L’introduzione in commercio dei farmaci biosimilari ha rappresentato un’opportunità importante per il Servizio Sanitario Nazionale (SSN), consentendo da una parte una riduzione della spesa farmaceutica in alcune aree terapeutiche, con l’obiettivo di migliorare l’accesso ai pazienti e dedicare risorse ad altre terapie innovative più costose, dall’altra l’introduzione di alcuni temi che sono diventati sempre più di stringente attualità, come la sostenibilità economica del SSN, l’appropriatezza terapeutica e la responsabilità prescrittiva.
Il mercato dei biologici e dei biosimilari è stato spesso al centro di contenziosi giuridici e, nei diversi pronunciamenti occorsi nel tempo, questi temi hanno subìto un’evoluzione con applicazioni non sempre omogenee nelle diverse Regioni.
Partendo da queste considerazioni, abbiamo voluto affrontare il tema del valore dei biosimilari per il SSN chiedendoci che cosa ne pensano i clinici e i farmacisti ospedalieri. A rispondere per noi sono il professor Carlomaurizio Montecucco, Direttore Struttura Complessa di Reumatologia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo Pavia, e il dottor Marcello Pani, Direttore della Farmacia Ospedaliera del Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Roma e Segretario Nazionale della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera e dei Servizi Farmaceutici Territoriali (SIFO).
Professor Montecucco, secondo lei, data la centralità del medico nella prescrizione del farmaco e la libertà prescrittiva, necessaria per valutare in scienza e coscienza la migliore terapia per il singolo paziente, quanto è importante il ruolo del clinico per garantire la sostenibilità e l’ottimizzazione delle risorse? Il clinico può essere un attore protagonista anche in questo senso?
Il medico prescrittore è certamente un attore protagonista nel garantire la migliore terapia per il singolo paziente, tenendo parimente in considerazione la sostenibilità del sistema e l’ottimizzazione delle risorse nell’ambito del SSN. Di fronte a molecole biosimilari, e quindi di comprovata analoga efficacia e tollerabilità, mi sento professionalmente ed eticamente tenuto alla scelta economicamente meno onerosa per il SSN. Questo ovviamente vale per l’inizio del trattamento. Non è altrettanto scontato qualora la paziente o il paziente siano già in trattamento efficace e ben tollerato con un determinato farmaco biologico: in tal caso possono infatti subentrare considerazioni cliniche legate da un lato a possibili manifestazioni indesiderate successive al cambio di prodotto e dall’altro alla continuità terapeutica che è spesso rilevante in termini di aderenza al trattamento e di effetto placebo/nocebo. Questo vale soprattutto per pazienti in trattamento da anni con un farmaco che ha loro drammaticamente cambiato, in meglio, la qualità della vita.
In base alla sua esperienza, l’avvento dei farmaci biosimilari sta consentendo di ampliare ad un maggior numero di pazienti l’accesso alla terapia, e in particolare alla terapia con farmaci biologici? Come si potrebbe ulteriormente migliorare l’accesso ai pazienti?
Personalmente non ritengo che l’accesso ai farmaci biologici ed il loro impiego più o meno precoce debbano essere limitati su mera base economica. Svolgo la mia attività in Lombardia e, in oltre vent’anni di impiego di farmaci biologici, non ho mai subito restrizioni all’uso di un farmaco biologico correttamente indicato. So invece da Colleghi che operano in altre regioni che esistono purtroppo esperienze meno positive e pertanto un comportamento più omogeneo tra le diverse realtà sarebbe molto auspicabile. Tuttavia non credo che un risparmio ottenuto in campo reumatologico debba o possa essere considerato come automaticamente “spendibile” a favore di pazienti reumatologici. In altri termini: il risparmio va sempre perseguito ma non è assolutamente detto che esso generi un ritorno nello stesso ambito terapeutico rispetto ad altre voci di spesa totalmente diverse ma ritenute prioritarie per l’Azienda Sanitaria o la Regione.
A seguito della pandemia di Covid-19, le considerazioni in merito alla sostenibilità del sistema e all’appropriatezza prescrittiva sono ancora più rilevanti. A suo parere, quali cambiamenti saranno necessari e quali prospettive possono aprirsi?
L’esperienza maturata durante la pandemia ha modificato e probabilmente modificherà permanentemente diversi aspetti dell’attività clinica ospedaliera e soprattutto territoriale, con un ripensamento del SSN anche in termini di sostenibilità. Per quanto riguarda i farmaci biologici, i dati sul loro impiego in tempo di pandemia sono risultati incoraggianti e tali da consentirne la prosecuzione, così come l’inizio di nuovi trattamenti, senza incorrere in maggiori rischi di infezione o di malattia particolarmente severa. La sospensione del trattamento è quindi consigliata solo temporaneamente in caso di infezione, fino a risoluzione del quadro. Questo aspetto è rilevante anche sotto il profilo economico perché la sospensione ingiustificata di un trattamento efficace, per timore del contagio, può portare a costi indiretti aggiuntivi legati al peggioramento irreversibile della malattia reumatologica. L’impiego attento e oculato delle risorse a disposizione rimane, in ogni caso, un aspetto decisivo e in questo ambito la disponibilità di farmaci biosimilari, a costo sempre più accessibile, gioca un ruolo certamente non secondario.
Sugli stessi temi ci siamo confrontati con un altro attore del sistema, raccogliendo il punto di vista di chi si occupa della farmacia ospedaliera.
Dottor Pani, secondo lei quanto è importante il ruolo del farmacista ospedaliero per garantire la sostenibilità e l’ottimizzazione delle risorse, in particolare nell’ambito delle terapie biologiche e biosimilari? Vede un ruolo anche nell’ottica di migliorare l’appropriatezza terapeutica?
Il farmacista ospedaliero e dei servizi territoriali può svolgere un ruolo molto importante, come anello di congiunzione tra le necessità dei clinici e dei pazienti, da una parte, e quelle della Direzione delle ASL, dell’ospedale e della Regione, dall’altra. Necessità che possono essere così riassunte: garantire un servizio sanitario regionale sostenibile e universale e, allo stesso tempo, cercare di fornire ai pazienti e ai clinici le migliori terapie disponibili per trattare le varie patologie. Questo anello di congiunzione è possibile grazie alla professionalità intrinseca del farmacista, che unisce le competenze di tipo sanitario agli skill necessari alla garanzia dell’appropriatezza e della sostenibilità del sistema per utilizzare al meglio le risorse a disposizione.
In relazione all’appropriatezza terapeutica, un aspetto che vede tutti concordi, a partire dall’industria farmaceutica fino al clinico, al farmacista e al paziente, è la necessità di migliorare l’aderenza del paziente alle terapie. In tal modo si contribuisce anche alla sostenibilità del sistema, ottimizzando le risorse allocate per un determinato farmaco e che, diversamente, verrebbero in parte sprecate o vanificate da un utilizzo non corretto del farmaco. Questo risulta particolarmente valido per le patologie croniche, che coinvolgono moltissimi pazienti e per un lungo periodo.
In base alla sua esperienza, l’avvento dei farmaci biosimilari sta consentendo di ampliare ad un maggior numero di pazienti l’accesso alla terapia, e in particolare alla terapia con farmaci biologici?
Senz’altro l’immissione in commercio dei farmaci biosimilari ha permesso in questi anni di recuperare risorse nell’utilizzo dei trattamenti farmacologici da dedicare ai farmaci innovativi, che sono via via diventati disponibili, sia nelle patologie per le quali vengono impiegati i biosimilari, sia in altre patologie. Credo che abbiano rappresentato in questi anni uno strumento fondamentale per contribuire a garantire la sostenibilità del sistema. Poiché le terapie innovative che stanno entrando in commercio, e che saranno sempre più disponibili nei prossimi anni, come le terapie avanzate, geniche e cellulari, presentano costi davvero molto alti, temo che i risparmi generati dall’uso appropriato dei biosimilari potranno non essere più sufficienti a sostenere l’innovazione. È pur vero che le nuove terapie avanzate sono molto promettenti e sono state progettate per trattare la causa della patologia. I dati degli studi registrativi di queste nuove terapie ci pongono davanti l’opportunità di una risoluzione definitiva della patologia, con un impatto molto forte sull’aspettativa di salute e di vita del paziente, della famiglia e della società nel suo complesso. Se questa verrà confermata dai dati della real word analysis, allora rimane fondamentale che i biosimilari vengano utilizzati al massimo delle possibilità per recuperare tutte le risorse possibili senza inficiare efficacia e sicurezza delle cure al paziente, ma è necessario anche considerare un approccio più di sistema e valorizzare le risorse da altri silos che traggono vantaggi dalle terapie avanzate perché, ad esempio, riducono i costi legati all’invalidità del paziente, al carico della famiglia, alle giornate perse di lavoro ecc.
A seguito della pandemia di Covid-19, le considerazioni in merito alla sostenibilità del sistema e all’appropriatezza prescrittiva sono ancora più rilevanti. A suo parere, quali cambiamenti saranno necessari e quali prospettive possono aprirsi?
Come farmacisti ospedalieri e dei servizi territoriali e in particolare come SIFO, stiamo avviando un progetto importante a livello nazionale che riguarderà l’home delivery e l’aderenza terapeutica: per alcune patologie croniche sarà implementato un modello organizzativo per la consegna al domicilio del paziente delle terapie, sotto stretto controllo e tracciatura da parte della struttura che ha in carico il paziente, con il coinvolgimento sia del clinico sia del farmacista; questo modello sarà inoltre accompagnato da uno strumento che consentirà alla struttura di registrare e rilevare l’aderenza terapeutica. Il nostro obiettivo è di predisporre uno strumento moderno, ma semplice, che sarà in grado di apportare benefici alla salute del paziente e al sistema, contribuendo a utilizzare le risorse nella maniera migliore possibile.