Infertilità: numeri, cause e contraddizioni del fenomeno nel nostro Paese

La Pma in Italia è offerta a tutti dal Ssn e i centri pubblici di secondo livello per la fecondazione assistita sono 72, ma ci sono problemi per quanto riguarda l'equità di accesso e l'ovodonazione

Una persona su sei nel mondo è affetta da infertilità. Il dato è stato reso noto alcuni giorni fa dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) in occasione della pubblicazione del report sulla stima della prevalenza di questa condizione tra il 1990 e il 2021.

Tradotto in percentuale, uno su sei significa che circa il 17% degli adulti non riesce ad avere figli. Dato che per l’Italia si attesta intorno al 15%, secondo quanto risulta all’Istituto superiore di sanità. E, naturalmente, pare un dato particolarmente allarmante.

A leggere bene le informazioni del report la situazione reale potrebbe essere anche molto differente. È la stessa Oms a dirlo, lamentando la carenza di studi scientifici ad hoc sul tema della infertilità. Non solo a livello mondiale, ma anche nei diversi Paesi. Ragion per cui i numeri presenti nel report rappresentano solo una stima delle dimensioni reali del fenomeno infertilità.

In Italia non ci sono studi specifici sulla prevalenza dell’infertilità

Commenta a TrendSanità Paola Anserini, presidente della Società italiana di fertilità e sterilità (Sifes): “Il report di Oms è uno studio di valutazione di prevalenza dell’infertilità nel mondo che si riferisce a un numero limitato di lavori scientifici. E infatti conclude che gli studi di prevalenza sull’infertilità sono troppo pochi e che si dovrebbero condurre nazione per nazione, perché avrebbero un grande rilievo per far notare agli stakeholder della sanità le necessità su questo tema in ogni Paese. Questo discorso vale anche per l’Italia, dove non ci sono studi specifici sulla prevalenza di questo fenomeno”. Il che potrebbe far supporre che i dati diffusi da Oms possano essere finanche sottostimati. Afferma Anserini: “Sono sicuramente sottostimati perché gli studi presi in considerazione hanno una base dati non omogenea rispetto alle persone che hanno risposto all’indagine”.

Infertilità: cosa si intende?

Ma andiamo con ordine e iniziamo con capire cosa si intende per infertilità.

L’infertilità è considerata una vera e propria patologia, tanto che si parla di diagnosi e di terapia riferite a questa condizione di salute. Secondo Oms si parla di infertilità quando una coppia non riesce a concepire dopo 12-24 mesi di rapporti sessuali non protetti.  

Vien da chiedersi allora quali siano allora le principali cause che portano a questi numeri così elevati di infertilità nella specie umana. Risponde la presidente della Sifes: “Possiamo indicare le cause, anche se non possiamo dire quale sia la loro prevalenza assoluta ma solo quella che rileviamo nei pazienti che si rivolgono ai centri dedicati alla procreazione assistita. Di fatto, non tutte le persone infertili sanno di esserlo e non tutti gli infertili optano per la fecondazione assistita”.

Quindi numeri assoluti che definiscono il quadro dell’infertilità non ci sono né a livello mondiale né in Italia. I dati del Registro nazionale italiano della procreazione medicalmente assistita (Pma), la cui pubblicazione annuale è istituita dalla legge 40 del 2004, sono parziali perché riferiti solo alle coppie infertili che si rivolgono ai centri specializzati. E avendo una base dati diversa da quella utilizzata da Oms per il suo report i numeri italiani non possono essere messi in relazione con quelli mondiali.

Inoltre Oms riporta il dato della prevalenza di infertilità lifetime, cioè di coppie che dicono di avere avuto problemi di infertilità almeno una volta nella vita, e il dato riferito alla dichiarata infertilità in uno specifico periodo della vita, presente o passato.

Le cause dell’infertilità

Secondo l’ultima edizione del Registro, su 32.562 coppie trattate nel 2020 con tecniche di Pma di II e III livello con trasferimenti di embrioni a fresco con tecniche Fivet e Icsi, il 20% risultava infertile per ragioni relative al maschio, il 18% per fattori sia maschili che femminili, il 16% dei casi riguardava infertilità idiopatica (casi in cui non si riescono a determinare cause femminili o maschili che spieghino l’infertilità della coppia). Ben il 44% dei casi invece era relativo a infertilità femminile (vedasi figura).

Cominciare a cercare una gravidanza in tarda età aumenta il tasso di coppie che non riescono a procreare

Commenta Anserini: “Anche Oms rileva anche che non ci sono dati specifici sulle cause di infertilità, né rispetto al genere che costituisce le coppie che dichiarano l’infertilità. Quanto al 17% dell’infertilità femminile per ridotta riserva ovarica rilevato dal Registro, essa comprende anche i casi dovuti all’età della donna, che nei Paesi europei e in particolare in Italia è una grossa motivazione di infertilità. Il fatto di cominciare a cercare una gravidanza in tarda età aumenta il tasso di coppie che non riescono a raggiungere l’obiettivo e che quindi si rivolgono al centro di procreazione assistita”.

Figura: Indicazioni di infertilità per le 32.562 coppie trattate con tecniche di Pma di II e III livello con trasferimento di embrioni a fresco (Fivet/Icsi) nel 2020

Fonte: Attività del registro nazionale italiano della procreazione medicalmente assistita, 16° Rapporto, istituto superiore di sanità, dati 2020

Attenzione ad alimentazione e stili di vita e all’ambiente

Oltre alle cause fisiologiche, mediche e genetiche, l’infertilità può essere dovuta anche a fattori modificabili, come abitudini alimentari e stili di vita. Spiega Anserini: “I disturbi alimentari, il sovrappeso e l’eccessiva magrezza in particolare, hanno un impatto importante sulla fertilità sia nell’uomo che nella donna. Questi disturbi sono in aumento, anche post-Covid. Anche un’alimentazione disordinata può concorrere all’infertilità. Così come alcool, fumo e droghe. Soprattutto incide negativamente la durata di esposizione a stili di vita sregolati. Ancora una volta vediamo che a incidere è il fattore età: se è un giovane di 25 anni a essere dedito all’alcool e al fumo l’impatto di queste abitudini sull’infertilità sarà più ridotto rispetto a quello che potrà avere un adulto di 40 anni. Anche perché si aggiunge il normale calo della fertilità dovuto all’aumentare dell’età”. In altri termini, la fertilità è inversamente proporzionale all’età anagrafica e direttamente proporzionale alla durata dei cattivi stili di vita. Con negativi effetti sommatori di questi due fattori.

Ci sono poi gli endocrine disruptors, che in italiano chiamiamo interferenti endocrini, le sostanze artificiali presenti nell’aria e negli alimenti che interferiscono con il nostro sistema ormonale alterandone gli effetti. Tra cui anche quelli relativi alla fertilità. Come ci difendiamo?

Risponde l’esperta: “Con le regolamentazioni europee relative alle sostanze tossiche. Purtroppo, dal punto di vista personale ci si può fare poco. Anche in questo caso, la durata dell’esposizione fa la differenza. Perché l’effetto di queste sostanze sulla fertilità sarà maggiore con l’aumentare dell’età a cui una coppia cerca una gravidanza”.

Diagnosi e terapia

Ma come si diagnostica l’infertilità? Illustra Anserini: “Innanzitutto i 12 mesi di rapporti non protetti per definire che una coppia non è fertile valgono per le coppie che non hanno avuto eventi che già di per sé siano possibili cause di infertilità. Per esempio interventi chirurgici su ovaie, utero, testicoli o terapie che sono note per essere gonadotossiche. O ancora, infezioni genitali o sessualmente trasmesse già diagnosticate come sifilide, clamidia e prostatiti croniche. La diagnosi avviene attraverso una visita specialistica di entrambi i partner che parte dall’anamnesi e prosegue con diversi accertamenti come l’esame del liquido seminale, la valutazione dell’ovulazione, i dosaggi ormonali. Fino ad arrivare alla conclusione che o non c’è alcuna causa apparente – infertilità idiopatica – o che ve n’è una specifica di origine maschile o femminile o di entrambi i partner”.

Le terapie vanno impostate caso per caso in base alla causa dell’infertilità

Appare quindi intuibile che le opzioni oggi disponibili per la terapia dell’infertilità siano diverse a seconda della causa che origina questa condizione. Come conferma la dottoressa: “Abbiamo trattamenti antibiotici per risolvere i casi di infezione, la chirurgia endoscopica per alcune malformazioni dell’utero o per alcune aderenze. Vi sono poi terapie per l’induzione dell’ovulazione nelle pazienti che non riescono a ovulare. Spesso i pazienti arrivano dallo specialista di infertilità con quei disturbi derivanti da una scorretta alimentazione, che vanno corretti prima di passare ad altro. Talvolta la terapia dell’infertilità può essere ‘semplicemente’ far perdere o acquisire peso al paziente. Vediamo quindi che non è possibile definire un percorso unico valido per tutte le coppie. Ogni caso è a sé. In ogni caso, le tecniche di riproduzione assistita che oggi sono disponibili e sicuri dal punto di vista medico per i cittadini, non devono per forza essere l’ultimo step dopo aver provato tutto il resto. Per alcune coppie può essere anche la prima scelta. Ad esempio, in caso di gravi problemi di infertilità maschile non c’è bisogno di aspettare, perché raramente ci sono terapie mediche migliorative”.

Equità d’accesso a rischio

Il report di Oms evidenzia come l’infertilità non trovi sempre risposte adeguate nella sanità dei diversi Paesi del mondo. In Italia come siamo messi in termini di accesso alla diagnosi e ai trattamenti per l’infertilità? Forse che ci siano anche in questo caso le note differenze territoriali di accesso?

I centri pubblici di secondo livello per la fecondazione assistita in Italia sono 72

Per rispondere a queste domande complesse viene in nostro soccorso nuovamente Anserini: “Rispetto ad altri Paesi, sulla carta la Pma in Italia è offerta a tutti dal Ssn. E i centri pubblici di secondo livello per la fecondazione assistita sono 72. Quindi saremmo in posizione privilegiata rispetto all’estero. Nella realtà però ci sono tante problematiche e saranno sempre più presenti in futuro. Infatti le tecniche si evolvono rapidamente e per essere sempre più performanti hanno bisogno di strumentazioni più all’avanguardia, ma il Ssn è molto lento nel stare al passo per problemi di budget e non solo. Quindi se in teoria saremmo il Paese migliore del mondo per l’equità d’accesso alle terapie per l’infertilità, in realtà non tutti i centri hanno le strumentazioni adeguate, il personale specializzato e liste d’attesa allineate alle esigenze dei pazienti”.

Il nodo dello stigma

Altro argomento delicato toccato dall’indagine dell’Organizzazione mondiale della sanità è quello relativo allo stigma. Che in molti Paesi, specialmente quelli a basso reddito, interessa soprattutto le donne che non riescono ad avere figli. Un po’ come accadeva nel nostro Paese fino a pochi decenni fa. Quando la condizione della donna che non aveva figli era vista negativamente, giacché il suo ruolo sociale era ancora fortemente legato all’essere moglie, madre e sostanzialmente responsabile del focolare domestico.

Chiediamo ad Anserini se sia ancora così, se il non poter avere figli, cioè l’infertilità, sia ancora uno stigma sociale specialmente per le donne che si rivolgono ai centri specializzati italiani.

“Non ho dati scientifici documentati per rispondere a questa domanda – dice l’esperta. La mia opinione personale derivata da ciò che percepisco nella pratica clinica è che fino a una certa età non sia uno stigma sociale per gli italiani. Però può esserlo per le donne di diversa etnia e tradizioni culturali, anche giovani. Tuttavia, quando una coppia decide di avere un figlio e non riesce in questo intento, e decide di rivolgersi a uno specialista di infertilità è quasi sempre un dramma. Talvolta mi rendo conto che pur occupandomi di un aspetto di salute che non ha conseguenze mortali, essa spesso è vissuta dai pazienti come una menomazione fisica. E ciò vale tanto per le donne quanto per gli uomini”.

Tra diritto alla genitorialità e gestazione per altri

Parlando di infertilità e di tecniche per la procreazione medicalmente assistita non possiamo non toccare un tema di strettissima attualità: quello della gestazione per altri. Che è fortemente collegato a quello del diritto alla genitorialità dell’individuo. E non possiamo non rivolgere alcune domande delicate a un’esperta che aiuta ogni giorno le persone a realizzare il proprio desiderio di avere un figlio.

In particolare, vien da chiedersi che idea si è fatta in tanti anni di lavoro un medico che supporta le coppie nel superare i problemi legati all’infertilità, rispetto al fatto che tutti possano o meno avere diritto di diventare genitori a prescindere dal genere, dall’orientamento sessuale o dal fatto di essere single o di vivere in coppia. E rispetto all’opzione della gestazione per altri.

Risponde Anserini, specificando che esprime in questo caso una opinione personale, che può non coincidere completamente con quella della società scientifica che ha l’onore di presiedere: “Non ho alcuna obiezione rispetto alla possibilità che anche coppie dello stesso genere possano aspirare a diventare genitori. Penso che tutti abbiano diritto a procreare e alla genitorialità. Credo che il dibattito sulle modalità con cui ciò possa realizzarsi debba essere ancora approfondito e sfaccettato. Ho invece molte obiezioni, in quanto donna, sul fatto che si debba incoraggiare la gestazione per altri. Ma, come dicevo prima, è un tema che deve essere ancora molto ben approfondito. Tra l’altro esiste un tema di ‘sostenibilità’ troppo poco affrontato: non credo che su larga scala la procreazione per altri sia percorribile e, quindi, da incoraggiare”.

“Tra gli obiettivi del mio mandato c’è l’incentivo all’autodonazione da parte di soggetti che non pensano di essere pronte a concepire un figlio in giovane età: potranno usare i propri ovociti successivamente”

Chiosa poi la dottoressa: “Come presidente della Sifes, sostengo che una buona fetta di infertili lo sia per ragioni di età avanzata e che ci sia necessità di utilizzare l’ovodonazione, che è consentita solo acquisendo ovociti da banche estere, giacché non è stata normata la donazione altruistica in Italia. Bisogna porre rimedio a questa situazione, che non è più sostenibile. Tra gli obiettivi del mio mandato vi è quello di favorire l’incentivo all’autodonazione da parte di soggetti che non pensano di essere pronte a concepire un figlio in giovane età. Così che possano utilizzare i loro stessi ovociti successivamente, quando riterranno di voler avere un figlio. Perché di fatto acquistiamo gli ovociti dalle banche straniere, ma formalmente diciamo che non facciamo commercio di ovociti… una delle strane contraddizioni del nostro Paese.

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Carlo M. Buonamico
Giornalista professionista esperto di sanità, salute e sostenibilità