Il 13 maggio del 1978 fu promulgata, ed entrò in vigore il 15 giugno dello stesso anno. Parliamo della legge 180, o legge Basaglia, dal nome del suo principale promotore.
Franco Basaglia, psichiatra e direttore del manicomio di Gorizia, trovava profondamente ingiusto il trattamento dei soggetti affetti da malattie mentali, che venivano segregati negli ospedali psichiatrici, isolati dalla società e, purtroppo, spesso anche non trattati in modo idoneo, con condizioni di vita insostenibili e privati dei loro diritti fondamentali.
Con la legge Basaglia, infatti, vengono chiusi i manicomi e si mettono nero su bianco dei principi nobili, basati sul restituire dignità al malato psichiatrico, reintroducendolo nel suo contesto familiare e sociale. Al posto degli ospedali psichiatrici sarebbe dovuta sorgere una fitta rete di servizi territoriali di igiene mentale, assistenza sociale e domiciliare coordinata da norme e regole efficienti. La legge Basaglia è stata un grande passo per l’Italia, che è stato il primo Paese a chiudere i frenocomi.
La legge Basaglia è stata un grande passo per l’Italia, che è stato il primo Paese a chiudere i manicomi
Ma, evidentemente, qualcosa è andato storto: la de-istituzionalizzazione richiedeva un aumento di risorse per la salute mentale a livello comunitario, ma queste, ad oggi, non si rivelano sufficienti. Quindi, se da un lato i manicomi sono stati effettivamente chiusi, dall’altro i soggetti con problemi mentali continuano ad essere emarginati e la loro delicata situazione non è gestita in modo ottimale.
Non è un caso che esistano associazioni come ARAP-OdV (Associazione per la Riforma dell’Assistenza Psichiatrica), formata da familiari di persone con problemi psichiatrici e che, dal 1981, chiede aiuto alle istituzioni governative perché la cura dei loro cari più fragili non gravi così tanto sulle famiglie, ma che al contrario venga gestita a livello istituzionale con maggiore sensibilità nei confronti dei pazienti stessi, integrando la somministrazione di farmaci con un reale approccio psicoterapeutico e un miglioramento concreto della vita di queste persone. Una lotta allo stigma, al pregiudizio, a ciò che ancora non permette alla legge Basaglia di essere applicata completamente.
Per comprendere le lacune che è necessario colmare nella tutela dei pazienti psichiatrici, abbiamo intervistato Maria Antonietta Buonagurio, Presidentessa dell’ARAP-OdV, che ci ha spiegato quali sono le afflizioni di pazienti e familiari, nonché le loro richieste e necessità.
Legge Basaglia: cosa è andato storto nell’applicazione di questa legge?
«Dalla promulgazione della legge 180, la cosiddetta legge Basaglia, sono passati ben 45 anni. Tuttavia, se si analizzano tutti i principi sanciti dalla legge, possiamo davvero dire, senza paura di smentita, che non ha avuto affatto piena attuazione.
A distanza di 45 anni, purtroppo, i pazienti psichiatrici non vivono la condizione sociale prevista dalla legge 180
La legge Basaglia aveva intenti nobili e lungimiranti, i cui principi erano basati innanzitutto sulla restituzione della dignità e dei diritti alle persone che soffrono di patologie mentali, abbattendo non solo le barriere fisiche che tenevano segregati i malati, ma anche lo stigma che esiste sulla malattia. L’obiettivo della chiusura dei cosiddetti “manicomi” era quello di riportare i pazienti nel loro contesto sociale, istituendo sul territorio centri per la cura, la riabilitazione e l’inclusione sociale.
A distanza di 45 anni, purtroppo, non si può certo dire che i pazienti psichiatrici vivano una condizione sociale come quella prevista dalla legge 180.»
Ci sono state revisioni in tutti questi anni? Tentativi di integrazione?
«Va specificato che la legge 180 è una legge “quadro”, ma occorrono i contenuti per attuarla. Nel corso degli anni sono state ideate tante normative inerenti alla salute mentale per rendere attuativa la legge Basaglia. Si è parlato spesso di organizzare in modo ottimale i servizi territoriali, delle modalità di presa in carico del paziente, di istituire strutture terapeutiche e riabilitative idonee. Ancora, si è fatta presente la necessità di formare gli operatori, soprattutto nella relazione col paziente, ma anche in campo scientifico e farmacologico. Tuttavia, ai fini pratici, il paziente psichiatrico continua irrimediabilmente ad essere stigmatizzato, escluso e a gravare completamente sulla sua famiglia.»
Dalle sue parole mi pare di evincere che il problema sia fondamentalmente una sorta di disorganizzazione assistenziale…
«Sì, in seguito all’abolizione dei manicomi si è verificato proprio questo: una disorganizzazione assistenziale. E i motivi ci sono: innanzitutto i servizi territoriali che dovevano sostituire le istituzioni psichiatriche sono scarsi come numero e anche mal distribuiti in tutto il territorio nazionale; ancora, non ci sono veri e propri corsi di preparazione degli operatori sanitari per aiutarli ad affrontare queste situazioni e a relazionarsi con un paziente psichiatrico nel modo migliore e con la giusta sensibilità.
Infine, non dimentichiamo che, in nome della libertà di cura, molti pazienti che rifiutano di curarsi, vengono lasciati a se stessi e alle proprie famiglie, e questo crea non pochi problemi.»
Quali sono i pilastri di un’assistenza psichiatrica ad un paziente che soffre di una malattia mentale?
L’assistenza psichiatrica prevede la presa in carico globale del paziente, e questo vuol dire assicurare cura, riabilitazione e inclusione sociale
«L’assistenza psichiatrica prevede la presa in carico globale del paziente, e questo vuol dire assicurare cura, riabilitazione e inclusione sociale. La presa in carico deve avere al centro la persona con i suoi bisogni, deve essere multidisciplinare, anche perché gli stessi fattori che portano alla malattia sono plurimi, ossia sanitari, sociali e relazionali. Bisogna integrare l’aspetto puramente sanitario-farmacologico con psicoterapie, intervenendo così a far emergere tutte le potenzialità di una persona: solo in questo modo la si può sostenere davvero nel cammino verso una vita autonoma all’interno del contesto sociale.»
Dal punto di vista politico e normativo, vi sono attualmente proposte di legge che possono migliorare la situazione?
«Attualmente ci sono proposte di legge ma, dal nostro punto di vista e anche rispetto ai principi sanciti dalla legge 180, vanno in una direzione che noi non consideriamo corretta. Riteniamo che basterebbe seguire i principi della legge Basaglia, con tutta la normativa successiva, perché le cose migliorassero. Il problema non è di carenza normativa, ma sta nell’applicazione della legge. Per questo sollecitiamo i politici e gli amministratori a non considerare la salute mentale la Cenerentola di tutte le malattie, ma a prendere provvedimenti e stanziare le risorse necessarie.»
Quindi è anche una questione di fondi sociali?
«Certo: le risorse per la salute mentale sono estremamente insufficienti, e l’Italia è il Paese in Europa che investe di meno: secondo un’analisi condotta da The European House/Ambrosetti, l’Italia riserva alla salute mentale il 3% della spesa sanitaria e si posiziona nona nella classifica europea in merito alla qualità dell’assistenza sanitaria per i disordini mentali. La mancanza di risorse non consente di poter attuare pienamente e in modo omogeneo sul territorio nazionale ciò che la normativa prevede. Noi chiediamo che venga data piena attuazione alle leggi riguardo all’integrazione socio-sanitaria del malato psichiatrico e questo, ovviamente, ha bisogno di attenzioni economiche.»
Prima ha parlato di pazienti psichiatrici che, inconsapevoli dei propri problemi, potrebbero non essere collaborativi e rifiutare le cure. La famiglia del paziente cosa può fare per gestire questa situazione?
Il problema non è di carenza normativa, ma sta nell’applicazione della legge e dipende anche dalla mancanza di risorse adeguate
«Chi soffre di una patologia psichiatrica molto spesso non è consapevole della sua malattia, quindi non chiede aiuto e non si cura. In questo caso la famiglia è sola e impreparata a gestire situazioni complesse e i sostegni che ricevono dai CSM (Centri di Salute Mentale) spesso non bastano. Quando è in atto una crisi, alla famiglia non resta che chiamare il 118: in questo caso viene effettuato un Trattamento sanitario obbligatorio (TSO), a cui dovrebbe seguire la presa in carico dei servizi territoriali. Ho usato il condizionale “dovrebbe” perché, purtroppo, non sempre è così.»
Quali sono le strutture alternative ai manicomi attualmente esistenti, e di cosa mancano? Quale dovrebbe essere la struttura “ideale” che unisca i vari aspetti della cura psichiatrica?
«In teoria, i Dipartimenti per la Salute mentale (DSM) sono organizzati in: CSM (Centri di Salute Mentale) territoriali, centri diurni, strutture socio-sanitarie, strutture socio-riabilitative, comunità, appartamenti con abitare protetto. Purtroppo la mancanza di risorse materiali e umane non consente un’efficiente ed efficace presa in carico, e ciò che è scritto sulla carta non avviene nella realtà. Spesso le strutture sono dei “parcheggi”, se non dei mini manicomi.
Anche in questo caso le rispondo: il problema non è tanto teorico, ma pratico, ossia applicare quanto è stato teoricamente già deciso.»
Quali sono le situazioni più comuni di fronte alle quali vi trovate ad agire? E quali le più gravi?
Lo stigma nei confronti della malattia mentale è ancora molto forte, ed è figlio dell’ignoranza
«Le associazioni di familiari e utenti hanno ragione di esistere proprio perché l’assistenza psichiatrica istituzionale è disorganizzata. Facciamo sentire la nostra voce per ribadire il diritto alla salute e ad una vita dignitosa per le persone sofferenti. Coloro che si rivolgono a noi sono familiari e amici che chiedono aiuto. Le domande più frequenti sono: a chi rivolgersi, informazioni sui servizi, come comportarsi con il proprio congiunto. Molto spesso parlano della loro disperata quotidianità, lamentano di non ricevere l’attenzione necessaria dalle istituzioni apposite. I familiari vorrebbero sentirsi dire “veniamo noi a casa, cerchiamo di stabilire un rapporto di fiducia affinché il paziente possa iniziare un percorso di presa in carico”. Questo avviene talvolta, perché in Italia ci sono alcune realtà che funzionano meglio in quanto hanno un’efficiente organizzazione dei servizi, prestano molta attenzione al rapporto relazionale operatori-pazienti e hanno una cultura dell’inclusione verso le persone più fragili. Ma si tratta di casi davvero rari.»
In questa disorganizzazione, quanto incide lo stigma culturale nei confronti dei malati psichiatrici?
«Lo stigma nei confronti della malattia mentale è ancora molto forte, ed è figlio dell’ignoranza: è dovuto principalmente alla mancanza di informazione e conoscenze, che è possibile sviluppare solo attraverso campagne di prevenzione che siano insieme mirate e intelligenti. Bisogna parlare della malattia mentale come si fa con le altre patologie di tipo fisico.»
Numeri utili e contatti
- Per i familiari di pazienti psichiatrici che avessero bisogno di mettersi in contatto con ARAP-OdV, è disponibile un centro d’ascolto telefonico, raggiungibile al numero 349-445.13.61, e che risponde 7 giorni su 7, 24 ore su 24.
- L’ARAP-OdV, inoltre, fornisce indicazioni di tipo legale, oltre ad organizzare gruppi di confronto e di aiuto per familiari e utenti.
- Per maggiori informazioni: www.arap.it