Martedì 5 novembre 2024 si vota negli USA. Sarà Trump o Biden il nuovo presidente? Forse mai come questa volta, dal giorno dopo tante cose nel Mondo cambieranno. Per capire nel profondo cosa implica questa scelta da qualche giorno in libreria c’è il nuovo libro del giornalista Francesco Costa, un passato a l’Unità e ora vicedirettore del Post: «Frontiera. Perché sarà un nuovo secolo americano» (Mondadori).
Tra le cose che potrebbero cambiare c’è anche l’approccio degli USA alla salute globale
Tra le cose che potrebbero cambiare c’è anche l’approccio degli USA alla salute globale. Ricordate il 2020 con Trump che, mentre dispensava consigli su come trattare il covid-19 con “raggi di luce” oppure iniettando disinfettante nel corpo umano, decideva di far uscire gli Stati Uniti dall’OMS?
Quello di Costa è un viaggio godibile, ma soprattutto utile. Con toni a tratti ammirati, bilanciati da grande senso critico, si fa un giro sulle montagne russe di quell’enorme Paese. Tanti gli spunti su salute e sanità, tra salute mentale e aborto, tra disforia di genere e marijuana legale per uso medico, tra il drastico aumento delle aggressioni a medici, infermieri e personale sanitario (sì sta accadendo anche negli USA, soprattutto dopo la pandemia) e 10 previsioni tanto lungimiranti, quanto inquietanti, come quelle fatte dalla rivista WIRED nel 1997 quando sembrava che gli USA e l’occidente andassero incontro ad un periodo di pace e prosperità ininterrotta. Citiamone due testualmente: «Una vasta crisi ambientale provoca un cambiamento globale del clima, che tra le altre cose distrugge le filiere agroalimentari: i prezzi del cibo aumentano ovunque, iniziano periodiche carestie», e ancora: «Una malattia incontrollabile, come una nuova pandemia influenzale o qualcosa del genere, si propaga come un incendio e uccide oltre 200 milioni di persone». Se volete sapere quali erano le altre 8 previsioni, leggete «Frontiera. Perché sarà un nuovo secolo americano».
Ma il passo più interessante per chi si occupa di salute pubblica e di contrasto alla disinformazione e gestione dell’infodemia è quello che Costa dedica al covid-19 e alle sue origini. «Si voleva anche evitare che in un momento così delicato, in cui era necessario prendere decisioni complesse con rapidità, si mettessero in mezzo più del dovuto la polemica, la zizzania, le logiche conflittuali della comunicazione di massa. Abbiamo persino coniato l’orribile parola infodemia, no? Di questo parlavamo: di come una comunicazione irresponsabile a ogni livello – di alcuni politici, di alcuni medici, di alcuni giornalisti, di alcuni influencer – avesse peggiorato una situazione già impossibile. Nel giornalismo e tra gli scienziati qualcuno ha fatto da prezioso argine, o almeno ci ha provato, ma c’è stato un antipatico effetto collaterale. Tutte quelle sacrosante cautele, infatti, ci hanno impedito di indagare adeguatamente l’origine della vicenda che aveva innescato l’intera, spaventosa esperienza».
Parlavamo qualche riga più su del grande senso critico dispensato in quasi ogni pagina e su quasi tutti gli episodi raccontati. Più c’è un nostro luogo comune sugli americani, più Costa lo smonta pezzo a pezzo, riga dopo riga. A volte lo smonta proprio confermandolo in maniera più profonda e mettendolo sotto un’altra luce.
Un giro sulle montagne russe a pochi mesi dal voto che può cambiare la storia (e anche la sanità)
Ed ecco che, anche sulle origini della pandemia da covid-19, si viaggia dal «bugiardo seriale Donald Trump e i suoi sostenitori oggettivamente complottisti e intolleranti, seminatori di disinformazione e odio razziale per i propri cinici obiettivi politici», alla documentata dimostrazione che anche le smentite degli scienziati più autorevoli all’ipotesi che la diffusione del virus arrivasse da un laboratorio di massima sicurezza di Wuhan che da anni studia virus simili,sono in qualche modo una distorsione informativa. O meglio, per dirla con le parole usate da uno di questi scienziati in una email ai colleghi inviata in quei giorni: «Visto il merdone che scoppierebbe se qualcuno accusasse davvero i cinesi di aver diffuso il virus, anche accidentalmente, credo che dovremmo dire: dal momento che non abbiamo prove che il virus sia stato creato in laboratorio, non possiamo sbilanciarci su quando si sia sviluppato in natura».
Chiariamolo: non ci sono prove conclusive né per una tesi e né per l’altra. Questo anche per la scarsa collaborazione all’indagine che hanno fornito le autorità locali. E, comunque, studiare nuovi virus è un’attività indispensabile per trovare le cure e i vaccini. La conclusione della storia la lasciamo a «Frontiera. Perché sarà un nuovo secolo americano». Ma, come scrive Costa commentando l’approccio di questi scienziati e, in qualche modo, analizzando un riflesso che ha accompagnato tanti episodi della storia americana: «È l’origine di ogni deroga ai valori in cui normalmente diciamo di credere, l’alibi che diamo sempre a noi stessi e mai al prossimo: la convinzione che in nome di un qualche “bene superiore” sia necessario fare quello che non andrebbe fatto, quello che altrimenti si giudicherebbe sbagliato».