L’automonitoraggio del diabete permette una maggiore aderenza e fa risparmiare. È quanto emerso da uno studio condotto da alcuni ricercatori dell’azienda sanitaria Barletta-Andria-Trani in collaborazione con Altems e alla società benefit CliCon sull’impatto economico dei diversi sistemi di monitoraggio del glucosio.
“Si tratta di un’analisi di real word che ha coinvolto l’Asl BT e che ha incrociato vari flussi amministrativi: quello della farmaceutica, le schede di dimissione ospedaliera e la specialistica ambulatoriale”, spiega Cataldo Procacci, Dirigente Farmacista presso Azienda Sanitaria Locale BT.

Il gruppo di lavoro ha comparato i tradizionali sistemi di monitoraggio del glucosio attraverso il sangue capillare con quelli di monitoraggio del glucosio interstiziale, dispositivi che forniscono il risultato in base a un intervallo di tempo prestabilito (flash o FGM) oppure on demand, su richiesta dell’utilizzatore (CGM). L’analisi pugliese ha utilizzato i device del primo tipo, che all’epoca della raccolta dati erano gli unici disponibili in Italia.
“Il nostro quesito di ricerca è partito dalla considerazione che l’innovazione tecnologica è un investimento – afferma Procacci – La domanda è quindi stata se questo investimento ha un ritorno dal punto di vista economico e di salute”.
La riduzione delle ospedalizzazioni
La risposta è stata affermativa. Sebbene infatti le strisce per il monitoraggio del sangue capillare siano più economiche, il lavoro ha evidenziato come il 70% dei pazienti che utilizzano questa formula non sia aderente. “Questo dato ci dice che ci deve essere un’educazione al paziente e forse anche una moral suasion dell’utilizzo delle risorse sanitarie da parte dei medici di medicina generale”, commenta Procacci.
Il secondo elemento di interesse è di natura economica: sebbene i dispositivi per il monitoraggio flash siano più costosi e vadano sostituiti ogni 15 giorni, infatti, è stata evidenziata una riduzione della spesa legata ai ricoveri. Dall’analisi è emerso che il costo medio annuo per paziente che utilizzava le strisce era di 3.614 euro e quello per gli utilizzatori di dispositivi avanzati era di 4.064 euro; per contro, la media del costo delle ospedalizzazioni per i pazienti con monitoraggio tradizionale è stata di 934 euro, contro i 268 delle persone con monitoraggio flash.
“E non si tratta solo di una riduzione di costo da trattamento evitato, ma anche un guadagno di salute del paziente”, commenta l’autore dello studio.
Il monitoraggio flash si è dimostrato costo-efficace: l’aumento del costo del dispositivo è supportato da un incremento di qualità di vita
Per l’analisi costo-efficacia del trattamento è stato usato l’indicatore della qualità della vita misurata come ”utilità” (QALYs). “Per farlo, abbiamo mutuato gli elementi necessari dal rapporto Hta di Agenas – commenta Procacci – Dopodiché, siamo andati a vedere se l’aumento dei costi era supportato anche da un incremento di qualità di vita. Abbiamo dimostrato che il monitoraggio di glucosio interstiziale è un trattamento costo-efficace: l’aumento di costo annuo dovuto alla tecnologia viene compensato sia da una riduzione dei costi sanitari dovuti ai ricoveri sia da un aumento della qualità della vita delle persone”.
Non è stato valutato alcun costo per la formazione dei pazienti, poiché questa è svolta dal diabetologo e supportata dall’infermiere durante la prima visita specialistica, quando viene anche consegnato il dispositivo. Facendo parte della visita ambulatoriale, dunque, non è considerato un costo aggiuntivo.
Come funziona il monitoraggio
In Italia secondo l’Istat ci sarebbero oltre 3,5 milioni di persone affette dal diabete e, secondo gli esperti, la patologia sarà una delle sfide sanitarie del futuro.
Per la forma di malattia che non risponde agli interventi dietetici e ai farmaci ipoglicemizzanti orali, è indicata la terapia insulinica con iniezioni multiple giornaliere. In questo contesto, il monitoraggio della glicemia è essenziale per prevenire l’ipoglicemia o le complicanze acute e croniche.
Per l’Istat in Italia ci sarebbero oltre 3,5 milioni di persone con diabete, che per gli esperti sarà una delle sfide sanitarie del futuro
Da alcuni anni i diabetici hanno acquisito la possibilità di gestire la malattia a casa, grazie alla disponibilità di dispositivi minimamente invasivi per l’automonitoraggio della glicemia. Le strisce reattive monouso misurano il glucosio da una goccia di sangue prelevata tramite puntura del dito con un glucometro (o pungidito).
Le linee guida italiane raccomandano per il diabete di tipo 1 in terapia basal-bolus un minimo di 3 o 4 misurazioni giornaliere, corrispondenti rispettivamente a 1.095 e 1.460 strisce all’anno, mentre per il diabete di tipo 2 in terapia insulinica le misurazioni giornaliere raccomandate sono comprese tra 1 e 4 (rispettivamente 365 e 1.460 all’anno).
La recente introduzione dei sistemi di flash glucose monitoring (FGM) ha consentito la misurazione automatica in continuo dei livelli di glucosio nel liquido interstiziale attraverso sensori applicati sul dorso del braccio interfacciabili con smartphone.
L’applicazione a altre patologie
I risultati dello studio sono particolarmente interessanti alla luce della loro potenziale applicabilità anche per l’automonitoraggio di altre patologie croniche, la cui gestione sarà sempre più decentralizzata sul territorio. “Credo che siano due le direttrici sulle quali si muoverà la sanità del futuro – afferma Procacci – Da una parte sarà sempre più importante l’home delivery di un farmaco o di un dispositivo, per migliorare la prossimità delle cure. Dall’altra, per quanto riguarda il cronico compensato, diventerà fondamentale la possibilità di svolgere l’automonitoraggio e di inviare i dati al clinico in tempo reale. In questo modo, il professionista può verificare da remoto qual è lo stato del paziente”.
Nella sanità del futuro sarà sempre più importante l’home delivery del farmaco o del dispositivo e la possibilità di svolgere automonitoraggio per il paziente cronico compensato
Uno dei limiti del lavoro è aver preso in considerazione soltanto un’Asl: “Si tratta di uno studio pilota e la scelta è dovuta a esigenze di analisi dei vari flussi di dati – spiega Procacci – Infatti, sebbene oggi si parli molto di superamento dell’ottica a silos, dal punto di vista ragionieristico è più semplice comparare le singole voci. Tuttavia, mettere a confronto in modo trasversale i diversi flussi è l’unico modo per valutare la sostenibilità del sistema”.
La volontà è che il lavoro ispiri altre realtà a effettuare studi simili, per poter migliorare la programmazione sanitaria. “Ad oggi, per esempio, nella nostra Asl i dispositivi FGM rappresentano uno dei capitoli di spesa più elevato sul territorio – rileva Procacci – Il nostro direttore amministrativo, per esempio, ha voluto studiare i dati emersi dal nostro lavoro per valutare gli investimenti futuri e compiere scelte di governance sanitaria strategiche”. La sfida, infatti, è capire se i trattamenti per l’automonitoraggio siano costi evitabili o investimenti per la popolazione.
“La mia speranza è che anche i dashboard di monitoraggio futuri a disposizione delle Regioni vadano a misurare non solo i costi effettivi, ma anche quelli evitati e il miglioramento dello stato di salute delle persone. Oggi con il DM77 e le risorse per il PNRR abbiamo tutte le carte in regola per costruire un telemonitoraggio valido per patologie come il diabete, l’ipercolesterolemia o le patologie reumatiche. In questo modo, inoltre, abbiamo visto che aumenta anche la compliance dei trattamenti”.