Un gruppo di ricerca dell’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati-Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Igb) coordinato dal dirigente di ricerca Fernando Gianfrancesco, ha condotto uno studio su un meccanismo cellulare implicato nell’osteosarcoma e i risultati sono stato pubblicati sulla rivista Communications Biology.
L’osteosarcoma è un tumore osseo ancora difficile da curare. Colpisce prevalentemente i bambini e gli adolescenti oppure può insorgere in età più avanzata, a circa 50 anni, in persone affette dalla malattia ossea di Paget, patologia caratterizzata da una generazione di nuove cellule ossee più veloce del normale, con la conseguenza per i pazienti di avere ossa più fragili, dolore, deformità e fratture.
Tra i sintomi più comuni dell’osteosarcoma vi sono dolore all’osso colpito, gonfiore e tumefazione. Con il tempo la situazione in genere peggiora e possono comparire fratture a causa dell’alterata e indebolita struttura ossea. Tra le caratteristiche molecolari di questo tumore, per cui mancano ancora terapie efficaci, vi è una notevole instabilità genomica delle cellule mutate. L’individuazione delle cause di tale instabilità sono, dunque, una priorità per lo sviluppo di possibili nuovi trattamenti.
“I risultati ottenuti hanno portato a identificare una piccola proteina che, quando è assente o alterata, non permette una corretta ripartizione dei cromosomi tra le due cellule figlie durante la divisione cellulare”, spiega Gianfrancesco. “Come conseguenza, le cellule che sono prodotte in tale divisione e in quelle successive presentano alterazioni cromosomiche tutte diverse tra loro. Questa vasta eterogeneità impedisce la messa a punto di terapie farmacologiche mirate a una specifica alterazione”. Esistono però altre strategie che si potrebbero tentare, facendo tesoro anche dei risultati ottenuti in precedenza.
“Mediante tecniche di sequenziamento di ultima generazione abbiamo identificato una mutazione genetica nel gene PFN1, responsabile di una forma molto severa della malattia ossea di Paget che determina anche l’insorgenza di osteosarcoma nelle ossa colpite”, evidenzia Federica Scotto di Carlo, ricercatrice postdoc del Cnr-Igb e prima autrice dell’articolo. Lo studio fa seguito a un importante risultato ottenuto 2 anni fa dallo stesso Istituto. “Con lo studio attuale abbiamo espanso le nostre conoscenze circa la proteina prodotta dal gene PFN1, la Profilina 1, e abbiamo identificato il meccanismo alterato alla base del tumore. La Profilina 1 è essenziale per una corretta divisione cellulare. Mediante tecniche di imaging ad alta risoluzione, abbiamo verificato che la mancanza della Profilina 1 determina molteplici difetti mitotici, con perdita di frammenti cromosomici o di interi cromosomi nelle cellule figlie. Questi difetti nella mitosi, la divisione cellulare tipica delle cellule somatiche, si manifestano con cromosomi disallineati, ponti cromosomici e perdita di materiale genetico”.
Avere compreso questo meccanismo è importante perché si può tentare di sviluppare un approccio terapeutico basato sulla cosiddetta “letalità sintetica”. Si parla di letalità sintetica quando mutazioni in due geni diversi, insieme provocano la morte cellulare, ma non lo fanno singolarmente. “Utilizzando questo approccio, più che correggere il difetto genetico nel gene PFN1, vogliamo rendere ancora più vulnerabile la cellula cancerosa. Se la mancanza di Profilina 1 genera una cellula alterata, individuando e alterando un gene per una seconda proteina implicata, possiamo indurre nella cellula la cosiddetta morte cellulare programmata o apoptosi”, conclude Gianfrancesco.
In questo modo, sfruttando le differenze genetiche fra le cellule tumorali e le cellule sane, si potrebbero colpire in maniera mirata soltanto quelle malate, risparmiando le altre. Lo studio è stato sostenuto dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro.