La Rete Reumatologica Metropolitana di Bologna ha introdotto un modello innovativo di assistenza al paziente cronico che ha considerato come elemento centrale, già prima della pandemia da Covid-19, l’attenzione alla prossimità di cura, con il coinvolgimento multidisciplinare di diverse figure e strutture sul territorio.
Il modello organizzativo colma la distanza tra l’assistenza sul territorio e quella svolta nei complessi ospedalieri
Esploriamo i dettagli del percorso di presa in carico, la collaborazione tra ospedale e territorio e le prospettive future di questa iniziativa con il dottor Massimo Reta, Direttore dell’Unità Operativa Complessa Interaziendale di Medicina Interna ad Indirizzo Reumatologico dell’Azienda USL di Bologna e IRCCS AU Bologna Policlinico di Sant’Orsola.
Come nasce il percorso di percorso di presa in carico e gestione del paziente reumatologico della vostra realtà?
Il disegno della Rete Reumatologica Metropolitana di Bologna nasce su proposta dalla Conferenza Socio Sanitaria Territoriale Metropolitana nel 2019 con l’obiettivo di studiare un nuovo modello di assistenza del malato reumatologico che è l’archetipo del malato cronico. Questo modello doveva avere chiare e innovative caratteristiche quali:
- la “prossimità” reale e capillare, tale da poter, per quanto possibile, gestire il paziente vicino al domicilio
- la “presa in carico” che, una volta confermato che il paziente necessiti di percorso specialistico reumatologico, sia per un percorso breve o lungo, viene gestito dall’organizzazione reumatologica. Questa gestione include la prescrizione e la prenotazione diretta, quando possibile, di tutti gli esami e trattamenti necessari. Inoltre, molte di queste prestazioni potranno essere effettuate direttamente dall’Unità Operativa stessa. Nelle sedi dove è disponibile la tecnologia dell’ecografia muscolo-scheletrica o articolare, durante la visita reumatologica stessa verrà eseguita direttamente l’ecografia, riducendo i tempi per la diagnosi e evitando al paziente di dover tornare più volte presso le strutture sanitarie
- la “medicina di iniziativa”, implementando il PDTA del malato reumatologico adulto che ha come scopo e disegno l’obiettivo di intercettare precocemente i pazienti reumatologici a prognosi potenzialmente più severa come le poliartriti, le connettiviti, le vasculiti
- la “medicina di precisione” attraverso il lavoro in Rete, stratificando in livelli assistenziali i pazienti in relazione alla loro effettiva complessità clinica e non per forza in relazione alla patologia
- il superamento della assistenza territoriale come “filtro” di pazienti da inviare successivamente al centro ospedaliero.
Inoltre obiettivo era l’ampliamento dell’offerta reumatologica, sia nelle strutture territoriali di prossimità (Case di Comunità e Poliambulatori in AUSL Bologna e Imola) che in quelle ospedaliere (Ospedale Maggiore, AOSP Bologna, IOR, Imola) con il consolidamento dell’attività di questi nella presa in carico dei pazienti a maggiore complessità.
Come è organizzato il percorso e perché è innovativo nel rapporto tra ospedale e territorio?
La Rete si compone di 18 sedi reumatologiche distribuite capillarmente sul Territorio Metropolitano in modo da poter offrire, oltre che un certo numero di visite, anche lo svolgimento delle stesse quasi sempre abbastanza vicine al domicilio stesso.
Questo modello organizzativo colma la distanza tra la assistenza sul territorio e quella svolta nei complessi ospedalieri rendendole entrambe organiche ad un unico obiettivo, cioè il raggiungimento della migliore assistenza al malato cronico.
I professionisti reumatologi ospedalieri e specialisti territoriali lavorano sia negli Ospedali sia nelle Case di Comunità, inseriti tutti nella Unità Operativa senza distinzione di competenze e di attività. Possono così gestire qualsiasi malato reumatologico, sia egli semplice che severo/complesso. Spesso questi professionisti seguono il percorso del paziente complesso/severo anche nel passaggio ai setting di maggior complessità lavorando in team con i Colleghi o altri specialisti (multidisciplinarietà).
Quali risultati avete già raggiunto e quali prospettive avete per il futuro?
Il lavoro in Rete che ha coinvolto specialisti di diverse Aziende Sanitarie ha reso più fruibile l’assistenza consentendoci di essere tempestivi non solo nella presa in carico ma anche nella gestione nel giusto setting e rendendo complementari le capacità di ogni UO Reumatologica.
L’assistenza è più fruibile e tempestiva non solo nella presa in carico ma anche nella gestione del giusto setting
Il risultato finale è quello di migliorare l’assistenza del malato reumatologico e favorire la multidisciplinarietà, elemento che, ad oggi, è un punto fermo per i pazienti reumatologici complessi. Il passaggio nei vari setting viene naturalmente gestito attraverso prescrizioni e prenotazioni dirette senza alcun aggravio di tempo e spesa da parte del paziente che troverà tutti riferimenti di gestione, diagnostica e terapeutici direttamente sul Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE).
Come si inserisce nella nuova sanità territoriale e nelle nuove Case di comunità?
Questo modello, nato ben prima del PNRR e del DM 77/22, ha reso omogenea ed estremamente “capace e competente” la gestione del paziente tra territorio e ospedale.
Il presente, che è già futuro, è volto a riconoscere in punti strategici territoriali, nelle Case di Comunità, organizzazioni, supporti logistici e di risorse tecnologiche e umane che possano spostare il livello di complessità maggiore sul territorio al fine di aumentare la platea di pazienti presi in carico in prossimità e ridurne lo spostamento verso l’ospedale, che rimane punto di riferimento per i malati più severi, con malattie rare, comorbidi, multidisciplinari o che necessitino di maggior e più specialistica cura.
A questo scopo abbiamo già in sperimentazione la delocalizzazione e domiciliazione di alcuni trattamenti e attività, finora svolti nei Centri Hub, nelle Case di comunità.
Allo stesso modo abbiamo implementato fin dal 2020 la telemedicina, sia come televisita che teleconsulto: oltre utile a ridurre i tempi di attesa di alcuni pazienti, ne migliora la gestione rendendo sempre più facile e fruibile la multidisciplinarietà. Inoltre già oggi la telemedicina in organizzazioni così complesse ha un ruolo chiave anche nel monitoraggio, assistenza e triage dei pazienti già presi in carico che possano avere richieste di valutazioni anticipate e/o presunte urgenti, riducendo di conseguenza lo stress organizzativo degli accessi incontrollati urgenti.
Quali criticità avete affrontato e come le avete superate?
Naturalmente questo modello ha richiesto nel tempo un grande impegno da parte delle Aziende Sanitarie partecipanti e delle relative organizzazioni, dei professionisti e dei servizi essenziali al supporto della costituzione e successivo mantenimento e miglioramento della Rete.
È necessario uno sforzo in appropriatezza, coordinamento, collaborazione e lavoro in team, flessibilità e capacità di “pragmatismo professionale”
È necessario uno sforzo in appropriatezza, coordinamento, collaborazione e lavoro in team, flessibilità e capacità di “pragmatismo professionale”. E tutto questo può essere raggiunto con la formazione continua e il lavoro di gruppo che, ancora oggi, è fondamentale per continuare a migliorare l’organizzazione, e di conseguenza l’assistenza stessa.
Fondamentale nell’integrazione ospedale/territorio è il rapporto con il medico di medicina generale: qual è il suo ruolo nella vostra Rete?
Il rapporto con il MMG è centrale e decisivo se si vuole operare con criteri di appropriatezza e condivisione dei progetti di presa in carico e cura del malato cronico, per cui incontri formativi, informativi e di condivisione di obiettivi e risultati nelle Case di Comunità o nei Nuclei di Cure Primarie sono e saranno necessari nel tempo.
I professionisti reumatologi ospedalieri e specialisti territoriali lavorano sia negli Ospedali sia nelle Case di Comunità
Avrà importanza primaria anche la consapevolezza che nelle patologie croniche i momenti di controllo e follow-up assumono carattere prioritario e di conseguenza superare il concetto prestazionale delle cure, privilegiando la qualità e l’organicità di una reale presa in carico personalizzata, almeno per i pazienti complessi/severi. In quest’ottica, il lavoro sulle macroarticolazioni e sui decisori sia politici che aziendali sarà ancora lungo e complesso nelle sue future fasi, dovendo giocoforza armonizzare le criticità dell’offerta sanitaria con il raggiungimento di un outcome ottimale e stabile del paziente cronico.
Questa esperienza potrebbe essere esportabile in altre realtà e che cosa ne pensano i pazienti?
Riteniamo che, anche alla luce del DM 77/22, tali modelli possano divenire virtuosi, con le dovute considerazioni e personalizzazioni, per altre discipline mediche che abbiano come core assistenziale patologie croniche.
Tale modello organizzativo è stato e continua ad essere assai utile e confortante per l’utente.
Dall’analisi degli indicatori previsti nel progetto emerge che nei 4 anni in cui si sta lavorando con questi obiettivi, la grande maggioranza dei pazienti reumatologici vengono seguiti e presi in carico presso strutture territoriali con successo e con piena soddisfazione dei pazienti stessi, che hanno e avranno una qualità dell’assistenza massimale e di grande qualità ovunque saranno valutati. Da ultimo, ritengo importante sottolineare che tutto questo è stato raggiunto anche grazie al continuo confronto tuttora in corso con l’associazionismo, e in particolare con l’Associazione Malati Reumatici Emilia Romagna (AMRER), che è stata e continua ad essere, oltre che un pungolo, anche interlocutore in tutte le fasi di costruzione della Rete Reumatologica Metropolitana.