La medicina di genere o medicina genere-specifica tiene conto delle differenze biologiche tra i due sessi, nonché delle differenze di genere associate a condizioni socio-economiche e culturali, e di come queste influiscano sulla salute e sulla malattia. Le differenze tra uomini e donne, infatti, si osservano sia nella frequenza, sia nella sintomatologia e gravità di diverse malattie, ma anche nella risposta alle terapie, nelle reazioni avverse ai farmaci, nelle esigenze nutrizionali, negli stili di vita, nell’esposizione agli agenti tossici e nell’accesso alle cure.
Tale approccio nella pratica clinica permette di sostenere l’appropriatezza e la personalizzazione delle cure, generando un circolo virtuoso, anche sotto l’aspetto economico, per la sanità pubblica. Istituzioni internazionali, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), e nazionali come la Food and Drug Administration (FDA), promuovono questo nuovo approccio alla medicina, consigliando politiche idonee allo sviluppo di nuove strategie sanitarie preventive, diagnostiche, prognostiche e terapeutiche che tengano conto delle differenze tra uomini e donne non solo in termini biologici e clinici, ma anche culturali e socio-psicologici.
Con l’approvazione della legge 3/2018 “Applicazione e diffusione della Medicina di Genere nel Servizio Sanitario Nazionale”, per la prima volta in Europa si garantisce l’inserimento del “genere” in tutte le specialità mediche, nella sperimentazione clinica dei farmaci e nella definizione di percorsi diagnostico-terapeutici, nella ricerca, nella formazione e nella divulgazione a tutti gli operatori sanitari e ai cittadini.
È importante potenziare un approccio scientifico intersezionale che consideri le differenze di sesso e di genere in relazione ad una serie di molteplici fattori quali l’età, l’identità di genere, l’orientamento sessuale, l’etnia
La popolazione transgender è, invece, ancora marginalizzata rispetto alle politiche sanitarie, con ostacoli non di poco conto nell’utilizzo dei servizi sanitari sia generali, sia specialistici. Occorre una formazione specifica degli operatori sanitari, per questo l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) promuove progetti di ricerca dedicati, corsi ECM per gli operatori sanitari, convegni e iniziative di informazione al cittadino.
Parlano con TrendSanità di medicina di genere e persone transgender Marina Pierdominici, prima ricercatrice presso il Centro di Riferimento per la Medicina di Genere dell’ISS e Matteo Marconi, ricercatore presso lo stesso centro.
Perché è necessario tenere conto delle differenze di genere in Medicina?
«Con il termine “sesso” si intende l’insieme delle caratteristiche biologiche con le quali una persona nasce, ad esempio i cromosomi, le gonadi, i genitali esterni, gli ormoni sessuali. Con il termine “genere”, invece, si intende l’insieme delle caratteristiche definite socialmente che distinguono il maschile dal femminile, vale a dire norme, ruoli e relazioni tra individui definiti come uomini e donne. Molte malattie presentano differenze di sesso e genere per incidenza, decorso o sintomatologia, come ad esempio le malattie cardiovascolari, quelle neurodegenerative, i tumori, le malattie autoimmuni, le patologie infettive e le malattie respiratorie. Le malattie cardiovascolari, in particolare, rappresentano un esempio paradigmatico delle differenze di sesso e genere. Esse, classicamente considerate un problema maschile, sono, invece, la principale causa di morte delle donne, per diversi fattori fra cui i più rilevanti sono la sottostima e la difficoltà di riconoscere i sintomi, spesso differenti da quelli maschili, da parte delle pazienti stesse e dei medici; ciò comporta ritardi nella diagnosi e nei trattamenti terapeutici e di conseguenza una prognosi peggiore. Per anni si è pensato che corpo maschile e femminile differissero solo per le dimensioni e per la fisiologia riproduttiva, assumendo di fatto un’ipotetica “norma maschile” dalla quale le donne sfuggivano solo per alcune caratteristiche. L’epidemiologia ha avuto un ruolo importante nel far emergere le differenze tra uomini e donne nello sviluppo, nella sintomatologia e nel decorso delle patologie, facendo slittare il paradigma da una norma puramente maschile verso l’idea di una medicina di genere. La medicina di genere rappresenta quindi un approccio da considerare trasversalmente in tutte le specialità mediche. Considerare il sesso e il genere nelle azioni di prevenzione e di cura è necessario per promuovere l’equità e l’appropriatezza degli interventi e realizzare azioni efficaci nella promozione della salute contribuendo a rafforzare la “centralità della persona” e ad applicare una medicina personalizzata» spiegano i ricercatori.
Come si relaziona la medicina di genere con le persone transgender nell’ambito della cura, diagnosi e prevenzione? Ci sono linee guida?
«La medicina di genere, come abbiamo detto, implica un approccio focalizzato sui differenti bisogni di salute della popolazione dovuti a differenze legate al sesso e al genere, categorie considerate nei loro molteplici aspetti e interazioni. In quest’ambito rientra anche il benessere e la salute della popolazione transgender. Transgender è un termine “ombrello” che si riferisce a quelle persone la cui identità e/o espressione di genere sono diverse da quanto tipicamente atteso sulla base del sesso assegnato alla nascita. Sebbene le principali istituzioni internazionali (ad esempio l’Organizzazione Mondiale della Sanità) abbiano da tempo inserito tra gli obiettivi prioritari nella lotta contro le disuguaglianze nell’assistenza sanitaria azioni efficaci a tutela della salute delle persone transgender, questa fascia di popolazione tuttora affronta significativi ostacoli (ad esempio discriminazione a causa dell’identità di genere, barriere burocratiche, scarsità di formazione specifica del personale sanitario) nell’accesso ai servizi sanitari, con conseguenze importanti in termini sia di salute psichica che fisica. Ciò riguarda sia l’accesso a servizi inclusi nei livelli essenziali di assistenza, come ad esempio gli screening oncologici, sia a servizi specifici che riguardano il percorso di affermazione di genere. Ricordiamo che tale percorso procede per fasi successive e coinvolge professionisti della salute di discipline diverse (come psicologi, endocrinologi, chirurghi) e può includere o meno la riattribuzione anagrafica.
Ad oggi, in Italia, non esistono Linee Guida ufficiali riguardo alla presa in carico dell’utenza transgender. Questa è una criticità fortemente sentita dal personale sanitario che identifica la disponibilità di Linee Guida così come la formazione specifica in tema di salute transgender tra le criticità più urgenti da affrontare in questo ambito. Esistono tuttavia raccomandazioni internazionali alle quali poter fare riferimento con la necessità ovviamente di adattarle al contesto italiano. Si tratta degli Standard di Cura per la salute delle persone transgender e gender diverse pubblicati, nella loro versione aggiornata, a settembre del 2022 dalla World Professional Association of Transgender Health (Associazione Mondiale dei Professionisti della Salute Transgender). Sulla base di quanto detto, ne consegue che tra le criticità da affrontare in termini di salute transgender vi è la stesura di raccomandazioni e Linee Guida relative al contesto italiano che richiederebbero un’azione coordinata di tutti gli stakeholder coinvolti, a livelli diversi, in questa tematica».
Le figure sanitarie mediche e non mediche sono adeguatamente preparate a relazionarsi con le persone transgender?
Una delle principali barriere nell’accesso è la scarsità o assenza di competenze cliniche e, più in generale, culturali in tema di salute transgender da parte del personale che lavora in ambito sanitario
«Come evidenziato dalla letteratura scientifica – continuano i ricercatori – una delle principali barriere nell’accesso ai servizi sanitari che la popolazione transgender si trova ad affrontare è la scarsità o assenza di competenze cliniche e, più in generale, culturali in tema di salute transgender da parte del personale che lavora in ambito sanitario. Questo crea una distanza tra l’utenza e il servizio sanitario, con conseguenze importanti in termini di salute come, ad esempio, un possibile ritardo nella diagnosi di malattie o l’auto-somministrazione di farmaci assunti senza controllo medico. L’assenza di una formazione appropriata è una criticità percepita non soltanto dall’utenza ma, come detto, anche dal personale sanitario. Da qui la necessità di implementare la formazione specifica interrogandosi su quali siano gli interventi formativi che possano portare a un aumento effettivo del numero di personale sanitario formato in questo settore e del numero di persone transgender che ricevono cure appropriate».
Esiste un’appropriatezza terapeutica per le persone transgender?
«Le persone transgender presentano molte necessità di salute sovrapponibili a quelle della popolazione cisgender (persone in cui collimano il sesso biologico e l’identità di genere), tuttavia possono presentare necessità di salute peculiari come quelle legate al percorso medico di affermazione di genere (trattamento ormonale e chirurgico di affermazione di genere). L’appropriatezza terapeutica implica, tra i diversi aspetti, l’aderenza al trattamento da parte dell’utenza e la continuità d’uso del trattamento per il periodo di tempo necessario; per raggiungere questi obiettivi è fondamentale una relazione medico-paziente efficace e la creazione di una sorta di alleanza terapeutica. Nel caso dell’utenza transgender, ciò può essere molto complesso per la scarsità di formazione specifica del personale sanitario da una parte, e per la diffidenza e la paura di essere discriminate da parte delle persone transgender dall’altra. Come detto, in Italia non esistono linee guida relative all’appropriatezza terapeutica nelle persone transgender. Da aggiungere che l’appropriatezza terapeutica si basa su evidenze scientifiche che, purtroppo, in tema di salute transgender presentano tuttora lacune importanti che necessiterebbero di un potenziamento della ricerca per essere colmate (ad esempio, studi sull’effetto a lungo termine del trattamento ormonale di affermazione di genere sul rischio di tumori, interazione tra trattamento ormonale di affermazione di genere e terapie assunte per eventuali malattie presenti)».
Che cosa manca per una medicina di genere davvero inclusiva?
«È importante potenziare un approccio scientifico intersezionale che consideri le differenze di sesso e di genere in relazione ad una serie di molteplici fattori quali l’età, l’identità di genere, l’orientamento sessuale, l’etnia, ecc… Individuare le modalità per applicare tale approccio alla ricerca, alla prevenzione e alle cure, alla formazione e alla comunicazione rappresenta una sfida prioritaria per rendere la medicina di genere effettivamente inclusiva, garantendo equità nell’accesso e nell’utilizzo dei servizi sanitari. Da questo punto di vista un approccio multi e inter disciplinare che coinvolga, ciascuna per le sue competenze, istituzioni centrali e periferiche, università, centri clinici e società scientifiche sarebbe auspicabile» concludono i ricercatori.