L’eco-ansia cresce tra i giovani: il futuro del pianeta fa paura

«Per affrontare l’eco-ansia in modo costruttivo serve promuovere la consapevolezza emotiva e il dialogo tra generazioni» commenta Vittoria Ardino, docente di Psicologia delle emergenze e del trauma

Sempre più spesso i media mostrano immagini di disastri climatici: inondazioni, laghi che si prosciugano, ghiacciai che si sciolgono, mentre i leader mondiali sembrano reagire in modo lento e incerto. Non sorprende che i giovani si sentano sempre più angosciati per il futuro. Una crescente preoccupazione che si riflette perfino nelle ricerche su Internet: secondo l’agenzia di stampa Grist, nel 2021 le ricerche su Google per “ansia climatica” sono aumentate del 565%.

L’American Psychological Association  descrive l’eco-ansia come “una paura cronica di una catastrofe ambientale”, che può esprimersi con un lieve stress fino a veri e propri disturbi clinici. Del resto anche l’OMS evidenzia come il cambiamento del clima stia diventando una minaccia sempre più concreta per la salute mentale e il benessere sociale.

Un sondaggio pubblicato su Lancet Planetary Health nel 2021, che ha coinvolto oltre 10.000 giovani tra i 16 e i 25 anni, ha rivelato che il 60% degli intervistati è molto preoccupato per il clima e quasi la metà afferma che questa ansia influenza la loro vita quotidiana.

Molti giovani si sentono impotenti e delusi dalle generazioni più anziane che non stanno facendo abbastanza per affrontare la crisi. Si sentono intrappolati in una specie di “ingiustizia intergenerazionale”.

Ne parlano a TrendSanità Vittoria Ardino, Professore di Psicologia delle emergenze e del trauma presso l’Università di Urbino “Carlo Bo”, Simona Frassone, Presidente di ScuolaAttiva onlus, e Luca Cavalieri, attivista di Extinction Rebellion.

Eco-ansia, cambiamenti climatici e salute mentale

Vittoria Ardino
Vittoria Ardino

«Negli ultimi anni, il cambiamento climatico ha avuto un impatto sempre più evidente sulle nostre vite, portando a una maggiore consapevolezza –, spiega Ardino. Per questo di parla sempre più spesso di eco-ansia, un fenomeno legato all’anticipazione di un futuro incerto dovuto alla crisi del clima.

Non è solo una semplice preoccupazione a lungo termine, ma una risposta emotiva complessa e articolata a un futuro che appare minaccioso, soprattutto a causa di eventi climatici estremi sempre più frequenti.

Non si tratta solo di paura dell’avvenire: è un’ansia spesso associata a una percezione di impotenza e mancanza di speranza, che può influire sulla salute mentale in diversi modi.

Vivere in uno stato di allerta costante, nel tentativo di controllare un futuro incerto, impedisce di concentrarsi sul presente, limita l’energia psichica per affrontare la vita quotidiana e ostacola la capacità di regolare le emozioni. In questo modo è più difficile mantenere la calma e la sensazione di sicurezza.

Inoltre, l’eco-ansia può aggravarsi quando interagisce con altri fattori di stress, come i conflitti globali, che peggiorano il senso di incertezza e di paura, soprattutto nelle persone più vulnerabili».

Media e social network

«Per i giovani, l’eco-ansia è una sfida notevole, – continua Ardino – che influenza la loro visione del domani e le decisioni importanti, come avere figli. Già colpiti dalla pandemia di COVID-19, che ha minato la loro capacità di progettare il futuro, molti giovani si sentono ora ancora più incerti.

Un senso di impotenza e preoccupazione che ha alimentato il movimento giovanile per il clima, con figure come Greta Thunberg che rappresentano un modo per trasformare la frustrazione in azione, per incanalare la rabbia nei confronti delle generazioni precedenti, responsabili di lasciare in eredità un pianeta in crisi.

I media e i social network giocano un ruolo sempre crescente nella diffusione della consapevolezza sul cambiamento climatico e sull’eco-ansia

È fondamentale trovare un equilibrio: se da un lato è necessario sensibilizzare e informare la popolazione sui problemi legati al cambiamento climatico, dall’altro bisogna evitare un eccesso di allarmismo che può alimentare l’ansia.

Un’informazione chiara, accurata e basata sui dati è essenziale. Spesso si comunica la crisi climatica come un fenomeno distante o come qualcosa che non ci riguarda direttamente e che può favorire un atteggiamento di evitamento. I media hanno la responsabilità di spiegare in modo chiaro e accurato la realtà, senza sminuire né esagerare».

Eco-ansia nei bambini italiani: il 95% teme per il futuro del pianeta

Preoccupazione, tristezza, rabbia: sono solo alcune delle emozioni descritte dai bambini sul futuro del pianeta.

Un recente studio italiano ha rivelato che il 95% dei bambini è preoccupato per l’ambiente e il 40% ha fatto brutti sogni legati al cambiamento climatico, al punto da avere difficoltà a dormire o a mangiare. Questo studio, condotto nell’ambito del progetto “A Scuola di Acqua” di Scuolattiva Onlus e supervisionato dall’Università di Pavia, ha coinvolto circa 1.000 bambini tra i 5 e gli 11 anni.

Simona Frassone

«La ricerca, – ci dice Frassone –  ha mostrato che i bambini sono consapevoli dei problemi ambientali e del cambiamento climatico: quasi il 97% crede di poter fare la differenza attraverso piccoli gesti quotidiani, dimostrando una volontà di contribuire attivamente alla tutela del pianeta.

Abbiamo anche confrontato le risposte dei bambini con quelle delle loro insegnanti, più scettici sulla possibilità di portare avanti un vero cambiamento. È un divario che deve far riflettere sull’importanza dell’educazione ambientale e sul modo in cui parliamo ai bambini di questi temi, sul linguaggio che usiamo. I bambini, anche quelli non esposti a calamità, percepiscono il cambiamento climatico attraverso ciò che vedono e ascoltano dagli adulti e dai media.

Non è tutto perduto, anzi i bambini ci hanno indicato la via per il cambiamento

È quindi fondamentale il modo in cui comunichiamo e comunicheremo l’emergenza climatica. Termini come “bomba d’acqua” sono negativi e allarmisti. Serve il giusto equilibrio tra allerta e speranza, affinché le nuove generazioni non crescano solo con la paura, ma con la consapevolezza che il cambiamento è possibile, anche grazie al contributo del singolo.

La scuola può svolgere un ruolo decisivo, a patto che non si trasmetta sfiducia ai bambini. È vero che lasciamo in eredità un mondo in difficoltà, ma è doveroso mostrare la strada per migliorare la situazione».

Azione collettiva: può alleviare l’eco-ansia?

Il cambiamento climatico sta influenzando sempre più la vita dei giovani, anche se la percezione del problema è diversa, varia in base a come è elaborato e alla centralità che assume nei valori e riferimenti culturali dei ragazzi.

È quanto ci dice Cavalieri, attivista di Extinction Rebellion: «Alcuni giovani sono molto sensibili alla questione, mentre altri lo sono meno. Una variabile importante è l’ottimismo: chi è più ottimista, tende a distogliere l’attenzione dalle informazioni negative, mentre i pessimisti ne sono maggiormente influenzati. Ma, indipendentemente dalle differenze individuali, il cambiamento climatico incide ormai profondamente sul benessere psicologico dei giovani.

Oggi affrontiamo sfide senza precedenti e la crisi climatica è una di queste. La percezione del problema dipende sicuramente dalla sensibilità personale e dal livello di consapevolezza: per alcuni, un’estate calda può sembrare solo un disagio temporaneo, mentre per altri può rappresentare una minaccia esistenziale.

Coinvolgere giovani e adulti in attività collettive può aiutare a canalizzare la paura in energia positiva e in un impegno concreto

Nella nostra esperienza, la consapevolezza sta crescendo, ma c’è ancora molta polarizzazione. Molti si sentono impotenti e spesso l’attivismo dell’età universitaria si affievolisce con l’ingresso nel “mondo degli adulti”, dove le preoccupazioni ambientali sono messe da parte per fare spazio alle sfide quotidiane, come il lavoro e la stabilità economica. Si crea così una sorta di conflitto tra l’urgenza di agire e le esigenze della vita».

«Per affrontare l’eco-ansia in modo costruttivo, – interviene Ardino – serve anche promuovere la consapevolezza emotiva e il dialogo tra generazioni. L’attivismo è una strada, ma è altrettanto importante sviluppare strategie che trasformino le emozioni in azioni reali, mantenendo un equilibrio tra consapevolezza e speranza».

Niente figli e locus of control

«Molti giovani stanno iniziando a mettere in dubbio un istinto così primitivo come quello della riproduzione a causa del cambiamento climatico, anche se non ci sono dati certi a riguardo – prosegue Cavalieri.

Ma non è l’unico fattore: le crisi economiche e i conflitti in corso generano un panorama psicologicamente complesso. La sicurezza economica di oggi non è paragonabile a quella delle generazioni precedenti e ciò influisce sulla visione del futuro.

Trasformare l’eco-ansia in uno strumento di attivismo può essere una soluzione. Molti giovani si avvicinano ai movimenti climatici perché vogliono trasformare il loro disagio in azioni concrete. Movimenti come Extinction Rebellion, accolgono queste preoccupazioni, cercando di trasformarle in energia positiva. L’idea è non fermarsi alla preoccupazione, ma agire.

L’attivismo climatico non è solo per i giovani. Coinvolgere persone di tutte le età è fondamentale per creare un movimento inclusivo e veramente efficace

Il concetto di locus of control è fondamentale: quando ci sentiamo impotenti, è difficile immaginare di fare qualcosa. Ma unirsi ad altre persone che condividono le stesse preoccupazioni, può dare un maggiore senso di controllo e capacità d’azione. Attivarsi e unirsi agli altri è un modo per sentirsi più forti.

Anche cambiare le abitudini quotidiane può aiutare a ridurre l’eco-ansia, ma è bene non illudersi che piccoli gesti siano sufficienti ad affrontare una crisi globale. Le decisioni più importanti sono prese a livelli molto più alti e per un vero cambiamento è necessaria una mobilitazione collettiva. Anche se cambiare le proprie abitudini, può essere un modo per concretizzare i propri valori, viverli nella quotidianità, cosa che può farci sentire più integri.

Come movimento, evitiamo di impostare il tema ambientalista sui consumi individuali, poiché ogni abitudine ha una propria storia che non ci permettiamo di giudicare; diversamente, si innescherebbe un effetto polarizzante che potrebbe facilmente distogliere dal vero problema: l’irresponsabilità dei sistemi economici e politici di fronte all’emergenza climatica ed ecologica».

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute