Osteopati vicini al traguardo: «Cerchiamo la collaborazione con le altre professioni»

È partito l’ultimo step per l'integrazione nell’ambito dell’assistenza sanitaria degli osteopati. Parla Mauro Longobardi, Segretario Generale del ROI - Registro degli Osteopati Italiani

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce l’osteopatia una disciplina manuale che rispetta il concetto olistico corpo-mente sia nella salute, sia nella malattia. Tale approccio si fonda sull’analisi dell’integrità funzionale del corpo e sulla correzione manuale delle disfunzioni neuro-muscolo-scheletriche.

Con il Decreto Interministeriale di dicembre 2023 è sempre più vicino il traguardo per la “nuova” professione sanitaria che sarà inserita nella Federazione nazionale degli Ordini TSRM e PSTRP

Secondo un’indagine 2017 elaborata dall’Istituto di ricerca Eumetra Monterosa, due italiani su tre conoscono l’osteopatia, il 20% si è rivolto almeno una volta nella vita a un osteopata e il 70% degli utenti ci va per curare dolori muscolo scheletrici anche su consiglio del medico. Questi dati dimostrano come l’osteopatia sia già, nei fatti, una professione integrata con le altre figure sanitarie, in un sistema di cura che vede la salute dell’assistito al centro di un approccio multidisciplinare. 

Con la firma del Presidente della Repubblica al decreto relativo alla definizione del profilo professionale dell’osteopata, si compie il primo passo formale nell’istituzione della professione. Il DPR n. 131/2021, infatti, definisce l’identità degli osteopati italiani e riconosce il contributo specifico dell’osteopatia per la salute dei cittadini.

Un concetto illustrato ai microfoni di TrendSanità da Mauro Longobardi osteopata, docente graduate e post graduate in osteopatia e Segretario Generale del ROI (Registro degli Osteopati Italiani – www.roi.it), l’associazione più rappresentativa dell’osteopatia in Italia, fondata nel 1989, con all’attivo più di cinquemila soci.

Dopo la pubblicazione del DPR 131/2021 del profilo professionale dell’osteopata, quali sono i passi successivi per l’inserimento tra le professioni sanitarie?

Mauro Longobardi

«Quello cui fa riferimento è il primo di tre decreti attuativi che prevede la legge istitutiva dell’osteopatia, che è la 3/2018, in cui l’articolo 7 traccia l’iter per la definitiva istituzione dell’osteopatia come professione sanitaria. A questo è poi seguito, a dicembre 2023, il secondo decreto (Decreto Interministeriale n. 1563) sul corso di laurea in osteopatia, che è intervenuto sui settori scientifici-disciplinari delle professioni sanitarie nell’area della prevenzione per includere le materie caratterizzanti dell’osteopatia. L’osteopatia è dunque inserita nell’area della prevenzione. L’ultimo step sarà il decreto sulle equipollenze, che prevede un passaggio per cui, sulla base del profilo professionale e sulla base del corso di laurea appena individuato, tutti i professionisti che attualmente esercitano o stanno completando la formazione nelle scuole di osteopatia potranno appunto accedere alla professione». 

Come mai prevenzione e non cura o riabilitazione?

Con il decreto equipollenze saranno individuati i requisiti e il percorso di laurea per l’iscrizione alla professione

«Le professioni sanitarie sono divise in quattro aree: prevenzione, riabilitazione, tecnica e infermieristica, non esistendo una specifica area della cura. Nell’ambito della prevenzione, per quanto riguarda l’osteopatia, bisogna considerare anche la prevenzione secondaria e terziaria, un’attività che consente di intervenire nell’aggravamento delle patologie croniche e nelle comorbilità. L’osteopata, di fatto, interviene anche sul processo di salute dei pazienti, non inteso solamente come prevenzione della malattia, ma anche dell’aggravamento». 

Qual è quindi la differenza con i fisioterapisti?

«I fisioterapisti, intanto, si riferiscono all’area della riabilitazione e mettono in atto tecniche e approcci differenti dall’osteopatia. L’osteopatia utilizza esclusivamente un approccio manuale, quindi senza ausilio strumenti elettromedicali e agisce attraverso tecniche differenti in una visione globale della persona assistita. Come al solito, non bisogna concentrarsi sul sintomo ma sulle cause dei disturbi. Faccio l’esempio della lombalgia: i vari professionisti sanitari, dal medico allo specialista ortopedico al fisioterapista e all’osteopata, possono intervenire tutti su questo quadro clinico ma lo faranno in maniera differente anche per il diverso ruolo che ricoprono nell’ambito sanitario. La differenza sta proprio nel tipo di approccio e nelle tecniche utilizzate. Sarebbe auspicabile in futuro una sempre migliore collaborazione tra i vari professionisti sanitari nell’interesse comune della salute del paziente».

Oltre al corso di laurea, sarà prevista la nascita di un albo e di un ordine degli osteopati? E quali saranno i requisiti per chi pratica già la professione?

«È proprio questo il tema del decreto sull’equipollenza di cui parlavo prima e che sarà oggetto di una serie di attività che vedrà coinvolti il Ministero della Salute, la Federazione che comprende già diciotto professioni sanitarie e le associazioni di osteopati come il ROI che dovranno individuare i criteri di inclusione dei professionisti sulla base di quanto previsto dal corso di laurea e delle esperienze formative di 35 anni di osteopatia italiana. Non c’è ancora nulla di scritto ma probabilmente questi criteri prevederanno requisiti sia di tipo formativo che di tipo professionale, non dimenticando che in Italia ci sono osteopati che come me esercitano l’attività da più di trent’anni».

Parteciperete come ROI a questi tavoli?

«Molto probabilmente, anche perché con il maxi ordine FNO TSRM e PSTRP rappresentato attualmente dalla presidente Calandra, già da tempo c’è un discorso aperto per l’inserimento degli osteopati in uno specifico albo che sarà istituito in seno alla Federazione. Saranno previste, pertanto, delle commissioni d’albo e ci auguriamo che il ROI, come altre associazioni di osteopatia sul territorio, possano essere consultate poiché rappresentano, di fatto, gli esperti nel campo. L’università inizia solamente ora il percorso di formazione in osteopatia, mentre sul territorio ci sono associazioni e istituti di formazione che lavorano in questo ambito da più di 30 anni».

Come sono i rapporti con le altre professioni sanitarie e con le “declamate” equipe multidisciplinari, spesso previste più sulla carta che nei fatti?

Fisioterapia e osteopatia si sfiorano ma sono assolutamente complementari e possono migliorare l’assistenza al cittadino

«I rapporti dei professionisti osteopati con le altre professioni sanitarie sono complessivamente molto buoni, in particolare con gli infermieri che anche nell’ultimo Congresso del ROI sono stati invitati e hanno presentato delle relazioni. Anche con i fisioterapisti ci sono ottime collaborazioni, con qualche incomprensione in più a livello istituzionale, perché hanno “vissuto” la presenza degli osteopati come un’invasione di campo. In realtà non è così, perché si tratta di campi che si sfiorano ma che sono assolutamente complementari e che possono, anzi, migliorare l’assistenza al cittadino. Si sta quindi cercando di superare l’incomprensione e, visto lo status quo, bisognerà adesso continuare a lavorare in questa direzione. Poi se mi parla in generale del modo di lavorare in equipe, le dico che si può fare molto di più, nel senso che la collaborazione deve essere funzionale all’ottimizzazione dell’intervento sull’assistito e non all’organizzazione interna dell’equipe stessa. La persona assistita deve essere sempre al centro del processo sanitario, che dovrebbe essere definito transdisciplinare più che multidisciplinare, perché nel primo caso la sintesi dei dati clinici dei professionisti sanitari non ricade sul paziente. C’è ancora da lavorare e a diversi livelli».  

Ma voi come ve lo immaginate l’ingresso nel SSN? Farete parte dell’organico e vi attendete un incremento dell’attività professionale?

Bisognerà attendere la prossima revisione dei LEA per inserire l’osteopatia nell’assistenza sanitaria pubblica

«Diciamo che l’osteopatia da professione di nicchia è diventata un’attività molto più diffusa negli ultimi anni e sicuramente più nota, soprattutto adesso che è riconosciuta come professione sanitaria. Prima veniva considerata una professione legata al benessere, non aveva ancora una collocazione istituzionalizzata, adesso invece ce l’ha. Manca però ancora un altro passaggio, poiché quando sono stati definiti i LEA, l’osteopatia non era ancora presente tra le professioni sanitarie. Attualmente, pertanto, l’osteopatia non è prevista a livello del Servizio Sanitario Nazionale. Probabilmente, quando ci sarà una revisione dei LEA, anche l’osteopatia sarà inserita nell’assistenza sanitaria pubblica. In realtà esistono tantissime esperienze di osteopatia all’interno degli ospedali. Mi viene in mente quello che è stato fatto all’ospedale Torrette di Ancona, dove c’è la presenza di alcuni osteopati che assistono i giovanissimi operati nel reparto pediatrico di cardiochirurgia. Oltre all’esperienza clinica vi è un’importante attività di ricerca scientifica in osteopatia, anche presso strutture ospedaliere come nel caso del trattamento sui neonati prematuri. Ci sono, quindi, diverse esperienze, manca però un’istituzionalizzazione che, probabilmente, si metterà in moto proprio perché adesso esiste la figura professionale e a breve anche il corso di laurea. Bisognerà lavorare su questo inserimento».

Tutte le scuole di osteopatia dovranno chiudere?

«Come ROI abbiamo già fatto presente durante i lavori di preparazione del decreto sul corso di laurea, e lo faremo ai tavoli tecnici ministeriali per individuare le equipollenze, quanto sia indispensabile che non venga buttata via tutta l’esperienza trentennale che, sia i professionisti, sia le scuole di osteopatia sul territorio, hanno apportato al mondo dell’osteopatia in tanti anni. Sarebbe dunque auspicabile assegnare agli istituti di formazione un ruolo adeguato, ad esempio come centri clinici per studenti universitari in formazione, visto che come abbiamo detto il servizio di osteopatia non è ancora presente nelle strutture pubbliche come gli ospedali. Come faranno infatti i futuri studenti dei corsi di osteopatia a fare il tirocinio clinico? In questo senso, le scuole di osteopatia che avranno la forza e la volontà di mantenere questo ruolo potranno essere di supporto all’università per colmare questa carenza. Inoltre, potranno conservare la loro missione formativa con corsi paralleli, ad esempio quelli post-laurea come formazione continua. Altra cosa importante che auspichiamo accada nei prossimi mesi è l’impiego di osteopati qualificati e con anni di esperienza per l’insegnamento nelle università delle materie caratterizzanti di osteopatia. Altrimenti il rischio è di avere dei professionisti sanitari abilitati a trattare i pazienti senza le capacità tecniche e manuali indispensabili. È importante evitare il depauperamento di tutto il sapere e l’esperienza professionale accumulati in tanti anni. Prima che si formino osteopati laureati che potranno accedere ai concorsi universitari, quindi, occorre che le università inizialmente possano stipulare dei contratti con osteopati professionisti qualificati. Non dimentichiamo che l’osteopatia è essenzialmente una professione sanitaria che si attua manualmente, quindi, l’abilità dell’osteopata passa attraverso l’esperienza manuale e la competenza manipolativa accumulata durante la formazione».

Ma gli osteopati qualificati chi sono esattamente? 

«Bisognerà anche in questo caso, individuare dei criteri che, ad oggi, non sono ancora definiti. Le università sono enti autonomi anche nei contratti: tuttavia, se vi fosse anche a livello ministeriale e dell’Ordine un’indicazione per non perdere questa grande risorsa, sarebbe molto utile.  Oltre che per l’insegnamento universitario andranno individuati altresì i criteri per l’inclusione degli osteopati negli albi professionali, cosa che sarà curata dalle commissioni d’albo che valuteranno proprio sulla base di tali criteri, formativi e professionali, gli osteopati per poter accedere ufficialmente alla professione. Voglio ricordare che l’Italia, attualmente, è il secondo Paese al mondo a pubblicare ricerche scientifiche in ambito osteopatico, solo dopo gli Stati Uniti. Quindi, c’è una miniera di professionisti che oltre alle competenze cliniche ha un alto livello di competenze scientifiche e di ricerca, ed anche queste non vanno assolutamente sottovalutate». 

Chi sarà la figura medica che dovrà prescrivere le prestazioni di osteopatia?

La diagnosi medica è auspicabile sempre, perché la collaborazione tra i professionisti sanitari e con i medici è sempre positiva per l’assistito

«Il decreto sul profilo professionale non prevede una vera e propria prescrizione medica, ma cita testualmente “l’osteopata in riferimento alla diagnosi di competenza medica e all’indicazione al trattamento osteopatico, dopo aver interpretato i dati clinici, riconosce l’indicazione o la controindicazione al trattamento osteopatico ed effettua la valutazione osteopatica”. Intendiamoci, la diagnosi medica non solo è ben accetta ma auspicabile sempre, perché la collaborazione tra i professionisti sanitari e con i medici, sia di base, sia specialisti, è sempre positiva soprattutto per l’assistito. L’osteopata si muove ben volentieri partendo da una diagnosi medica, che è un ottimo riferimento per la valutazione clinica. Ma poi, come cita anche il decreto, attua una sua valutazione osteopatica che non è una diagnosi ma appunto una valutazione, con la quale si individuano indicazioni o controindicazioni al trattamento osteopatico. Tale valutazione si attua tramite l’osservazione visiva e la palpazione percettiva attraverso le quali si cerca di comprendere quali sono le necessità cliniche e le procedure manuali da attuare per migliorare lo stato di salute della persona».

Perché c’è voluto tanto tempo?

«Personalmente sono da dieci anni nel consiglio direttivo del ROI e quindi ho potuto seguire direttamente quali siano state tutte le difficoltà da superare per l’istituzione della professione. Quello che si osserva, anche in altri ambiti, è l’estrema lentezza dei processi, le complicazioni che insorgono in un iter che prevede l’approvazione prima della legge e poi dei relativi decreti applicativi. In altri stati come la Danimarca, ad esempio, la legge che ha istituito l’osteopatia come nuova professione sanitaria ha previsto direttamente al suo interno i decreti attuativi. Da noi, invece, ci sono voluti 4 anni solo per l’approvazione della legge, dal 2014 al 2018.  Altrettanti anni ci sono voluti per approvare i primi 2 decreti dei 3 previsti, con il coinvolgimento di numerosi apparati istituzionali: dalle commissioni parlamentari, agli uffici di due ministeri, alla conferenza Stato-Regioni, al Consiglio Superiore di Sanità. Il percorso tortuoso e tutta questa burocrazia, associata a una certa resistenza di una parte del mondo sanitario ha ulteriormente ostacolato e rallentato un iter che poteva essere certamente più snello e veloce».

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Ivana Barberini
Giornalista specializzata in ambito medico-sanitario, alimentazione e salute