Una narrazione “controintuitiva”, “non supportata da basi scientifiche solide”, e che rischia di falsare il dibattito sul futuro della medicina di emergenza in Italia. Sono le parole di Fabio De Iaco, past president della Società italiana della medicina di Emergenza-Urgenza (Simeu), nei confronti dello studio Altems presentato lo scorso 23 giugno a Roma, durante il Graduation Day della facoltà di Economia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Uno degli elementi più controversi, secondo Simeu, riguarda la classificazione dei medici
Secondo Simeu il report propone una lettura ottimistica della situazione dei Pronto Soccorso in Italia: meno strutture, ma più medici per ciascuna e accessi apparentemente in calo. E Simeu, analizzando al microscopio tutti i dati presentati da Altems non risparmia critiche: «Raccontare che tutto va bene è una semplificazione fuorviante. È l’assenza di dati veri il vero problema».
Cosa dice lo studio Altems
Secondo i ricercatori il sistema dell’emergenza sanitaria in Italia ha visto tra il 2011 e il 2023 una razionalizzazione dell’infrastruttura:
- i servizi di pronto soccorso e Dea (dipartimento di Emergenza e Accettazione)attivi sono passati da 808 a 693
- i medici di emergenza-urgenza per ogni struttura sono aumentati da 3,8 a 6,9
- gli accessi al Pronto Soccorso (Ps) per 1.000 abitanti sono scesi da 363 a 311
- la percentuale di pazienti ricoverati dopo il Ps è calata dal 14,9% al 13%
- il numero di medici di Emergenza-Urgenza (E-U), dopo un picco nel 2018 (5.217), è leggermente calato, arrivando a 4.748 nel 2023, ma resta comunque superiore al dato del 2011 (3.033).
Lo studio segnala inoltre una forte eterogeneità regionale: nel 2023 la quota di medici E-U rispetto al totale dei medici Ssn varia dallo 1% dell’Umbria al 7,2% dell’Abruzzo. Regioni come Campania, Toscana e Calabria mantengono livelli superiori al 6%, mentre Marche, Lombardia e Umbria non superano mai il 2%.
«Dati costruiti su basi fragili e fuorvianti»

Ma la Simeu non ci sta. E critica fortemente la narrazione di una medicina di Emergenza-Urgenza che appare in netta ripresa, quasi in un momento d’oro, secondo i dati dell’ateneo romano. «Questa analisi tenta di offrire una visione del Ssn più rosea di quanto in realtà non è. Ma non possiamo accettare che la realtà venga forzata per esigenze politiche. È evidente che i dati su cui si basa non sono sufficienti a rappresentare la complessità del sistema», commenta de Iaco.
Uno degli elementi più controversi, secondo Simeu, riguarda la classificazione dei medici: «In molte strutture i medici lavorano in pronto soccorso, ma risultano formalmente inquadrati in altre specializzazioni, come medicina interna. Nessuno sa dire se questi professionisti siano conteggiati nei dati ufficiali, e questa ambiguità rende i numeri del tutto inaffidabili».
6,9 medici per servizio: un numero che inganna
Uno dei principali dati presentati da Altems – l’incremento medio da 3,8 a 6,9 medici E-U per Ps o Dea – è, secondo De Iaco, un esempio di interpretazione errata. «Non bastano 6,9 medici per coprire H24 un pronto soccorso. Ne servono almeno 6 per ogni singolo turno. Quindi se hai due medici in turno (che è il minimo sindacale), servono 12 professionisti per copertura H24. Dire che siamo a 6,9 è una vittoria apparente, una contraddizione nei termini».

A parlare di dato “fuorviante”, è anche il presidente Simeu Alessandro Riccardi. Perché «è il risultato di un differente inquadramento dei medici all’interno delle strutture di Medicina d’Emergenza Urgenza. Medici che prima erano inquadrati, per esempio, in Medicina Interna o in Chirurgia, ma lavoravano esclusivamente in Pronto Soccorso e sono stati successivamente inquadrati nei Pronto Soccorso». Ma la differenza è solo formale e non sostanziale, avverte Riccardi: «Il dato medio attuale indicato dallo studio di Altems, pari a 6,9 medici d’urgenza per singolo centro, esprime dunque un inquadramento professionale e non un incremento reale di addetti, e comunque il dato di meno di 7 medici per singola struttura di Pronto Soccorso si dimostra gravemente insufficiente rispetto alle esigenze».
L’eterogeneità dei modelli organizzativi rende impossibile da calcolare il fabbisogno reale di medici nei Pronto Soccorso
Prosegue poi l’affondo di Riccardi: «Tutto questo a fronte dell’assenza di un dato cruciale ma impossibile da calcolare, ovvero la quantità numerica dei medici necessari per il buon funzionamento del Pronto Soccorso italiano: il dato non è ottenibile per l’estrema eterogeneità dei modelli organizzativi adottati non solo dalle singole regioni, ma addirittura dai singoli ospedali all’interno delle stesse regioni o persino delle stesse aziende».
Accessi in calo? Solo fino al 2020
Lo studio Altems registra un calo degli accessi al pronto soccorso, ma Simeu invita a contestualizzare il periodo analizzato: «Il 2020-2021 è stato un biennio anomalo, influenzato dalla pandemia. Ma dal 2020 a oggi gli accessi stanno salendo costantemente, siamo tornati a 18 milioni all’anno e stiamo risalendo verso quota 20. I dati di Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) lo mostrano chiaramente».
Aumenta la complessità degli interventi in Ps, non basta contare gli accessi
Inoltre, i numeri non terrebbero conto di un altro dato chiave: la complessità degli accessi. Diversamente da 15-20 anni orsono infatti in Pronto Soccorso oggi si eseguono procedure diagnostiche complesse, emocolture, risonanze, drenaggi. La diminuzione degli accessi è un «dato incontrovertibile, ma insufficiente a descrivere l’impegno dei Pronto Soccorso», dice Riccardi. Infatti «il trend dopo il 2020 – anno orribile della pandemia che ha prodotto oltre 200.000 decessi, prevalentemente tra persone anziane e fragili – è in costante risalita. Ma soprattutto ripetiamo da sempre che gli accessi di Pronto Soccorso non vanno solo contati, ma soprattutto pesati: la complessità degli interventi è enormemente aumentata negli ultimi anni, l’epidemiologia degli accessi si è complicata con l’incremento dell’età media, della polipatologia e degli indici di fragilità, il boarding crescente continua a moltiplicare il carico lavorativo dei Pronto Soccorso, una quota crescente di accessi, non sufficientemente indagata, comporta permanenze lunghe in Ps con dimissione diretta da Ps (ovvero l’equivalente di ricoveri in degenza non calcolati né valorizzati, ma gravemente impegnativi per il personale). L’equazione minor numero di accessi uguale minor carico lavorativo è gravemente errata».
Appropriatezza degli accessi: dubbio legittimo
Lo studio suggerisce poi un miglioramento nella appropriatezza degli accessi, ma De Iaco è scettico anche su questo fronte: «Abbiamo sempre criticato la definizione di inappropriatezza. Spesso chi arriva in Ps lo fa perché non ha alternative, non trova risposte altrove. E l’esperienza dei Centri di Assistenza-Urgenza (Cau) in Emilia-Romagna lo dimostra: hanno accolto pazienti, sì, ma non hanno ridotto l’afflusso al pronto soccorso. Molti accessi non sono clinicamente urgenti, ma assistenzialmente inevitabili». Il riferimento è, ad esempio, ad anziani soli, senza assistenza, con problemi sociali, che restano anche sei o sette giorni in Ps perché non c’è altra collocazione possibile. E naturalmente questa non è inappropriatezza: è assenza di risposte sociali strutturate.
La buona sanità esiste, anche in Pronto Soccorso
Critiche e dibattiti a parte, però, Simeu vuole ricordare che la buona sanità esiste in tutto il nostro Paese. E spesso anche all’interno dei Pronto Soccorso, purtroppo spesso agli onori della cronaca per episodi di malasanità o di aggressioni al personale medico e sanitario.
«La buona sanità esiste, ma raccontare bugie non l’aiuta. Dire che i problemi non ci sono o sono pochi o contrastare la narrazione di chi lavora in Emergenza-Urgenza è sbagliato ed è un insulto a chi ogni giorno lavora in condizioni difficilissime. Noi amiamo questo sistema e proprio per questo chiediamo che venga corretto dove serve. La sanità d’urgenza è sotto pressione. Servono dati reali, non narrazioni costruite. Chi ha dubbi su quello che diciamo venga a passare un giorno in un pronto soccorso qualunque. Vedrà subito se oggi siamo davvero meglio di dieci anni fa».