La procedura “ibrida” di autorizzazione consente la concorrenza in gara di farmaci diversi ma con medesimo principio attivo?

Quando la diversità molecolare è rilevante? Cosa è un principio attivo? Come valutare e verificare l’equivalenza tra due farmaci? Commento alla sentenza del T.A.R. per la Liguria del 9 aprile 2018 sulla gara relativa alla fornitura di tacrolimus. L’Avvocato Roberto Bonatti commenta la sentenza del T.A.R. per la Liguria del 9 aprile 2018 sulla gara relativa alla fornitura di tacrolimus.

La precisione terminologica è essenziale nel diritto farmaceutico

Solo negli ultimi anni è divenuto davvero indispensabile, per un giurista che intenda avvicinarsi ai temi delle equivalenze tra farmaci, comprendere esattamente il significato di molti concetti tecnici che non sono definiti dalla normativa e che appartengono più propriamente alla scienza farmaceutica e medica: biosimilarità, bioequivalenza, sovrapponibilità, comparabilità. Questa difficoltà terminologica è spesso impiegata nelle aule dei tribunali come tecnica ostruzionistica o quantomeno per rappresentare al giudice la complessità di una situazione che di per sé, al contrario, è di semplice approccio e soluzione.

È vero che non è sempre facile ricondurre la scienza farmaceutica a canoni e schemi prettamente giuridici: quando la diversità molecola è rilevante? Cosa è un principio attivo? Come valutare e verificare l’equivalenza tra due farmaci? Sono solo alcuni degli interrogativi la cui risposta potrà forse sembrare elementare per ogni farmacista ma che sono tutt’altro che semplici da affrontare per un giurista.

Le equivalenze tra farmaci – e si utilizza volutamente il termine al plurale, posto che come noto se ne può parlare sotto vari aspetti: farmacologico, chimico, terapeutico, eccetera – rappresentano chiaramente il settore dove maggiormente appare indispensabile utilizzare sinergicamente e correttamente nozioni farmaceutiche e criteri giuridici.

Spesso questa operazione è ostacolata dall’esistenza di due forze opposte.

Da un lato, infatti, vi è l’esigenza di assicurare nelle procedure di gara pubblica la più ampia concorrenza, sia per assicurare il buon funzionamento del mercato (dei farmaci) nel suo complesso, sia perché essa rappresenta il fattore principale attraverso il quale il sistema sanitario può ottenere ingenti risparmi senza diminuire il livello qualitativo delle prestazioni di assistenza farmaceutica.

Dall’altro, la comparazione concorrenziale in gara è possibile però soltanto quando le caratteristiche farmacologiche dei diversi farmaci permettano un sufficiente livello di similarità tra la composizione (equivalenza farmacologica), il dosaggio, la forma farmaceutica e la modalità di somministrazione (equivalenza d’uso) ovvero del risultato terapeutico, sia in termini di efficacia che di sicurezza (equivalenza terapeutica). Quando questo livello di similarità possa essere considerato sufficiente per autorizzare l’esercizio di comparazione è compito della scienza stabilire, sia, in generale, attraverso gli organi regolatori a ciò preposti sia, con riguardo al singolo paziente, attraverso le valutazioni del medico.

Semplificando, il duello è tra concorrenza e cosiddetta libertà prescrittiva.

Concorrenza vs libertà prescrittiva: l’articolo  68 del codice degli appalti non serve

Uno degli errori più ricorrenti è quello di applicare anche ai farmaci le norme e le categorie giuridiche genericamente previste dal codice degli appalti, senza effettuare alcuna operazione di interpretazione sistematica con le specificità del farmaco, e in particolare con le norme che ne disciplinano gli aspetti regolatori e le corrette modalità di comparazione. L’esempio più frequente di ciò sta nella applicazione tout court dell’art. 68 del codice degli appalti sulla equivalenza tecnica anche ai farmaci.

Questa operazione è senz’altro metodologicamente sbagliata, come lucidamente sottolinea la sentenza del T.A.R. per la Liguria, sez. II, n. 278 del 9 aprile 2018, secondo la quale le esigenze di tutela del paziente giustificano deroghe alla normale operatività del principio di equivalenza e dove, per tale ragione, sono previste norme specifiche. Dal punto di vista terminologico, quindi, non è possibile utilizzare per i farmaci il concetto di equivalenza funzionale né descrivere il prodotto da porre in gara attraverso la semplice aggiunta dell’espressione “o equivalente”.

Le norme che, nelle gare per l’acquisto di farmaci, sostituiscono l’art. 68 del codice degli appalti sono tre:

  1. per i soli farmaci chimici, l’art. 7 del d.l. n. 347/2001 conv. in legge n. 405/2001, che afferma come due farmaci chimici possano essere considerati equivalenti solo se hanno lo stesso principio attivo, lo stesso dosaggio, forma farmaceutica e via di somministrazione;
  2. per i soli farmaci biologici e biotecnologici, l’art. 15, comma 11 quater del d.l. n. 95/2012 conv. in legge n. 135/2012, che stabilisce come due farmaci aventi lo stesso principio attivo possano, e debbano, essere posti in concorrenza soltanto se vi è un rapporto di biosimilarità accertato da EMA o, più raramente, da AIFA (farmaci biosimilari);
  3. per tutti i farmaci, chimici e biologici, il comma 11 ter della medesima disposizione, secondo il quale possono essere posti in concorrenza anche farmaci aventi principi attivi diversi purché vi sia tra essi un rapporto di equivalenza terapeutica accertato da AIFA. In questa ultima ipotesi, vi è solo da ricordare che, per i farmaci biologici, la concorrenza tra principi attivi diversi, pur se in equivalenza terapeutica, è esclusa dalla legge (è il già citato comma 11 quater a dirlo) qualora vi siano biosimilari di uno dei due originatori.

La procedura ibrida: un caso particolare di equivalenza?

L’interesse per la sentenza del T.A.R. per la Liguria sopra citata risiede principalmente nella soluzione offerta ad altro problema. In breve, il caso è il seguente: due farmaci di origine chimica sono stati posti in concorrenza dalla stazione appaltante in quanto aventi lo stesso principio attivo e perché ritenuti equivalenti, benché entrambi siano originatori. Il secondo farmaco, infatti, non è stato autorizzato (nella specie, da EMA) come farmaco c.d. generico bensì come ibrido, anche per la non trascurabile circostanza che il primo farmaco non aveva ancora perduto la copertura brevettuale. Il procedimento di autorizzazione, quindi, ha seguito la procedura di cui all’art. 10, comma 6, d.lgs. n. 219/06.

Questa particolare situazione non ricade nell’applicazione di alcuna delle tre disposizioni di legge elencate al paragrafo precedente: non nella prima ipotesi, perché i due farmaci non sono chimicamente identici pur avendo lo stesso principio attivo; non nella seconda, perché si trattava di farmaci di sintesi e non di farmaci biologici; e neppure nella terza, dato che l’equivalenza terapeutica è, di norma, una situazione che va accertata tra originatori aventi principio attivo differente, e in questo caso, e solo in questo caso, la legge richiede il necessario previo accertamento dell’equivalenza terapeutica da parte di AIFA.

La soluzione offerta dal giudice ligure muove da un presupposto di fondo inconfutabile: se la legge consente che siano posti in concorrenza in una gara d’appalto farmaci, siano essi chimici ovvero biologici, aventi principi attivi diversi purché le autorità regolatorie ne abbiano accertato l’equivalenza terapeutica tra (art. 15, comma 11 quater, d.l. n. 95/12 conv. in legge n. 135/12), allora a maggior ragione deve essere ritenuta legittima la concorrenza in gara tra farmaci chimici aventi lo stesso principio attivo, ancorché entrambi originatori, sempre a condizione che l’autorità regolatoria ne abbia accertato l’equivalenza terapeutica.

Nella particolare fattispecie esaminata dal T.A.R., in effetti tale accertamento era stato rinvenuto nel provvedimento autorizzativo da parte di EMA secondo il quale entrambi presentavano un profilo di qualità, sicurezza ed efficacia “comparabile”.

Se dal punto di vista prettamente logico la soluzione appare convincente, tuttavia essa non pare essere suscettibile di divenire una regola generale di equivalenza nelle gare d’appalto per l’acquisto di farmaci. Ciò perché non è sufficiente l’avere seguito la procedura ibrida per ottenere l’autorizzazione di un nuovo farmaco, ma occorre di volta in volta anche verificare se in detta procedura l’autorità regolatoria abbia espressamente dichiarato un rapporto di equivalenza (terapeutica) tra i due farmaci.

“Comparabile” non significa “equivalente”

Inoltre, l’esercizio di comparazione tra i due farmaci nel caso di procedura ibrida è ben diverso sia da quello che viene effettuato nel caso di procedura abbreviata abitualmente impiegata per i farmaci generici e per i farmaci biosimilari, sia da quello abitualmente compiuto per valutare l’equivalenza terapeutica tra due farmaci.

Va ricordato che il farmaco ibrido è quello che, pur avente lo stesso principio attivo rispetto a quello di riferimento, presenta non trascurabili differenze, perché, ad esempio, ha dosaggio o via di somministrazione diversi oppure un’indicazione leggermente differente dal medicinale di riferimento. Anche il farmaco biosimilare presenta differenze rispetto all’originatore ma la situazione è in questo caso ben altra: nel biosimilare, le differenze sono trascurabili in termini di qualità, di efficacia e di sicurezza del farmaco; nell’ibrido, invece, sono più marcate. Questa è la ragione per la quale il biosimilare si può giovare completamente degli studi e delle sperimentazioni relative al medicinale di riferimento, mentre nel caso del farmaco ibrido questi dati sono utilizzabili soltanto in parte, dovendo essere completati da studi suppletivi preclinici e clinici che diano evidenza della comparabilità.

Ciò dimostra che comparabilità ed equivalenza non sono la stessa cosa.

La “comparazione” di un farmaco ibrido a quello di riferimento è concetto giuridicamente e scientificamente differente sia da quello di “bioequivalenza” (utilizzato per i farmaci generici di sintesi e anche per i biosimilari) sia da quello di “equivalenza terapeutica” (utilizzato tra principi attivi diversi).

Certamente la “comparabilità”, che giustifica il ricorso alla procedura ibrida, è qualitativamente inferiore alla bioequivalenza, tanto che il farmaco è appunto ibrido, e non generico né biosimilare. Il legame tra i due farmaci è dunque forte nel caso del generico e del biosimilare, e invece debole nel caso dell’ibrido.

Ma anche l’equivalenza terapeutica sembra indicare un legame che, benché si attui tra principi attivi diversi, tuttavia appare più forte che non la semplice comparabilità: infatti, in entrambi i casi l’esame ha ad oggetto la valutazione dei profili di qualità, di sicurezza e di efficacia dei due farmaci, ma mentre il primo richiede che il risultato sia equivalente, il secondo si accontenta per così dire di un risultato anche solo “comparabile”.

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Roberto Bonatti
Avvocato specializzato in contratti pubblici e diritto della concorrenza, Studio Legale Russo Valentini, Bologna. Docente di diritto processuale civile, Università di Bologna