Perno della famiglia, caregiver per sensibilità ma non sempre per scelta. Mamme, mogli e lavoratrici. Donne che fanno di tutto, occupandosi spesso della salute dei propri cari e trascurando però la propria. Tanto che solo l’11% di esse dichiara di essersi sottoposta a uno screening oncologico nell’ultimo anno. Ancor meno – il 5% – a uno screening alla ricerca di malattie o infezioni sessualmente trasmissibili.
Ma attenzione, non sono dati allarmanti che riguardano i Paesi dalle economie emergenti. Questa fotografia si riferisce all’Italia ed è stata scattata dalla terza edizione del Global Women’s Health Index, l’indagine annuale promossa da Hologic che misura lo stato di salute delle ragazze e delle donne dai 15 anni in su, di 143 nazioni.
L’indagine Global Women Health Index misura lo stato di salute delle donne dai 15 anni in 143 nazioni
Oltre 147mila donne intervistate dalla società Gallup per «descrivere cinque ambiti che tratteggiano la salute femminile come prevenzione, salute emotiva, percezione su salute e sicurezza, bisogni di base e quelli individuali, che correlano per il 70% con l’aspettativa di vita della donna alla nascita», come, ha illustrato Giacomo Pardini, Senior Country Leader di Hologic Italia in occasione della presentazione del rapporto.
La salute della donna lascia molto a desiderare in tutto il mondo
Addentrandoci tra le pagine del report vediamo che, quando ci si riferisce alla salute del genere femminile, i dati complessivi sono tutt’altro che positivi. Facendo 100 il valore che assumerebbe un indice di salute ideale, a livello globale esso arriva solo a quota 54. Come a dire che siamo appena a metà del percorso che possa garantire un buon livello di salute per le donne. E colpisce anche il fatto che, rispetto all’anno precedente, questo risultato sia aumentato solo di 1 punto. Insomma, calma piatta per quanto riguarda iniziative davvero efficaci per migliorare il rapporto tra il genere femminile e la salute.
Considerando 100 il valore ideale di un indice di salute, a livello globale il valore arriva solo a quota 54
Persino nei Paesi del G20 la situazione è allineata alla media globale: complessivamente in queste 20 nazioni, tra le più avanzate del Pianeta, la media dell’indice di salute femminile è fermo a 56. Si distinguono però positivamente la Germania con indice pari a 67, il Giappone (65) e la Corea del Sud (64). Fanalini di coda India con punteggio di 47, Turchia e Brasile, entrambe a 46 punti.
Anche prendendo in esame i Paesi aderenti all’Unione europea il discorso cambia di poco: in media 61 punti, sebbene ci sia una forbice tra le nazioni che performano meglio e quelle in cui le cose funzionano meno. Austria e Germania raggiungono quota 67. Nel mezzo troviamo Lituania, Slovacchia, Slovenia, Francia e Bulgaria con 60 punti – al pari del Regno Unito oggi fuori dall’Ue. Chiudono la classifica Malta (57), Italia (56) e Romania (54).
Italia maglia nera nella prevenzione
Il Belpaese non è affatto messo bene in quanto a salute femminile, con un punteggio globale di 56. Ma ciò che lascia più a desiderare, e davvero fa pensare, è il punteggio della dimensione “prevenzione”: abbiamo raggiunto un misero 17, al penultimo posto in Europa dopo la Svezia (18). Peggio di noi solo la Lituania (13). Non che la media mondiale sia molto superiore (20), ma il punteggio italiano si discosta molto da quello dell’Ue (25), comunque molto basso.
È come se le donne italiane e la prevenzione fossero due entità che quasi non entrano in contatto tra loro, che non dialogano. E a ben vedere è così: solo 11% delle donne dichiara di essersi sottoposta a screening per tumore nell’ultimo anno; solo il 13% ha effettuato test di screening per il diabete e solo il 5% ha fatto indagini alla ricerca di infezioni sessualmente trasmissibili. O ancora abbiamo un debole 37% quando si parla di adesione test per la misurazione della pressione arteriosa.
Il cittadino è più fragile dopo il Covid e ha ancora più paura dell’esito degli esami
A far riflettere sono anche le variazioni di queste percentuali nel tempo. Ad esempio, l’adesione ai test di screening tumorale è in costante discesa negli ultimi 3 anni. Un trend che non ha stupito Francesca Caumo, direttore dell’Unità operativa complessa di Radiologia senologica e oncologica dell’Istituto oncologico veneto Irccs: «Oltre ai ritardi dovuti alla pandemia, dobbiamo ricordare che già prima avevamo registrato una diminuzione del 40% dell’adesione agli screening. Non siamo stati in grado di recuperare il terreno perduto anche perché permane il concetto di non affollare le strutture sanitarie. E quindi diminuiscono gli slot per gli appuntamenti». Ma non è solo questo ad aumentare le distanze tra donne e screening. Secondo Caumo «Il cittadino è più fragile dopo il Covid e ha ancora più paura dell’esito degli esami». «Verissimo», ha aggiunto Eleonora Castellacci, dirigente medico membro del Direttivo della Scuola di Chirurgia mininvasiva ginecologica italiana e già membro del Direttivo della Società italiana di Endoscopia ginecologica, «il cittadino ha paura di cosa può aspettarlo dopo la diagnosi. Vede il vuoto, perché non conosce i percorsi terapeutici. L’informazione verso la salute della donna è ancora scarsa anche sui trattamenti conservativi e spesso risolutivi oggi disponibili».
Molto da fare sulla sanità e sulla sicurezza delle donne italiane
Tinte fosche anche per il dipinto delle donne italiane rispetto alla qualità dell’assistenza sanitaria ricevuta e per la sicurezza percepita. Solo una donna su due si dice soddisfatta della qualità della sanità per la donna, ben al di sotto della media globale e di quella europea che registrano entrambe un livello di soddisfazione del 68%.
In un periodo in cui purtroppo i casi di femminicidio e violenza di genere sono cronaca quasi quotidiana, colpisce anche il dato del report relativo proprio alla violenza domestica. Ben otto donne su dieci, o se vogliamo leggere i numeri in percentuale l’80% delle italiane, dicono che la violenza domestica è un problema radicato nell’ambiente in cui vivono.
Il ruolo della tecnologia: per cittadini più attivi della prevenzione e screening più performanti
Ciò che ha visto concordi molti degli ospiti intervenuti è la necessità di cambiare il paradigma che lega i cittadini e la prevenzione. «Bisogna mettere in campo strumenti di adesione più contemporanei. Pensiamo che oggi l’invito allo screening arriva ancora tramite lettera», ha evidenziato Caumo. A cui ha fatto eco Castellacci secondo cui «lo screening deve coinvolgere le persone in modo attivo. L’invito, che sia cartaceo o meno, lo rende passivo rispetto alla propria salute. Al contrario dovrebbe essere il cittadino a chiedere di poter fare i test. Se poi riuscissimo anche a rendere prenotazioni e cambi di appuntamento più facili, magari in autonomia attraverso uno smartphone, favoriremmo anche l’adesione delle donne alle prese con i tanti impegni lavorativi e familiari che possono rendere necessarie variazioni agili degli appuntamenti».
Il paradigma che lega i cittadini e la prevenzione necessita di un cambiamento a livello tecnologico e di coinvolgimento attivo
Ma l’impiego della tecnologia non si dovrebbe limitare alla gestione delle visite. Piuttosto dovrebbe entrare sempre più vigorosamente in aiuto del medico. A vantaggio di diagnosi più veloci e precise. «Parliamo dell’intelligenza artificiale (AI), che sappiamo essere molto utile quando si deve valutare un alto numero di dati, come è il caso del confronto di un esame radiologico con altri esami dello stesso tipo. C’è anche una prima letteratura scientifica che indica come l’utilizzo dell’intelligenza artificiale insieme all’occhio umano permette di migliorare la sensibilità della diagnosi e anche la velocità», ha spiegato Massimo Calabrese, presidente della Società italiana di Radiologia medica e direttore Diagnostica per immagini al San Martino di Genova. Che ha poi aggiunto: «È importante usare l’AI negli screening mammografici. La problematica che vedo è di natura medico-legale. Le istituzioni ci devono aiutare a capire dove risiede la responsabilità nel caso di sinergia tra AI e uomo quando si fa diagnosi».
Necessaria una sinergia multi-stakeholder
«È sorprendente osservare un peggioramento dei dati, specialmente in dimensioni cruciali come la prevenzione», ha commentato Pardini, sottolineando l’urgenza di affrontare sfide che vedano lavorare «insieme imprese, associazioni e istituzioni affinché la salute della donna sia prioritaria indipendentemente dalla posizione geografica, dallo stato economico e dal livello di istruzione».
Un messaggio, quello del timoniere di Hologic Italia, raccolto con appassionato riscontro sia da parte dei medici che dei rappresentanti istituzionali intervenuti all’incontro di presentazione del rapporto sulla salute della donna.
«Credo che in Italia manchi proprio la cultura della prevenzione della salute in generale e della donna in particolare», ha dichiarato l’onorevole Ilenia Malavasi, membro della commissione Affari sociali della Camera. «Bisogna portare la prevenzione nei luoghi in cui la donna è presente, ad esempio dove lavora. E occorre investire sulla sensibilizzazione alla salute già nelle scuole, per far percepire l’importanza dello screening e il valore della prevenzione. Perché bisogna responsabilizzare i cittadini rispetto alla propria salute. Per aumentare la cultura della prevenzione possiamo trovare degli alleati nelle farmacie, diffuse sul territorio e che godono della fiducia dei cittadini».
Passando dalle parole ai fatti, esemplificativo di una politica pratica è stato l’intervento dell’onorevole Tommaso Pellegrino, consigliere di Regione Campania, dirigente Medico Breast Unit dell’Azienda ospedaliera universitaria Policlinico “Federico II” di Napoli che si è espresso proprio sul tema dell’educazione alla salute: «Presenterò una mozione in Consiglio regionale volta all’educazione alla prevenzione partendo dai giovani. Così facendo vorrei arrivare a far sì che le donne non rimandino nel tempo gli screening, come avviene oggi».
D’accordo con la collega del PD anche la senatrice Elena Murelli, membro della commissione Affari sociali del Senato in quota Lega: «È corretto parlare di educazione alla salute già nelle scuole per parlare di pubertà e dei cambiamenti della donna fino alla menopausa. Non dobbiamo dimenticarci che alcune malattie sono prettamente femminili. Raccolgo l’idea e concordo sul fare prevenzione nei luoghi di lavoro per favorire l’adesione agli screening. Ma forse dovremmo porci anche un’altra domanda “Perché le donne non fanno prevenzione?”. Forse perché non sono informate. Forse perché non credono nella sanità locale».