Fabbisogni e quantitativi nelle gare farmaci: il cosiddetto “quinto d’obbligo” esiste ancora?

Il rischio, oggi, è che talvolta si dimentichi che la deroga al quinto d’obbligo rappresenta pur sempre un’eccezione rispetto alla regola di legge, per l’applicazione alle gare d’acquisto dei farmaci. Diversamente, se le stime di fabbisogno sono troppo distanti dalla realtà si rischia che questa criticità emerga in sede di esecuzione del contratto.

La determinatezza dell’oggetto dell’appalto e la ratio del quinto d’obbligo nei contratti pubblici

Da circa cento anni i contratti pubblici devono avere oggetto certo (art. 12 r.d. n. 2440/1923). Ciò è peraltro principio generale di ordine civilistico, applicabile non solo ai contratti pubblici ma anche nei contratti tra privati. Quando l’acquirente è una P.A., però, il principio è ancora più stringente, dato che la sua esatta definizione è legata alla necessità di assicurare la certezza della spesa e il suo costante controllo. Un contratto pubblico per il quale non vi fossero sufficienti elementi di determinatezza dell’oggetto sarebbe cioè fonte di rischi per il bilancio dell’ente pubblico stesso: la prestazione, infatti, verrebbe determinata solo man mano, durante l’esecuzione del contratto ma senza che l’ente avesse previamente iscritto al proprio bilancio la spesa correlata. È evidente la pericolosità di questa situazione: o la spesa pubblica diviene incontrollabile o il privato avrà difficoltà a farsi pagare, poiché potrebbe non essere disponibile e riservata la provvista economica per l’adempimento della prestazione da parte della P.A. Così, per i contratti pubblici questo principio riceve una protezione per così dire rafforzata attraverso l’istituto del cosiddetto “quinto d’obbligo” (art. 11 r.d. n. 2440/1923): l’oggetto della prestazione, prestabilito negli atti di gara e nel contratto, può naturalmente variare, in aumento o in diminuzione, durante l’esecuzione ma solo in misura non superiore al 20% della previsione originaria. La normativa sui contratti pubblici che si è susseguita nel tempo ha tuttavia progressivamente affievolito questo meccanismo di protezione, ad esempio rimettendo al privato contraente la scelta della conseguenza nel caso di superamento di tale soglia di varianza.

Così, già l’art. 311, comma 4, d.P.R. n. 207/2010 aveva previsto che il superamento di tale soglia (ma solo in aumento) comportasse la sottoscrizione di un atto aggiuntivo al contratto proprio al fine di mantenere corrispondenza tra ciò che è pattuito e ciò che è iscritto al bilancio dell’ente. Ora l’art. 106, comma 12, d.lgs. n. 50/16 stabilisce invece che l’unica conseguenza è la possibilità per l’appaltatore di risolvere il contratto. Il che, ovviamente, non accade quasi mai essendo evidente l’interesse dell’appaltatore a proseguire nella prestazione a favore della P.A., a meno che essa non divenga oggettivamente antieconomico per il privato stesso. Questo comporta un’inversione nell’iniziale meccanismo di protezione: il quinto d’obbligo si trasforma da misura protettiva per il bilancio della P.A. a misura protettiva a favore dell’appaltatore.

Le specificità dei farmaci nella giurisprudenza

Questo allontanamento dalla configurazione originale è ancor più evidente nelle gare d’acquisto di farmaci, per le quali la giurisprudenza ha da alcuni anni elaborato posizioni del tutto peculiari che giungono a ritenere legittima la quantificazione dei prodotti messi in gara a titolo puramente indicativo e senza che il futuro aggiudicatario possa pretendere alcunché in caso di mancato rispetto delle quantità indicate, nemmeno oltre il quinto d’obbligo.

La tesi è riconducibile essenzialmente ad alcune prese di posizione concordi nella giurisprudenza di primo grado (T.A.R. Lazio, Roma, III quater, n. 33222 del 8 novembre 2010; T.A.R. Perugia, sez. I, n. 254 del 26 aprile 2013; T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. I, n. 549 del 8 maggio 2003). Queste tesi hanno poi trovato l’avallo da parte di Palazzo Spada, con alcune più recenti decisioni (tra cui, per tutte, la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, n. 2507 del 10 giugno 2016), con cui si sono rimarcate le specificità di questo settore merceologico sotto due profili.

Da un lato – si osserva – la stima meramente indicativa del quantitativo acquistabile, in sede di gara, dipende da numerosi fattori imprevisti ed imprevedibili in grado di influenzare in concreto la domanda del farmaco aggiudicatario in fase esecutiva (fattori epidemici, scoperte scientifiche, variazioni prontuari terapeutici, sostituibilità, ecc.) che non permettono ex ante di formulare una stima esatta, per quantità, dei prodotti da acquistare, nemmeno con una tolleranza del 20%.

D’altro lato, il Consiglio di Stato valorizza l’esistenza una serie di interessi pubblici preminenti rispetto all’interesse imprenditoriale privato, i quali giustificherebbero l’alea insita in questo tipo di gare, che graverebbe in ultima analisi solo in capo al privato. Il cerchio si chiude in quanto, secondo questa tesi, gli interessi pubblici prevalenti sarebbero comunque riconducibili al principio di economicità della spesa pubblica e all’esigenza di garantire l’adeguamento tempestivo delle terapie somministrate nell’ambito del servizio pubblico all’evoluzione scientifica (Consiglio di Stato, sez. II, parere 23 maggio 2012, n. 2460).

Nelle procedure centralizzate d’acquisto la determinazione dell’oggetto del contratto si raggiunge con l’indicazione del fabbisogno

Le pronunce giudiziali rimarcano e riconoscono che la valorizzazione preminente dell’interesse pubblico comporta un sacrificio imposto al fornitore, che è essenzialmente quello di assumersi integralmente l’alea contrattuale. Tuttavia, ritengono che questo sacrificio non sia né sproporzionato né arbitrario: infatti, si osserva, se si imponesse il quinto d’obbligo come norma inderogabile allora ne risulterebbe favorito un possibile fenomeno di frammentazione degli acquisti se non di aumento delle procedure negoziate per motivi d’urgenza in luogo delle ordinarie procedure di evidenza pubblica, in complessivo danno del servizio pubblico sanitario.

Le convenzioni quadro delle centrali d’acquisto

Vi è poi ulteriore elemento, sempre valorizzato anche dalla giurisprudenza, che confermerebbe questa soluzione: normalmente, infatti, gli acquisti di farmaci si sviluppano all’interno di procedure di acquisto centralizzate, che seguono lo schema dell’accordo quadro ex art. 54 d.lgs. n. 50/16.

Infatti, quando la procedura di acquisto è centralizzata, la determinatezza dell’oggetto del contratto deve ritenersi raggiunta con la sola formulazione di indicazioni di fabbisogno, sulla base di dati storici. Cosicché, la precisa quantità del contratto pubblico sarà determinata con esattezza solo successivamente e a mezzo degli ordinativi da parte delle amministrazioni beneficiarie della convenzione quadro; mentre quest’ultima serve fondamentalmente soltanto alla scelta del contraente, e a stabilire le condizioni economiche e le regole generali della somministrazione.

Secondo il Consiglio di Stato, in sostanza, ai fini della formulazione dell’offerta è sufficiente che sia indicata la quantità totale di medicinali presuntivamente rispondente al fabbisogno nel biennio e l’importo massimo spendibile posto a base di gara (cfr. anche Consiglio di Stato, sez. III, n. 6181 del 23 novembre 2011).

Anche quella parte della giurisprudenza che ha maggiormente approfondito la natura del contratto di appalto di forniture di farmaci sul piano del diritto civile è giunta alle medesime conclusioni, per mezzo della corretta qualificazione come contratto di somministrazione ai sensi dell’art. 1559 c.c.; in tal caso, secondo il successivo art. 1560 c.c., quando nel contratto di somministrazione non è predeterminata la quantità da fornire, “si intende pattuita quella corrispondente al normale fabbisogno della parte che vi ha diritto, avuto riguardo al tempo della conclusione del contratto” (art. 1560, comma 1, c.c.). Cosicché l’oggetto del contratto risulterebbe determinabile proprio e con riferimento alla entità dei fabbisogni effettivi che emergeranno nel corso dell’esecuzione contrattuale.

È ora di un ripensamento? La buona fede precontrattuale e le condizioni alle quali il sacrificio dell’appaltatore è effettivamente ragionevole

Il rischio, oggi, è che talvolta si dimentichi da dove si è partiti e che la deroga al quinto d’obbligo rappresenta pur sempre un’eccezione rispetto alla regola di legge, per questa particolare tipologia di prodotti. Affinché non ci si appiattisca a considerare un dato di fatto che gli appalti di forniture di farmaci sono per loro natura aleatori, è indispensabile che le stazioni appaltanti compiano una accurata istruttoria sui fabbisogni presunti reali, con una ponderazione adeguata di tutti i tanti fattori variabili che possono incidere sull’effettivo consumo del farmaco. Diversamente, se le stime di fabbisogno sono troppo distanti dalla realtà si rischia che questa criticità emerga in sede di esecuzione del contratto, nel momento in cui il fornitore si rende conto di dover sostenere un’alea ben superiore a quella normale.

Va allora ricordato che le pronunce che abbiamo citato, in varia misura, hanno fondato le loro conclusioni su alcuni dati di fatto, che aiutano a tracciare i confini entro i quali le amministrazioni devono muoversi nella determinazione dei fabbisogni “presunti”.

Tra di esse, appare essenziale che il fabbisogno effettivo sia agevolmente e obiettivamente accertabile, anche da parte del concorrente alla gara e potenziale aggiudicatario. Solo questo tipo di trasparenza sull’istruttoria condotta dalla centrale d’acquisto prima della gara può infatti dare ai concorrenti gli elementi utili per rendersi conto di quanto è attendibile il dato relativo ai fabbisogni indicato nella lex specialis e quanto è penetrante l’alea che quella particolare configurazione di gara pone in capo al fornitore.

Se è vero, infatti, che il fabbisogno di un dato medicinale è dato ampiamente monitorabile, anche con meccanismi conosciuti e accessibili da parte delle stesse ditte produttrici-fornitrici dei farmaci, a mio avviso i principi di par condicio e di trasparenza impongono che sia in primo luogo la stazione appaltante a rivelare non solo il mero dato numerico dei fabbisogni calcolati, ma anche i criteri e le valutazioni che a quel dato hanno portato.

Si tratta di un elemento importante anche perché il difetto di istruttoria rappresenta senza dubbio un vizio di legittimità che ben può essere sollevato davanti al giudice amministrativo: le imprese, cioè, devono poter controllare e sindacare una stima dei fabbisogni che appaia irrazionale e oggettivamente inattendibile e che, come tale, possa falsare sia la gara sia l’esecuzione del contratto.

A ben vedere, questa precisazione dovrebbe risultare superflua perché, giuridicamente, esiste un principio generale di buona fede anche nelle trattative precontrattuali (art. 1337 c.c.) che ovviamente vincola anche la P.A. a fornire delle informazioni veritiere al contraente privato fin dalla procedura di gara pubblica. La violazione di questo dovere è, per il diritto civile, fonte di responsabilità precontrattuale e, nel diritto amministrativo, può portare all’illegittimità della lex specialis.

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Roberto Bonatti
Avvocato specializzato in contratti pubblici e diritto della concorrenza, Studio Legale Russo Valentini, Bologna. Docente di diritto processuale civile, Università di Bologna