In altri Paesi europei le associazioni dei pazienti hanno un ruolo più consolidato, mentre in Italia sono a lungo rimaste fuori dai tavoli decisionali. Le Associazioni di pazienti, però, sono sempre più realtà in grado di concorrere alla costruzione e allo sviluppo di alcune delle più importanti politiche sanitarie.
Va in questa direzione l’atto di indirizzo da poco firmato dal segretario generale del ministero della Salute, ma il percorso è ancora da costruire. Le misure previste dal documento sono sufficienti? Qual è a tendere il contributo che i pazienti possono dare alla sanità?
Ne abbiamo discusso nella Live “La sanità è partecipazione” con Teresa Petrangolini, direttrice Patient Advocacy Lab ALTEMS, Università Cattolica del Sacro Cuore, e Annalisa Scopinaro, Presidente Uniamo Federazione Italiana Malattie Rare.
Come sempre, la diretta ha preso le mosse dalle considerazioni delle ospiti sui risultati dei sondaggi condotti sul tema tra i lettori di PPHC.
Su quale aspetto è dunque più difficile per i malati far sentire la propria voce? Quasi la metà (48%) ha risposto accesso alle terapie. Seguono una maggiore necessità di coordinamento (36%) e la tutela giuridica (16%).
Alla seconda domanda, qual è la priorità per il miglioramento della condizione dei malati rari in Italia, per il 60% si tratta dell’aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, seguiti dal punto degli screening neonatali estesi e infine la telemedicina con il 14%.
“Dalla prima slide emerge come il tema centrale sia l’accesso alle cure: si vuole partecipare perché siamo in una situazione nella quale ci sono molti cittadini che hanno difficoltà ad accedere alle cure, che siano malati cronici, rari, malati oncologici ma anche semplici cittadini che hanno bisogno di fare una visita o un trattamento diagnostico – commenta Petrangolini -. Questo è lo scoglio più grande e non è casuale che sia una priorità così importante per le persone, perché se abbiamo un servizio sanitario nazionale, questo deve esserlo davvero, cioè deve essere accessibile in maniera equa a tutti coloro che ne hanno bisogno”.
“Sono assolutamente d’accordo sul fatto che l’aggiornamento Lea sia cruciale: se non abbiamo diritti da esigere, oppure se li abbiamo, ma, come è successo per i Lea 2017, non sono esigibili perché manca il decreto attuativo del nomenclatore tariffario, credo che sia un problema per tutti – sottolinea Scopinaro -. Anche l’accesso alle terapie è fondamentale, perché ci sono discrepanze territoriali sull’esigibilità di un diritto, qual è quello alla cura, riconosciuto dalla Costituzione. Non avrei definito gli screening neonatali estesi proprio una priorità: le esigenze che le persone con malattie rare hanno sono tantissime”.
Qualcosa si muove?
In Italia sembra che si stia muovendo qualcosa dal punto di vista del coinvolgimento dei pazienti nelle decisioni: è una vera rivoluzione? “È un primo tentativo di rivoluzione, dovuto moltissimo all’attivismo delle associazioni – spiega Petrangolini -. È vero che si sono mosse le istituzioni, ma tutto ciò non sarebbe stato possibile se non ci fosse stato un tessuto così ricco, che noi come Patient Advocacy Lab studiamo continuamente, un mondo associativo che ha imparato veramente ad interloquire in maniera forte con le istituzioni. Queste, soprattutto a seguito della grande tragedia del Covid, si sono accorte che dall’altra parte c’è una risorsa: i pazienti organizzati in vario modo sono una grande risorsa per il Servizio Sanitario Nazionale“.
Per poter dialogare con le istituzioni è importante la modalità di lavoro: Uniamo si tiene costantemente in contatto sia con la base associativa che con le altre realtà che operano in ambito sanitario
Questo a partire dalle associazioni dei malati rari. “In genere le malattie rare sono un paradigma di sanità, e lo sono state anche da questo punto di vista, perché la nostra federazione è stata coinvolta sin da subito in tutti i tavoli dove si parla di malattie rare a livello istituzionale – racconta Scopinaro -. Siamo all’interno di dei tavoli che stanno definendo da un lato il coordinamento dello screening neonatale esteso; siamo sempre stati all’interno della definizione del Piano Nazionale Malattie Rare e siamo dentro il Coordinamento dei Comitati etici a livello nazionale per quanto riguarda la parte di sperimentazione clinica e ricerca. Quindi dal nostro punto di vista quanto si sta attuando oggi a un livello più ampio, per le malattie rare già esisteva da tempo, ma ben venga una maggior partecipazione a livello strutturato, perché la collaborazione delle associazioni dei pazienti con le istituzioni è fondamentale.
Per raggiungere questo obiettivo è molto importante la modalità di lavoro: la federazione ha potuto essere rappresentante ai tavoli perché si è tenuta costantemente in contatto con la propria base associativa e con tutte le associazioni di malati rari anche non federate, per poter raccogliere le istanze e presentarle ai tavoli in maniera strutturata e trasversale”.
Le prospettive del coinvolgimento dei pazienti
Nell’atto di indirizzo del ministero sono elencati sette modi in cui le associazioni possono partecipare alle decisioni: si va dalla consultazione alle istanze “dal basso”, alla co-progettazione
I modi in cui i pazienti possono essere coinvolti nelle decisioni, afferma Petrangolini, sono numerosi. “Nell’atto di indirizzo del ministero, frutto del lavoro di un gruppo di cui ho fatto parte, ne abbiamo individuati sette. Il più semplice è la consultazione: l’amministrazione ha un piano su cui chiama le associazioni a esprimersi. Questa è la forma più elementare di partecipazione, ma nell’atto di indirizzo si precisa che ci deve essere una tempistica e ci devono essere dei feedback: la consultazione, cioè, deve essere una procedura seria. Molte volte, però, le associazioni hanno loro questioni da porre, che non sono quelle già previste dall’amministrazione. Per favorire questo tipo di dialogo abbiamo previsto delle modalità per poter introdurre nell’agenda della politica questioni che prima non c’erano e che in qualche modo si chiede che vengano messe in un ordine del giorno”.
Non è tutto: per esempio si può pensare di co-progettare certi servizi. “Credo che se l’amministrazione fosse più disponibile a dialogare con le associazioni, tante soluzioni verrebbero da lì – dice l’esperta -. Nel DM 77 finalmente c’è scritto che tutti i nuovi servizi sul territorio vanno co-progettati con la collettività, vale a dire con le associazioni, perché in questo modo si fa meglio, cioè si si risponde in modo migliore alle esigenze dei cittadini”.
Sul contributo che le associazioni possono dare al Servizio Sanitario c’è poi il tema delle evidenze: “Uniamo, ma anche l’Aism per la sclerosi multipla o le associazioni oncologiche producono una tale quantità di dati sulla condizione dei pazienti, informazioni preziosissime per il SSN, molto più adeguate e aggiornate di quelle che normalmente le istituzioni hanno – afferma Petrangolini -. Ancora, c’è la valutazione. Ad esempio, ho fatto il piano Nazionale sulla malattia diabetica: com’è andata? Qual è la valutazione che ne danno i cittadini diabetici? Nei centri diabetologici c’è un approccio multidisciplinare, oppure c’è o no lo psicologo? Queste sono informazioni che il mondo associativo può dare. Quando parliamo di partecipazione dobbiamo imparare a prevedere una cosa un pochino più articolata e complessa, parte del sistema; altrimenti rimane qualcosa di “appiccicato” che alla fine non serve a niente e soprattutto non migliora la condizione dei pazienti”.
Tanti obiettivi e un modo per raggiungerli: la rete
Uniamo rappresenta un numero sempre crescente di associazioni e tutte le patologie rare e ultrarare
Uniamo rappresenta oltre 170 associazioni e tutte le oltre 8mila patologie rare conosciute. Abbiamo domandato alla presidente quali sono attualmente gli obiettivi prioritari della Federazione. “Le nostre priorità derivano dall’analisi che è stata fatta a livello europeo sul progetto Rare 2030 che ha interrogato la comunità di persone con malattie rare proprio per stabilire quali debbano essere gli obiettivi generali che noi abbiamo declinato in sotto obiettivi nazionali: sicuramente la diagnosi precoce, una presa in carico che comprenda una rete costruita intorno al paziente, sia a livello locale che regionale che nazionale che, quando occorre, internazionale, un accesso alle terapie che garantisca la possibilità di curarsi al proprio domicilio quando possibile, un incentivo alla ricerca per far sì che dalle circa 300 patologie rare per le quali si conosce una cura si possa passare nel corso degli anni a molte più patologie che abbiano a disposizione strumenti di miglioramento di qualità di vita, se non di guarigione”.
Inoltre, ha spiegato Scopinaro, trattandosi di una Federazione, c’è tutta una serie di obiettivi di sostegno alla crescita delle associazioni federate, che vanno dai commercialisti ai servizi legali e, in questo periodo di transizione sul Registro Nazionale del Terzo Settore (Runts), i notai. “Infine c’è la rete che cerchiamo di costruire non solo fra i malati rari ma anche con tutte le altre associazioni di pazienti cronici, oncologici e di coloro che si occupano in generale di salute, perché solo insieme potremo cercare di far sì che il sistema vada nella direzione che tutti auspichiamo e la salute possa essere davvero a servizio del cittadino e non viceversa”.
Il PNRR al servizio dei pazienti
Il PNRR è l’occasione d’oro per portare la sanità accanto al cittadino
Il PNRR potrebbe essere la svolta anche nel campo delle malattie rare? “Se applicato bene, è comunque una svolta – sostiene Petrangolini -. Permette di ammodernare tutto l’apparato tecnologico e soprattutto di portare sul territorio dei servizi che attualmente sono solo in ospedale: l’idea è di avere questa rete di possibilità per l’assistenza e le terapie domiciliari, la telemedicina, l’infermiere di comunità, poter avere cioè tutto questo supporto, quella che si chiama assistenza di prossimità e che è un sogno in Italia perché ne parliamo da un numero infinito di anni. Però questa volta i fondi ci sono. Si dice che manca il personale, ma ci auguriamo che vengano trovate risposte anche da questo punto di vista, perché siamo davanti all’occasione d’oro per portare la sanità accanto al cittadino, e chi più di un malato raro o cronico con la sua famiglia ha bisogno di queste cose? È una grande scommessa e se la perdiamo, secondo me, siamo pazzi”.
“Il PNRR ha considerato con un occhio di riguardo le malattie rare almeno per quello che riguarda la ricerca stanziando 50 milioni per progetti specifici – conclude Scopinaro -. Di fatto si va incontro a una semirivoluzione dell’approccio sanitario, che passa da uno ospedalocentrico a un qualcosa che dovrebbe ritornare più simile alle vecchie ASL, che avevano al proprio interno dai consultori a tutte le varie tipologie di specialisti. Ritorniamo un po’ a quel modello, che pur essendo vecchio era quello che garantiva assistenza territoriale più puntuale e precisa senza l’ultraspecializzazione degli ospedali. Per quanto riguarda le malattie rare, questa sfida è sicuramente positiva. Dobbiamo tener conto anche delle altre sfide poste dalle terapie avanzate innovative, che hanno bisogno di centri ultraspecialistici per i quali serve pensare a una ristrutturazione degli ospedali che consenta la sicurezza necessaria al paziente. Due sono quindi gli aspetti fondamentali: da un lato il ritorno vicino al paziente, dall’altro la necessità di assicurargli, laddove possibile, l’ultra specializzazione, perché ciascun malato deve poter accedere a ciò di cui ha bisogno“.