Quando si affronta il tema dei farmaci innovativi, anche tra stakeholders, a mio parere il primo elemento da sottolineare è la necessità di una terminologia comune e accurata, per definire in modo univoco e senza rischio di fraintendimenti che cosa si intenda con la denominazione “farmaco innovativo”. Come spesso avviene in Italia, si rischia infatti di fare confusione, con i diversi interlocutori che utilizzano lo stesso termine per indicare elementi diversi.
Vorrei pertanto procedere per esclusione e liberare il campo dai possibili equivoci: esistono molteplici farmaci che potrebbero essere definiti come innovativi. Ad esempio ci sono i medicinali “game-changing”, che cambiano radicalmente il sistema di riferimento, oppure quelli che modificano in maniera significativa il decorso della patologia e la vita futura dei pazienti, oppure quelli che presentano caratteristiche originali rispetto ai precedenti (una nuova classe, un nuovo meccanismo d’azione, una tecnologia o un device completamente nuovi), oppure semplicemente tutti i farmaci nuovi, che in quanto lanciati sul mercato sicuramente vanno a coprire un bisogno di salute, piccolo o grande che sia, che prima non era evaso. Tutti questi medicinali comportano sicuramente una serie di vantaggi fondamentali per il paziente e per il sistema, e anche quelli che per definizione non apportano vantaggi diretti in termini di salute (es. generici, biosimilari, me-too), hanno vantaggi indiretti creando competizione. Seppure tutti questi farmaci possano essere definiti innovativi, la legge di Bilancio del 2017 ci fornisce una nuova definizione: saranno innovativi i farmaci che accederanno ai fondi per i farmaci oncologici e per i farmaci non oncologici. Tale attribuzione, meramente economica, segue però criteri stabiliti dall’Agenzia Italiana del Farmaco tramite la Commissione Tecnico Scientifica (CTS).
La definizione di “innovativo” non rientra tra le priorità del paziente che, in quanto tale, vuole essere curato al meglio ma non è interessato all’innovatività o meno della cura in sé. Può rientrare invece tra le priorità del Servizio Sanitario Nazionale nella misura in cui consente un Early Access, cioè consente al farmaco di essere messo a disposizione del paziente in tempi rapidi, per poter offrire una soluzione che prima non c’era. Inoltre potrebbe essere utile al sistema in generale poiché permette di individuare le priorità espresse dal SSN e può consentire alle aziende farmaceutiche di orientare il proprio piano di ricerca & sviluppo secondo quelle direttrici. Infine, l’istituzione dei fondi per i farmaci innovativi ha rappresentato un vantaggio in termini di extra-budget per la spesa farmaceutica, anche nell’ottica di gestire una contingenza in attesa di nuove regole, di una nuova governance.
Come noto, la valutazione della CTS si basa su tre criteri: il bisogno terapeutico, il valore terapeutico aggiunto e la qualità delle prove. Per bisogno terapeutico intendiamo qual è il contesto nel quale si situa il farmaco in analisi: ad esempio, quanto è grave la patologia, quale priorità riveste all’interno del Servizio Sanitario Nazionale, quali altre opzioni terapeutiche sono già disponibili e qual è il loro livello di efficacia, come vengono gestiti globalmente i pazienti affetti da quella determinata patologia. Con il parametro del valore terapeutico aggiunto si valutano i vantaggi aggiuntivi che il farmaco in studio è in grado di apportare rispetto ai comparator evidenziati nell’analisi del bisogno terapeutico, in termini sia di rischi sia di benefici. Infine, la Commissione esamina la qualità delle prove per determinare la certezza o l’incertezza del valore terapeutico aggiunto rilevato. La qualità delle prove è determinante per definire la fiducia con la quale si può attribuire il valore terapeutico aggiunto: in mancanza di evidenze robuste a supporto del farmaco candidato, l’innovatività non può essere concessa. Parziale eccezione deve farsi in caso di malattie rare che, per definizione, possono contare su un minor numero di studi e casi clinici. Tra questi tre criteri, il valore terapeutico aggiunto può essere considerato come il “driver” del processo, cioè il fattore che pesa maggiormente nell’attribuzione del carattere di innovatività.
Al termine dell’iter di valutazione, la normativa prevede una serie di vantaggi concessi al farmaco riconosciuto come innovativo nella sola indicazione per la quale è stata avanzata la richiesta, e che dovrebbero, nelle intenzioni del legislatore, favorirne l’accesso ai pazienti: non partecipa al payback, non è soggetto allo sconto obbligatorio del 5%+5% ed è immediatamente inserito nei Prontuari Terapeutici Regionali. I vantaggi economici non sono concessi ai farmaci ai quali si riconosce una innovatività condizionata, della durata di 18 mesi, da rivalutare, mentre l’accesso immediato ai Prontuari Terapeutici Regionali è comunque assegnato.
A mio parere, la definizione dei criteri per l’innovatività e il processo intrapreso presentano dei punti di forza e dei punti di debolezza. Innanzitutto un punto di forza fondamentale è la trasparenza dell’iter valutativo e dei risultati, che sono stati resi pubblici e messi a disposizione di tutti gli interessati sul sito dell’AIFA: gli assessment sono consultabili liberamente e le eventuali incoerenze, che in Commissione abbiamo cercato di evitare, potrebbero essere evidenziate e discusse, anche in un’ottica di miglioramento per il futuro. Più avanti, in questa rivista, si troverà una tabella dei farmaci valutati con gli esiti, un processo di trasparenza che ben fa sperare per il futuro.
Inoltre mi preme di sottolineare come i tre criteri individuati (bisogno terapeutico, valore terapeutico aggiunto e qualità delle prove) siano, nella sostanza, coerenti e condivisi con quanto predisposto da altri organismi regolatori internazionali, sia a livello europeo, sia nell’America del Nord, sia in Estremo Oriente.
Infine ritengo che questi criteri siano utili anche perché definiscono l’ambito in cui si muove il Servizio Sanitario Nazionale che riconosce come prioritari i farmaci per cui esiste un alto bisogno terapeutico, con un valore terapeutico aggiunto importante e che possano contare su prove sufficientemente robuste per corroborarlo.
Non possiamo però mancare di menzionare anche alcuni punti di debolezza, ascrivibili non solo ai criteri ma all’intero percorso.
Il primo aspetto che vorrei evidenziare è che l’inserimento nell’elenco dei farmaci innovativi dura 3 anni e, secondo me, questo rappresenta un periodo troppo lungo. È una scelta, e forse si potrebbe valutare se riconsiderarla. Poiché altri problemi affliggono il sistema, e uno di questi è rappresentato dalle storture che provoca il budget di prodotto per le Aziende nell’anno di lancio, si potrebbe immaginare che immettere più farmaci per un periodo più breve potrebbe essere di aiuto. Inoltre, un budget triennale implica una certa capacità del sistema a prevedere le spese future, e questo potrebbe essere tra i motivi per i quali non tutti i fondi per i farmaci innovativi sono stati spesi nel 2017.
Il secondo aspetto critico chiama in causa il rischio che, con l’attribuzione del carattere di innovatività e i conseguenti benefici, anche economici, si possa premiare un farmaco che, probabilmente, verrebbe già premiato in un’altra maniera: ad esempio perché, essendo game-changing, con un impatto molto importante sulla gestione di una patologia e dei vantaggi in grado di cambiare sostanzialmente la vita dei pazienti, avrebbe ugualmente delle quote di mercato molto alte, riuscirebbe a negoziare un prezzo molto alto in Comitato Prezzi e Rimborso (CPR), e avrebbe un accesso regionale privilegiato. Questa “concentrazione” di vantaggi sugli stessi farmaci potrebbe assumere un ruolo negativo e creare addirittura delle distorsioni del mercato.
Un altro aspetto riguarda l’eventualità che la normativa sui fondi innovativi e il relativo processo di valutazione vadano a sovrapporsi ad altre norme già esistenti in ambito farmaceutico, come ad esempio il fondo nazionale per l’impiego di farmaci orfani per le malattie rare. Poiché anche i farmaci rari non partecipano al ripiano della spesa farmaceutica tramite payback, ha senso che un farmaco raro venga inserito nell’elenco dei farmaci innovativi o assistiamo ad un sovrapporsi di procedure e valutazioni? Anche in questo ambito, mi sembrerebbe opportuno un lavoro di riordino e revisione del sistema.
Un ultimo elemento critico che vorrei evidenziare e che nasce come riflessione dall’esperienza in CTS è che uno degli obiettivi dell’istituzione dei fondi per i farmaci innovativi era velocizzare l’accessibilità ai pazienti per alcuni farmaci giudicati particolarmente importanti: in questo senso, non penso che l’obiettivo sia stato raggiunto pienamente in quanto, anche in presenza del riconoscimento di innovatività, la procedura per l’immissione in commercio rimane quella standard, esattamente come avverrebbe per qualsiasi altro medicinale. A livello regionale penso che in alcuni casi si sia ottenuto effettivamente un Early Access per il farmaco innovativo, ma a livello nazionale questo non è avvenuto. Un sistema simile alla francese Autorisation Temporaire d’Utilisation (ATU) per i farmaci definiti innovativi attraverso i criteri AIFA potrebbe rappresentare un ulteriore valore aggiunto. La possibilità di garantire un effettivo Early Access ai farmaci innovativi è un tema che, secondo me, merita di essere affrontato perché ci sono ancora ampi margini di miglioramento per arrivare ai pazienti in tempi brevi.
Per concludere, vorrei presentare anche una provocazione personale sul tema: avendo individuato tre criteri che ci aiutano a definire quanto ci serve un farmaco (bisogno terapeutico), quanto è più efficace rispetto a quello che abbiamo già a disposizione (valore terapeutico aggiunto) e quanto siamo sicuri di questa nuova opportunità (qualità delle prove), perché non utilizzare questi stessi criteri per l’intera procedura di prezzo & rimborso? A mio parere, qualunque farmaco potrebbe essere valutato in questo modo e la CPR, le aziende e tutto il SSN potrebbero lavorare meglio, in presenza di trasparenza delle valutazioni.
Fonte
- Il presente editoriale è tratto dal Convegno “L’adozione di farmaci innovativi nella pratica clinica”, promosso dall’Accademia Nazionale di Medicina (Bologna, 4-5 giugno 2018)