Cambiamenti climatici: quanto influiscono sulla salute mentale?

La crisi climatica è una minaccia sempre più concreta per la salute fisica, ma l'OMS chiede maggiore attenzione anche per la salute mentale. Ne parliamo con Eline Vanuytrecht (European Environment Agency) e Roberto De Vogli (Salute globale e psicologia del potere, Università di Padova)

I cambiamenti climatici hanno forti ripercussioni sulla salute mentale che vanno dallo stress, alla depressione, all’ansia, fino al suicidio. È quanto afferma l’OMS nel suo rapporto in cui evidenzia come il cambiamento del clima stia diventando una minaccia sempre più concreta per la salute mentale e il benessere sociale.

Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute mentale restano, infatti, in gran parte inesplorati rispetto agli impatti sulla salute fisica. È un dato che viene considerato particolarmente preoccupante alla luce della crescente esposizione delle popolazioni a ondate di caldo, inondazioni o incendi, poiché i traumi psicologici legati a qualsiasi forma di disastro climatico possono essere 40 volte superiori a quelli relativi alle lesioni fisiche.

Abbiamo parlato di salute mentale e cambiamenti climatici con Eline Vanuytrecht, Expert Climate Change and Human Health dell’European Enviroment Agency e con Roberto De Vogli, Professore Associato in Salute globale e psicologia del potere (Global Health & Psychology of Power) dell’Università di Padova.

Come i cambiamenti climatici impattano sulla salute mentale

Sono diverse, secondo Eline Vanuytrecht, le strade attraverso cui i cambiamenti climatici influenzano la salute mentale:

  • gli eventi meteorologici estremi (ad esempio ondate di calore, inondazioni, siccità prolungate o incendi) possono causare il Disturbo Post-Traumatico da Stress, ansia e depressione. Si stima che il numero totale di persone in Europa che hanno riportato disturbi mentali a seguito di inondazioni tra il 1998 e il 2018 sia compreso tra 1,72 e 10,6 milioni;
  • le temperature estremamente elevate possono influenzare l’umore, peggiorano i disturbi comportamentali, compresi i comportamenti aggressivi e la criminalità, aumentano il rischio di suicidio e hanno un impatto soprattutto nelle persone con problemi di salute mentale. In particolare, in Italia, uno studio pubblicato su Epidemiology ha rilevato che chi soffre di depressione e altri disturbi mentali corre un rischio più alto di perdere la vita nelle giornate con temperature intorno ai 30°C rispetto ai 20°C. Un’altra ricerca pubblicata su BMJ ha identificato, invece, alcuni fattori che possono aumentare la mortalità durante le ondate di caldo a Roma, in cui il rischio di decesso sarebbe superiore nella fascia di età 65-74 con disturbi psichiatrici o malattie polmonari. Anche un altro studio pubblicato su The British Journal of Psychiatry si è concentrato sulle significative conseguenze per la salute delle ondate di caldo che aumenteranno in intensità e gravità nel corso del prossimo secolo. È stato dimostrato che il clima caldo in generale, e le ondate in particolare, possono aumentare la mortalità a breve termine. I fattori di rischio includono l’età avanzata, vivere presso istituti di cura o nelle città o soffrire di malattie cardiovascolari o respiratorie. Sembrerebbero essere più a rischio anche le persone con demenza, psicosi o che abusano di sostanze o assumono psicofarmaci durante i periodi più caldi, ma servono altre conferme;
  • il disagio associato ai cambiamenti climatici in corso o previsti può causare ansia da clima, paura del cambiamento nella disponibilità dei mezzi di sussistenza, della coesione sociale di intere comunità o della perdita di capitale.

Tra i gruppi più vulnerabili allo stress mentale legato ai cambiamenti climatici, ci sono i bambini e i giovani, gli anziani, le comunità socialmente più deboli, i gruppi professionali specifici (ad esempio gli agricoltori) e le persone con disturbi di salute mentale preesistenti.

 “Il tema della salute mentale in rapporto ai cambiamenti del clima è sempre più popolare – aggiunge De Vogli – nonostante sia da 50 anni che si studiano gli effetti della crisi ecologica. I movimenti ambientalisti c’erano già negli anni Settanta, pensiamo a Rachel Carson e il suo libro Silent Spring. È una battaglia che parte da lontano, perché alcune previsioni sugli effetti drammatici del cambiamento climatico partono proprio da quegli anni, dove già si prevedeva che le società fondate sui principi economici vigenti avrebbero dovuto affrontare un eventuale collasso.

Questo tema è stato tuttavia in gran parte ignorato, grazie anche ad attività di negazionismo climatico finanziate dall’industria del carbone, del petrolio e del gas che hanno spinto a considerare il cambiamento climatico prima una bufala, nonostante l’ampia evidenza scientifica, e poi a insinuare il dubbio che la causa non è l’attività umana ma qualche fenomeno naturale.

Adesso, considerata la mole di evidenze scientifiche, si comincia a parlare di danni a livello non solo fisico ma anche mentale ed emotivo. Perché il cambiamento climatico genera eventi estremi sempre più frequenti che non causano soltanto morti, ma anche stress post traumatico in chi ha vissuto quegli eventi o ha visto i suoi parenti e amici colpiti dagli stessi”.

Sindromi psichiche emergenti legate al cambiamento climatico

Prosegue Vanuytrecht: “Gli eventi meteorologici estremi stanno causando la sindrome da stress post-traumatico. L’ansia da eco-clima è descritta dall’American Psychology Association come la paura cronica di un cataclisma ambientale che deriva dall’osservazione dell’impatto apparentemente irrevocabile del cambiamento climatico. L’eco-paralisi è definita come la sensazione di non essere in grado di intraprendere azioni efficaci per mitigare gli effetti del cambiamento climatico”.

La letteratura scientifica, infatti, ora si sta occupando – aggiunge De Vogli – di ciò che è chiamato eco-anxiety, cioè ansia climatica, un concetto nuovo. C’è la paura dell’evento estremo che può colpire tutti noi ma c’è anche ansia per il futuro, anzi una grande preoccupazione. Gli scienziati parlano di punti di non ritorno, cioè di quei meccanismi che, una volta superati, non sono più modificabili, che creeranno uno scenario dove il cambiamento climatico diventa irreversibile. Vuol dire il moltiplicarsi di eventi estremi a cascata. Negli ultimi anni la letteratura scientifica ha, inoltre, iniziato perfino a parlare di rischio esistenziale o di collasso della civiltà moderna, poiché il cambiamento climatico può colpire in modo grave le risorse su cui si basa l’intera umanità: l’acqua e il cibo. Ciò che è a rischio è la nostra stessa sopravvivenza, anche perché nel momento in cui scarseggiano acqua e cibo, aumenta esponenzialmente il rischio di guerre e conflitti sociali”.

Gli effetti sulle nuove generazioni

“I bambini, i giovani e i giovani adulti sono particolarmente vulnerabili al disagio e ai problemi di salute mentale legati ai cambiamenti ambientali – sottolinea l’esperta dell’Expert Climate Change and Human Health. – Il cambiamento climatico emerge come una delle maggiori cause di preoccupazione per i bambini e i ragazzi (UNICEF ed Eurochild, 2019). In un’indagine globale, che ha coinvolto anche diversi Paesi europei, le sensazioni sui cambiamenti climatici influenzano negativamente la vita quotidiana e il funzionamento di quasi la metà dei bambini e dei giovani, e il 75% degli intervistati giudica il proprio futuro spaventoso”.

Il cambiamento climatico emerge come una delle maggiori cause di preoccupazione per i bambini e i ragazzi

“Infatti – conferma il Prof. De Vogli – il rischio esistenziale di cui parliamo è particolarmente percepito dai giovani che hanno deciso di creare movimenti di protesta come Extinction Rebellion, Fridays for Future o Ultima Generazione, finiti spesso al centro di polemiche e attenzione mediatica a causa di alcune azioni che hanno creato disagio e shock nell’opinione pubblica. Nonostante alcune forme di protesta controproducenti, è importante capire che questi movimenti tentano di portare all’attenzione dell’opinione pubblica la gravità della situazione, cercano di fare qualcosa per fermare la catastrofe ecologica.

Lo slogan ‘Cambiamento del sistema, non del clima’ sottolinea chiaramente che ciò che davvero serve è un cambiamento strutturale della società che coinvolge l’economia, i trasporti, l’agricoltura, i consumi, gli stili di vita, ecc. Ma siamo molto lontani.

I ricercatori che studiano l’ansia per il futuro giovanile parlano anche di preoccupazione riproduttiva o eco-riproduttiva. Si è visto cioè che i giovani sono profondamente preoccupati, se non terrorizzati, e si rifiutano di fare figli perché non vogliono esporli a possibili situazioni estreme. Non manca poi un senso di ingiustizia, di rabbia e frustrazione verso le generazioni precedenti, da cui ereditano questa situazione, il dolore per questa perdita. A queste reazioni si aggiunge la ‘rabbia ecologica’ verso gli adulti che hanno scaricato questo problema sulle loro spalle.

Il mondo adulto dovrebbe essere in prima linea, genitori, insegnanti, per frenare questo rischio esistenziale e invece stanno agendo poco o niente. I movimenti giovanili hanno quindi il merito di aver inserito nell’agenda politica e in quella mediatica non il rispetto o la salvaguardia della natura, ma il rischio di estinzione della specie, quello che i ricercatori chiamano collasso della civiltà moderna”.

L’attivismo come strumento per contrastare il disagio

“Nelle persone vulnerabili, esposte a queste notizie catastrofiche, il disagio si manifesta con più forza – evidenzia De Vogli – Senza parlare di chi ha assistito direttamente alla tragedia, alla casa spazzata via, alla morte dei propri cari. E sono notizie catastrofiche non perché gli scienziati sono catastrofisti, tutt’altro. Secondo ricerche recenti, in realtà chi studia il clima è troppo poco allarmista rispetto all’evidenza scientifica sul clima.

Nel complesso la comunicazione mediatica ha ‘l’ordine’ di non trasmettere un senso di impotenza individuale, mentre invece è dimostrato che l’attivismo permette di superare questo impasse psicologico, perché l’azione contrasta la depressione. Se mi sto battendo per una causa, sono attivo quindi riesco a superare il disagio.

L’attivismo permette di superare questo impasse psicologico, perché l’azione contrasta la depressione

Quello che personalmente non ho visto trattare dalla letteratura sono, invece, le cause psicologiche della crisi climatica, le psicopatologie non come effetto ma come causa. Cioè, se la psicologia distingue la patologia mentale dalla normalità, in realtà quello che vedo nella normalità, nella vita quotidiana della società moderna, è una psicopatologia profonda che non è riconosciuta. Quando gli scienziati ci spiegano che siamo un treno in corsa con l’acceleratore premuto verso il collasso e continuiamo a vivere la vita di ogni giorno come se niente fosse, nonostante la consapevolezza di ciò che succede, si crea una crepa, una scissione dell’io. Vivo come sempre, sapendo che la tragedia è a un passo da me.

Paradossalmente i primi vicini alla psicosi sono gli economisti che credono ancora in alcuni miti, paragonabili a quelli religiosi, come quello della crescita infinita, con una negazione totale della realtà. Quindi, da una parte ci troviamo di fronte a persone vulnerabili o colpite da eventi climatici che hanno sviluppato alcune patologie. Dall’altra le persone cosiddette normali e di potere che si comportano come dei folli. Anche nel mondo universitario dove si studia il clima, poco si studia la psicopatologia di chi ha creato questa situazione. Si fanno riunioni, si cercano risorse per i giovani, come se tutto fosse normale, ma ci saranno questi giovani? Probabilmente è nel nostro modello umano di sviluppo che c’è della psicopatologia”.

La salute mentale degli scienziati

Conclude così De Vogli: “Proprio di questo volevo parlare: la depressione tra gli scienziati del clima, che sono poi tacciati di catastrofismo, quindi esposti su due fronti.

Prima studiano tutta la letteratura drammatica sul clima, raccolgono i dati, vedono che il Permafrost si sta sciogliendo come se non ci fosse un domani, vedono che l’Artico e l’Antartico si stanno distruggendo, vedono che la Co2 continua a essere emessa nell’ambiente e fanno delle previsioni che sono abbastanza catastrofiche. Pubblicano su questo, sono sottoposti agli attacchi mediatici e di chi nega il cambiamento climatico, che pensa sia una bufala, e poi si devono incorporare il fatto che loro la verità la sanno, ma la devono edulcorare per non creare pessimismo. Devono indorare la pillola, perché secondo gli strateghi della comunicazione non si può sopraffare il pubblico con il carico della drammaticità.

C’è qualcuno, invece, che stufo di ‘abbellire’ la realtà dice apertamente che il punto di non ritorno è stato quasi certamente superato e che si sta entrando in un territorio incerto, sconosciuto, dove dobbiamo sperare che gli effetti del clima non siano quelli previsti dagli scienziati. Purtroppo ci si scontra con la mentalità che le società devono crescere economicamente all’infinito e con la visione del profitto come valore fondamentale”.

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute