognese e il lavoro di riduzione del danno costruito negli anni dall’Unità di Strada, un servizio mobile per persone emarginate, che nel caso di Bologna si occupa soprattutto dei consumatori di sostanze senza dimora.

Giuseppe Ialacqua

Un anno fa Ialacqua è diventato coordinatore dell’Unità di Strada di Bologna, ma durante la stesura del volume era un tirocinante del servizio. Nel suo racconto la complessità del caso bolognese è restituita con una ricerca sul campo, attraverso le voci di chi usa le sostanze (e di conseguenza i servizi messi a disposizione dalla città) e quelle degli operatori. «I servizi per le persone senza dimora non possono essere organizzati senza il loro punto di vista – afferma a TrendSanità -. La ricerca racconta la storia di un pezzo di città che non ha avuto molto spazio nel dibattito pubblico». 

Ribaltare il rapporto di potere

«Di solito si guarda ai drug consumer come a soggetti incapaci di prendere decisioni e la relazione di aiuto è immaginata in sostituzione a qualche capacità cognitiva», riporta Ialacqua. La realtà, però, è ben diversa: «Spesso sono persone che hanno usufruito di molti servizi e sono molto acuti nelle loro proposte di miglioramento».

Serve una co-progettazione con le persone che beneficiano dei servizi

Spiegare il lavoro di strada è molto difficile: le Unità territoriali cercano in modo proattivo le persone che possono avere bisogno, senza aspettare che siano queste a rivolgersi al servizio. L’approccio, poi, è di ascolto: sono i drug consumer a dire in che cosa vogliono essere aiutati e in cosa no.

Accanto a questo, c’è una struttura che accoglie i drug consumer e si occupa della riduzione del danno fornendo loro aghi e siringhe sterili, effettuando test HIV e HCV, portando beni di prima necessità.

«Questa descrizione, seppur corretta, è riduttiva. La riduzione del danno, cioè la minimizzazione degli impatti negativi dell’uso di droghe, è soprattutto un lavoro di conoscenza: proviamo a intercettare bisogni e desideri, cercando di costruire relazioni educative per poi restituire un’immagine della città che sia il più veritiero possibile. Ovviamente il punto di vista è quello di chi vive in strada».

In Italia la riduzione del danno viene spesso interpretata come la pura parte tecnica: la siringa, l’aggancio col sanitario, il posto in dormitorio. Oppure il monitoraggio dei consumi e il drug checking. «Sono aspetti importanti, ma a Bologna interpretiamo in maniera estensiva questo mandato: la riduzione del danno per noi è conoscenza, intervento e poi soprattutto policy – spiega Ialacqua -. Funziona se è in grado di contaminare la rete dei servizi e fornire indicazioni alla politica, per provare a costruire soluzioni condivise».

La riduzione del danno non si ferma alle azioni di aiuto, ma deve intervenire sulle politiche

Si tratta della cosiddetta riduzione del danno istituzionale: la convinzione che non si possa intervenire sui problemi causati dalle sostanze senza interessarsi agli aspetti sociali.

«Noi crediamo profondamente che si possa essere consumatori controllati di sostanze e che questo non debba necessariamente essere un compromesso al ribasso con la propria vita. Affinché questo sia possibile, però, occorre intervenire sulle politiche che riguardano le sostanze».

I desideri dei drug consumer

Per riuscirci, occorre concentrarsi non solo sui bisogni, ma anche sui desideri dei consumatori di sostanze a cielo aperto. La ricerca di Ialacqua ne ha intercettati tre:

  • la messa a disposizione di una stanza del consumo: si tratta di un luogo sicuro in cui consumare droghe. È considerato l’unico modo per normalizzare il consumo e privarlo di alcuni elementi di rischio, come quelli igienico-sanitari. «Credo che questo intervento sia imprescindibile nella strategia di una città che vuole davvero ridurre il danno», commenta Ialacqua;
  • il drug checking, per dare a tutti la possibilità di fare le analisi ai propri prodotti, in modo rapido e controllato, monitorando quindi anche il consumo delle diverse sostanze. «Un servizio sia per chi fa uso di sostanze, sia per chi le controlla»;
  • dare voce alle persone senza dimora: «È la proposta più politica: serve una co-progettazione con le persone che beneficiano dei servizi. Dobbiamo mettere al centro chi i servizi li vive perché li usa e chi ci lavora. In molte città esistono già commissioni paritetiche per la gestione di alcuni servizi, come l’acqua pubblica o le infrastrutture per gli anziani. Non è utopico pensare di farlo anche per i servizi di strada».

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista