Maternità e malattie, esperti a confronto a Firenze al convegno sulla salute di genere ‘Ex-Health’

Rinunciare ad una gravidanza a causa della malattia. È quello che accade a molte donne con patologie autoimmuni sistemiche come spondilite anchilosante, artrite psoriasica, lupus eritematoso sistemico: una ricerca internazionale del 2017 ha riportato che il 59% delle intervistate aveva avuto meno figli di quelli che avrebbe voluto.

«Non deve essere sempre così» affermano le principali esperte del settore, rappresentanti delle tre Aziende Ospedaliere Universitarie toscane (Pisana, Senese e Careggi), insieme alle pazienti rappresentate dall’Associazione Nazionale Malati Reumatici (ANMAR), riunite a Firenze nell’evento sulla salute di genere EX-Health, progetto di Helaglobe, sviluppato grazie al supporto non condizionante di UCB.

Dalle esperte delle tre Aziende Ospedaliere Universitarie toscane arrivano le indicazioni per un approccio di genere nel percorso terapeutico assistenziale della donna in età fertile con malattie immunomediate infiammatorie croniche

Per supportare donne e coppie in questo percorso, però, arrivano dall’incontro tre raccomandazioni condivise da sottoporre all’intero servizio sanitario regionale e non solo:

  • migliorare le conoscenze delle donne con malattie immunomediate infiammatorie croniche in età fertile;
  • migliorare il coordinamento tra gli specialisti delle diverse aree e tra specialisti e medici di medicina generale e diffondere e implementare le raccomandazioni delle linee guida nazionali e internazionali;
  • garantire il counseling e il supporto psicologico in tutte le fasi, dal momento in cui la donna esprime il desiderio di gravidanza fino al puerperio.

Al tavolo di lavoro, accreditato anche come corso di educazione continua in medicina, hanno partecipato come responsabile scientifico Marta Mosca, Professore Ordinario in Reumatologia, Università di Pisa e Responsabile U.O. Reumatologia, mentre, Francesca Bellisai, U.O.C. Reumatologia Azienda Ospedaliera Universitaria Senese, Ielizza Desideri, Direttrice U.O. Farmacia Ospedaliera Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Serena Guiducci, Professoressa in Reumatologia, Università di Firenze e specialista della U.O.C. Reumatologia Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, hanno rappresentato il comitato scientifico. A comporre il panel, coordinato da Lucia Politi di Helaglobe, anche Paola Grossi, Presidente A.T.Ma.R. Ass. Toscana Malati Reumatici, Silvia Tonolo, Presidente A.N.MA.R. Ass. Nazionale Malati Reumatici, Francesca Bartoli, U.O.C. Reumatologia Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi, Francesca Monacci, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale – Università di Pisa, Chiara Tani, Reumatologia – Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, Dina Zucchi, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale – Università di Pisa.

«La nostra Regione ha delle eccellenze in questo settore, ma c’è ancora molto da fare e le best practice che ci sono vanno rese omogenee in tutti i territori» è il messaggio di fondo condiviso dalle esperte. «Va migliorata la conoscenza perché molte donne interrompono le terapie anche quando non è necessario. Altre non comunicano ai loro specialisti di riferimento la volontà di concepire e di conseguenza non hanno la possibilità di valutare la loro terapia, modificandola con una compatibile con la gravidanza. A volte è necessario puntare sulla contraccezione in attesa di un quadro clinico che consenta di pianificare la gravidanza. E non dimentichiamo che anche gli uomini vanno coinvolti in questo percorso. Va, inoltre, garantito il coordinamento tra gli specialisti e tra specialisti e medici di medicina generale. Non devono essere le pazienti a fare da tramite tra i diversi medici. Se le pazienti percepiscono una frammentarietà perdono fiducia e si sentono private di un diritto – sottolineano le specialiste che indicano tre elementi per migliorare la comunicazione – un migliore utilizzo del fascicolo sanitario, di dotare le strutture di personale infermieristico esperto che possa supportare le pazienti e implementare il ruolo della farmacia dei servizi».

«Un’adeguata gestione di una persona con una patologia complessa implica una forte difficoltà organizzativa – sottolinea la professoressa Marta Mosca, Ordinario in Reumatologia dell’Università di Pisa e Responsabile U.O. Reumatologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana –. Le linee guida forniscono chiare indicazioni in merito alle modalità di gestione delle donne con malattie immunomediate infiammatorie in età fertile e indicano, ad esempio, come l’assistenza multidisciplinare debba essere coordinata e continuativa. Ci sono, però, numerose barriere che possono ostacolare la completa applicazione delle linee guida che al momento, secondo una survey, il 62% dei medici dichiara difficili da adottare nella pratica clinica. Pertanto, è necessario costruire dei percorsi organizzativi che favoriscano non solo l’applicazione delle linee guida, ma anche la loro implementazione, e che offrano alle pazienti un accesso equo alle giuste terapie e al monitoraggio necessario».

Punta l’attenzione sull’impatto sociale di queste patologie la professoressa Serena Guiducci dell’Università di Firenze e specialista della U.O.C. Reumatologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Careggi: «Le pazienti sono persone che lavorano e che dovrebbero, pertanto, essere tutelate per gestire al meglio la malattia. Invece talvolta sono costrette, addirittura, a prendere ferie per effettuare visite e controlli. Inoltre, a parte alcune best practice, le strutture sanitarie non sono ancora organizzate per facilitare l’accesso dei pazienti. Spesso, purtroppo, la persona con una malattia cronica non viene messa in condizione di svolgere i controlli con gli specialisti in un unico luogo. Oggi, se ciò accade, è un lusso. Ma non dovrebbe esserlo. Così come non dovrebbe essere un lusso avere lo psicologo esperto di patologia o l’infermiere di riferimento all’interno del proprio percorso di cura. Purtroppo, sulla relazione tra malattie autoimmuni e gravidanza c’è ancora molta ignoranza. Tanto che anche in letteratura gli articoli sull’argomento non sono molti. Per questo occorre lavorare tanto e bene per aumentare la conoscenza e, quindi, riuscire a migliorare la presa in carico del paziente».

«Il concetto di appropriatezza terapeutica in un momento della vita della donna importantissimo come quello rappresentato dalla gravidanza, non è un optional, ma è un elemento obbligatorio e tassativo – spiega Francesca Bellisai, U.O.C. Reumatologia Azienda Ospedaliera Universitaria Senese –. Ci viene richiesto di prenderci cura della donna, la paziente si affida a un gruppo di specialisti e noi dobbiamo aiutarla ad arrivare a questo momento controllando la sintomatologia e trattandola con farmaci che siano sicuri e che possano portare alla remissione o alla bassa attività di malattia». «Queste patologie colpiscono spesso le donne, ma non rappresentano una controindicazione per diventare madri. Certo ci sono delle regole. In primis occorre una presa in carico multidisciplinare a 360° che preveda anche un supporto psicologico – spiegano Silvia Tonolo, presidente nazionale di ANMAR, e Paola Grossi, presidente Associazione Toscana Malati Reumatici (ATMaR) –. Purtroppo, tanti pazienti non riescono a spiegare la propria storia in modo esaustivo, per questo dovrebbero essere i medici di medicina generale a svolgere questa parte importante. È quella figura che può gestire le cronicità sul territorio, abbattendo anche le liste d’attesa, e potrebbe seguire i follow up dei casi più gestibili. Ma il coinvolgimento del medico di famiglia o dello psicologo non deve rimanere solo all’interno di un disegno ipotetico. Deve diventare un percorso reale. Anche le associazioni vanno coinvolte, come succede in Toscana, per sollecitare per le pazienti con patologie immunomediate in età fertile un percorso diagnostico terapeutico assistenziale vero e proprio che possa seguirle con una presa in carico dalla diagnosi alla pianificazione della gravidanza coinvolgendo reumatologo, psicologo e ginecologo. Occorrono reti reumatologiche in tutte le Regioni, mentre al momento sono solo un’eccezione. Sono interventi a costo zero che possono fare la differenza per i pazienti».

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