Il fenomeno della carenza dei farmaci: quale impatto e come contrastarlo?

Le carenze di farmaci costituiscono una seria difficoltà nel sistema di approvvigionamento, con risvolti importanti per tutti: dai clinici ai farmacisti ospedalieri, dai responsabili regionali degli acquisti fino ai pazienti, che possono veder compromessa l’efficacia della cura. Qual è la situazione in Italia e come si potrebbe arginare questo fenomeno? Lo abbiamo chiesto a due esperte sul campo: Patrizia Nardulli (Direttore Farmacia, IRCCS Istituto Tumori Giovanni Paolo II, Bari) e Valentina Tabelli (Responsabile Unità Farmaci Antiblastici, Azienda ULSS 8 Berica, Vicenza).

La carenza o l’indisponibilità sul mercato di un farmaco costituiscono una seria difficoltà del sistema di approvvigionamento e utilizzo dei medicinali, con risvolti importanti per tutti gli attori coinvolti: dai clinici ai farmacisti ospedalieri, dai responsabili regionali degli acquisti fino, in ultima analisi, ai pazienti, che rischiano di veder compromessa l’efficacia della cura. È un tema ben presente anche a livello di istituzioni nazionali ed europee, tanto è vero che sia l’Agenzia Italiana del Farmaco sia l’European Medicines Agency monitorano costantemente la situazione e rendono noto l’elenco dei farmaci temporaneamente carenti.

Le cause della carenza di farmaci sono molteplici e di varia natura: dalla impossibilità a reperire le materie prime a criticità relative al mercato oppure a problematiche di produzione. In una recente risoluzione del Parlamento Europeo, adottata anche a seguito delle problematiche di penuria dei farmaci messe in evidenza dalla pandemia di Covid-19, si sottolinea l’impatto negativo di alcuni elementi sulla disponibilità di farmaci: infatti, negli ultimi anni sono aumentati notevolmente la delocalizzazione della produzione in Paesi extra-Ue, la massificazione della domanda e la pressione sui prezzi.

Qual è la situazione in Italia e come si potrebbe arginare questo fenomeno? Lo abbiamo chiesto a due esperte sul campo: Patrizia Nardulli (Direttore Farmacia, IRCCS Istituto Tumori Giovanni Paolo II, Bari) e Valentina Tabelli (Responsabile Unità Farmaci Antiblastici – UFA, Azienda ULSS 8 Berica, Vicenza).

Intervista a Patrizia Nardulli

Direttore Farmacia, IRCCS Istituto Tumori Giovanni Paolo II, Bari

Nella sua esperienza, quali problematiche sono correlate alla carenza dei farmaci e quali misure potrebbero essere utili per contrastare questo fenomeno?

La carenza dei farmaci è una problematica molto sentita: negli ultimi anni stiamo assistendo al verificarsi di queste criticità con una certa frequenza e sta diventando una questione davvero complessa che rischia di mettere a repentaglio la continuità terapeutica in un numero sempre maggiore di pazienti. La stessa AIFA ha predisposto una lista di farmaci carenti sul territorio nazionale che aggiorna costantemente.

Diverse sono le cause che possono determinare la carenza di un farmaco: a volte il problema può essere ricondotto ad una criticità di approvvigionamento della materia prima (magari proprio in caso di prodotti ad estrazione naturale), altre volte invece possono entrare in gioco motivazioni economiche e di mercato.

In ogni caso la carenza di farmaci rappresenta per la farmacia ospedaliera un problema gestionale enorme, che comporta un aggravio di lavoro notevole; il nostro obiettivo è quello di cercare in ogni modo di superare questa criticità per evitare ai pazienti l’interruzione del trattamento. Ancora più drammatico è quando la mancanza di farmaci riguarda, come è capitato anche di recente nella mia esperienza, medicinali oncologici.

Per aggirare questo ostacolo è necessario mettere in atto misure diverse a seconda del motivo che ha generato la carenza: quando è possibile, se il problema è solo di carattere nazionale, si ricorre all’importazione dall’estero, che comunque allunga i tempi di approvvigionamento e i costi.

La carenza di farmaco è un rischio per la salute dei pazienti

Qualche volta la mancata fornitura del farmaco è dovuta a problematiche gestionali delle aziende farmaceutiche. L’ultimo caso importante che abbiamo dovuto affrontare è legato alla carenza del farmaco biosimilare di bevacizumab, un anticorpo monoclonale utilizzato in numerose patologie oncologiche. In questo caso la Regione Puglia ha aderito ad una gara multiregionale indetta dalla Regione Piemonte che prevedeva l’aggiudicazione ad un unico fornitore e coinvolge cinque Regioni molto popolose, con un bacino di pazienti molto rilevante. Forse proprio in considerazione dell’altissimo numero di pazienti da trattare nelle cinque Regioni per le quali si è aggiudicata l’appalto, l’azienda produttrice non è stata in grado di provvedere all’approvvigionamento ed è andata in rottura di stock, che ha comportato una carenza totale del farmaco.

Per sopperire a questa situazione, nella quale non era assolutamente possibile interrompere la terapia, è stato necessario far effettuare ai pazienti un nuovo switch terapeutico tornando all’utilizzo del farmaco originator o verso un nuovo biosimilare, con un grandissimo impegno da parte dei farmacisti ospedalieri e dei clinici. E sappiamo bene che lo switch tra originator e biosimilare e i possibili vantaggi economici correlati, a parità di efficacia, sono uno dei grandi temi di discussione del momento.

La carenza di farmaci è un problema dalle mille sfaccettature e può essere correlato a molte cause: non tutte si possono prevedere ma alcune sì, e si potrebbe cercare di gestire in maniera adeguata il problema.

Ad esempio, per quanto riguarda i farmaci a basso costo, sarebbe auspicabile un intervento di AIFA a fianco delle aziende farmaceutiche in maniera da risolvere le criticità di fabbricazione e distribuzione di questi principi attivi di sintesi chimica a volte piuttosto “datati”. Un caso importante ha riguardato la carenza di un vecchio chemioterapico, la mitomicina, per la quale abbiamo dovuto attivare l’importazione dall’India. Probabilmente il mercato italiano non è più remunerativo per i produttori di “farmaci datati”, in questi casi sarebbe auspicabile un intervento di AIFA sulle Aziende Farmaceutiche per valutare anche le loro necessità e mettere in campo dei meccanismi che prevengano simili situazioni, che possono anche mettere i pazienti a repentaglio per la mancanza di cure salvavita.

Il fenomeno può essere correlato a molte cause, e alcune si possono prevedere ed evitare

Oltre alle difficoltà di reperimento della materia prima, possono essere anche provvedimenti a carattere regolatorio a causare il mancato approvvigionamento, e anche su questo aspetto AIFA potrebbe sicuramente svolgere un ruolo importante, ad esempio, con una diversa negoziazione del prezzo.

A mio parere, la parola che potrebbe risolvere la questione è “pianificazione”: cercare un collegamento con le aziende produttrici di questi farmaci, per pianificarne produzione, immissione in commercio e costo.

Per quanto riguarda invece l’esempio del bevacizumab citato in precedenza, in quel caso sicuramente un meccanismo di gara diverso ci avrebbe aiutato. Per i farmaci biotecnologici infatti la normativa prevede che, laddove siano presenti sul mercato più di 3 prodotti a base del medesimo principio attivo, si possa effettuare una procedura con Accordo Quadro, prevedendo un’aggiudicazione a più fornitori: in un caso di rottura di stock come quello ricordato, sarebbe stato più semplice ottenere l’approvvigionamento dalle altre aziende aggiudicatarie, senza dover procedere ad una nuova gara e conseguente contrattualizzazione, con il pericolo di non riuscire a garantire la regolarità dei cicli di chemioterapia ai pazienti oncologici.

Inoltre, un tempo, quando ogni ospedale effettuava le gare di acquisto direttamente e singolarmente, in caso di carenza di farmaci si poteva ricorrere ai prestiti tra aziende sanitarie e, in questo modo, si garantiva la continuità ai pazienti. Da quando le gare si svolgono a livello regionale o addirittura multiregionale, questo non è più possibile perché l’aggiudicatario unico è uguale per tutti e tutti vanno in carenza contemporaneamente.

La carenza di farmaci è un rischio per la salute dei pazienti. Mi piacerebbe che, per affrontare questo tema, le Farmacie Ospedaliere, che sono in prima linea nella gestione pratica per garantire la continuità terapeutica ai pazienti, fossero più coinvolte per creare delle linee guida e cercare di elaborare soluzioni possibili. Anche SIFO, come Società Italiana di Farmacia Ospedaliera, si è attivata in questo senso e ha realizzato il portale DruGhost per affiancare i suoi soci nella difficile gestione della problematica.

Intervista a Valentina Tabelli

Responsabile Unità Farmaci Antiblastici (UFA), Azienda ULSS 8 Berica, Vicenza

Nella sua esperienza, quali problematiche sono correlate alla carenza dei farmaci e quali misure potrebbero essere utili per contrastare questo fenomeno?

La carenza di farmaci è un tema molto presente, che ha un impatto notevole sulla quotidianità degli operatori sanitari e dei pazienti. In parte questo problema dipende dai meccanismi con i quali vengono strutturate le gare regionali. Come noto, la quasi totalità dei farmaci viene acquistata tramite una gara regionale che, molto spesso, prevede come criterio di aggiudicazione il minor prezzo: in questi casi, e a maggior ragione se l’aggiudicatario risulta essere un’azienda produttrice di piccole dimensioni, molto spesso non viene garantita una fornitura costante del farmaco e il problema della carenza è all’ordine del giorno.

Recente è l’esperienza che abbiamo avuto con la gara indetta per l’approvvigionamento del farmaco biotecnologico bevacizumab, gara che è stata aggiudicata al produttore del biosimilare e che, nonostante si trattasse di un’azienda non piccola, ha avuto immediatamente problemi di rottura di stock. E nel caso dei biotecnologici e biosimilari il tema della carenza è ancora più sentito perché, se per un farmaco convenzionale la ricerca di un’alternativa è più semplice e riguarda aspetti sostanzialmente logistici, la sostituzione di un biosimilare diventa più complessa e comporta la necessità di operare uno switch terapeutico, con il coinvolgimento anche del clinico curante.

Il tema della carenza dei farmaci biosimilari è un problema nuovo in ambito oncologico perché in questo settore l’introduzione sul mercato di questi farmaci, a seguito della perdita del brevetto da parte degli originator, è piuttosto recente e ce ne sono ancora pochi. Si tratta quindi di situazioni piuttosto nuove e, rispetto ad altri tipi di medicinali, in questo caso la carenza è meno facilmente gestibile senza creare inconvenienti per i pazienti. Come detto, ad esempio per il bevacizumab è stato necessario ricorrere a switch tra due farmaci in tempi molto stretti: questa è stata l’unica soluzione, anche se non rappresenta una situazione ottimale, per le difficoltà logistiche che porta con sé.

La rottura di stock per un biosimilare va oltre la questione logistica e diventa una questione clinica

Questo aspetto rischia di inficiare anche l’utilizzo e la diffusione dei farmaci biosimilari. È vero che ormai sono ben conosciuti dai clinici e i timori iniziali sono stati superati, però la prospettiva di dover affrontare una rottura di stock con il conseguente ulteriore switch terapeutico può aggiungere un nuovo ostacolo alla prescrizione e all’utilizzo dei biosimilari.

Come detto, la carenza di un biosimilare va oltre la questione logistica, come per gli altri medicinali, ma diventa una questione clinica e richiede pertanto un livello di attenzione diverso. E questa particolarità può risultare a volte difficile da spiegare al servizio di approvvigionamento, con il quale noi come farmacia ospedaliera ci interfacciamo: anche in questo caso, si tratta di operare un passaggio culturale, e non è immediato.

Per evitare i problemi di carenza dei farmaci, una delle soluzioni possibili potrebbe essere quella di prevedere un meccanismo diverso nella procedura di gara, impostando come criterio di aggiudicazione non solo il prezzo ma anche la qualità. Oppure si potrebbe inserire tra i criteri di aggiudicazione la richiesta di una garanzia di fornitura minima, per assicurare anche la quantità, oltre alla qualità. E sarebbe necessario anche valutare la capacità produttiva dell’azienda, che spesso rappresenta il vero problema. Soprattutto quando si tratta di gare indette a livello regionale, e non di singola ASL, i quantitativi vengono esplicitati chiaramente ed è noto che, solitamente, vengono tarati verso l’alto, quindi le aziende produttrici dovrebbero essere in grado di conoscere e garantire l’erogazione della fornitura per tutta la realtà regionale.

In questi mesi, alle problematiche usuali, relative nella mia esperienza soprattutto ai farmaci oncoematologici, si è imposto anche il problema legato alla pandemia Covid, che ha presentato delle motivazioni e delle soluzioni assolutamente peculiari.

In particolare la carenza di farmaci legati al Covid è stata correlata soprattutto alla maggiore ospedalizzazione dei pazienti e alla maggiore occupazione dei dipartimenti rianimazione. Per affrontarla è stata messa in campo una vera e propria task force a livello intraregionale che, nonostante alcuni aspetti da migliorare, ha avuto il merito di supportarci nel coordinamento dell’attività di acquisto dei farmaci e di fornire anche degli strumenti dedicati per superare le criticità.

Le farmacie ospedaliere sono in prima linea per garantire la continuità terapeutica ai pazienti

Il lavoro di gruppo e la condivisione delle note di carenza sono elementi fondamentali anche per quanto riguarda la gestione dei farmaci oncoematologici: nel tempo si è infatti creata spontaneamente una “rete” di supporto non solo interna alla Regione ma anche con relazioni verso altre Regioni, che consente di confrontare la situazione dell’approvvigionamento e, quando possibile, intervenire tempestivamente con prestiti tra le strutture. Forse, proprio perché la gestione del farmaco oncologico è molto complessa, per la logistica si è riusciti a condividere tutto quel che è possibile, come gli schemi terapeutici, gli approcci al risk assessment o alle varie tipologie di processi. Questa rete, come detto, è nata spontaneamente dai centri, in base alle proprie relazioni: sicuramente una strutturazione più ampia e organizzata a livello centrale di questa rete potrebbe essere utile. Il modello che le singole strutture hanno creato per risolvere le emergenze si è dimostrato efficace, quindi potrebbe fungere da best practice e portato a modello regionale applicabile anche ad altri ambiti.

A livello europeo invece potrebbe essere utile una presa in carico comunitaria delle forniture, con una riduzione dei confini e delle autorizzazioni. Queste soluzioni potrebbero essere di aiuto non tanto per limitare le carenze quanto per facilitare il transito: infatti, nei casi in cui si rende necessaria l’importazione dall’estero, la criticità maggiore riguarda i tempi della fornitura e le numerose autorizzazioni da ottenere.

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