Osteoporosi e Fracture Liaison Service (FLS): un innovativo modello di presa in carico del paziente cronico

I Fracture Liaison Service (FLS) sono modelli di prevenzione secondaria delle fratture. Elaborati nel mondo anglosassone, si stanno diffondendo anche in Italia, con esperienze già attive e altre in via di definizione. Ne parliamo con alcuni professionisti che lavorano in realtà hanno scelto questo modello: Andrea Giusti (Dirigente Medico SC Reumatologia, ASL3 Genovese), Carlo Cisari (Primario Emerito, già Direttore Dipartimento Interaziendale di Riabilitazione, Ospedale Maggiore della Carità, Novara) e Ugo Trama (Dirigente Politica del Farmaco e Dispositivi, Regione Campania).

Le fratture da fragilità rappresentano un importante problema di salute pubblica: sono infatti associate ad una maggiore morbilità e mortalità, con una riduzione in termini di qualità e aspettativa di vita.

Per ridurre l’impatto economico e sociale delle fratture da fragilità sono stati pensati e implementati diversi modelli multidisciplinari di presa in carico, gestione e monitoraggio dei soggetti con prima frattura osteoporotica, con l’obiettivo di prevenire le successive rifratture: i risultati di questi modelli ne stanno dimostrando la validità.

I Fracture Liaison Service (FLS) rappresentano il modello coordinato di prevenzione secondaria delle fratture più comune ed economicamente e clinicamente efficace. I FLS sono percorsi diagnostico-terapeutici, implementati all’interno delle strutture sanitarie, con l’obiettivo di ridurre il treatment gap nei pazienti con fratture osteoporotiche e migliorare la comunicazione tra le diverse figure sanitarie coinvolte.

 

A livello nazionale e internazionale esistono diversi modelli di FLS che differiscono per i servizi offerti: tra i diversi modelli messi in atto, quelli che prevedono percorsi specifici per l’identificazione, la valutazione, il trattamento e il follow-up dei pazienti supervisionati da un coordinatore forniscono i migliori outcome.

Elaborati per la prima volta nel mondo anglosassone alla fine degli anni ’90, si stanno diffondendo anche in Italia, con alcune esperienze già attive e altre in via di definizione e implementazione. Presentiamo qui il contributo di alcune realtà italiane che hanno scelto questo modello, raccogliendo il punto di vista sia dei clinici sia delle istituzioni.

Intervista ad Andrea Giusti

Dirigente Medico Struttura Complessa di Reumatologia, ASL3 Genovese

Come è organizzato il vostro percorso e perché avete scelto il modello FLS per la presa in carico del paziente?

Il percorso FLS comprende due ortopedie non universitarie e un ospedale riabilitativo nell’area metropolitana di Genova: Villa Scassi, San Martino, e La Colletta (Arenzano). Per motivi di risorse, ci siamo concentrati sulla frattura di femore, che rappresenta anche la frattura più drammatica. Una volta implementato un percorso sulla frattura di femore, sarà più semplice estenderlo alla gestione di altre fratture.

Tutti i pazienti con frattura di femore dimessi dalle tre ortopedie vengono presi in carico da un team multidisciplinare molto ampio, composto da geriatri, reumatologi, ortopedici e relativo personale infermieristico. Il team valuta per ogni paziente le condizioni per l’avvio ad un percorso terapeutico-riabilitativo e indirizza i pazienti selezionati a questo percorso, suddiviso in vari momenti: la valutazione, la diagnosi e il trattamento.

Il trattamento consta di due fasi: innanzitutto la normalizzazione dei valori di vitamina D, che rappresenta un obiettivo assolutamente strategico, e successivamente, altrettanto importante, la prescrizione di un farmaco specifico per prevenire la rifrattura.

Obiettivo chiave del percorso FLS è la prevenzione delle rifratture

A questo punto i pazienti possono seguire varie vie, e qui si valorizza lo spirito creativo di noi italiani.  Rispetto agli altri Paesi noi abbiamo trasformato questo modello con creatività: in Inghilterra, dove il modello FLS è nato, adottano un approccio lineare e a tutti i pazienti viene prescritta la stessa terapia; noi invece personalizziamo la terapia sul paziente e la affianchiamo con altri interventi, di vario tipo. Ad esempio, da gennaio 2020 è attivo un ambulatorio per la prevenzione delle cadute, dedicato ai pazienti più anziani, più fragili e maggiormente a rischio di caduta. In un anno come questo, nel quale siamo stati costretti dal lockdown a interrompere l’attività da marzo a luglio, abbiamo già arruolato 80 pazienti, e non è poco.

Oltre a questo, sono previsti altri percorsi meno intensivi, che coinvolgono pazienti indirizzati a programmi di attività fisica adattata (AFA) sul territorio: in questo caso non si tratta di attività motoria riabilitativa ma di mantenimento e prevenzione. Infine, ci sono percorsi ancora meno intensivi dedicati a pazienti che vengono presi in carico nell’FLS, valutati, diagnosticati, avviati a terapia con vitamina D e farmaco e successivamente rimandati alle cure del medico curante e ad un iter ospedale-territorio che prevede il coinvolgimento di un infermiere case manager con il compito di contattarli periodicamente per verificare che siano aderenti alla terapia.

Perché il terzo target, oltre alla normalizzazione della vitamina D e alla prescrizione di un trattamento per la prevenzione secondaria, riguarda proprio l’aderenza, uno dei grandi talloni d’Achille della medicina moderna: nelle malattie croniche la questione più critica non è tanto avere a disposizione i farmaci efficaci quanto piuttosto che i pazienti li assumano con regolarità. Nell’osteoporosi questo costituisce un problema enorme, e l’aderenza è il terzo obiettivo del nostro percorso: monitorarla e quando il paziente riferisca una interruzione, cercarne le cause e intervenire prontamente.

«Nel nostro modello FLS la terapia è personalizzata sul paziente e prevede interventi di vario tipo e di diversa intensità»

 Avete già dei risultati?

I risultati per il momento sono ancora preliminari ma possiamo vedere un trend positivo per quanto riguarda la riduzione delle rifratture che, considerando il dato storico relativo all’anno 2017 (ultimo anno prima dell’attivazione del percorso FLS) e il numero atteso di rifratture, si attesta intorno a circa -30%. Un dato rilevante, anche se sappiamo che è sicuramente necessario ampliare il raggio di osservazione ad almeno 3 anni.

Molto positivo è il dato relativo alla prescrizione di vitamina D: prima del nostro intervento, la vitamina D veniva prescritta circa al 25% dei pazienti, mentre ora la percentuale è del 100%, quindi abbiamo raggiunto il target. È anche aumentata di circa il 25% la prescrizione dei farmaci per l’osteoporosi specifici per prevenire la rifrattura, e anche questo rappresenta un buon risultato.

Questo modello di presa in carico complessiva del paziente fragile e anziano può darci degli spunti per la gestione del paziente cronico in questa pandemia?

Sicuramente sì, anche se questo periodo non è stato semplice e abbiamo sofferto tanto. Siamo però riusciti a superare i tanti ostacoli attraverso due strumenti: la fantasia e l’intraprendenza.

Innanzitutto ci siamo posti l’obiettivo di entrare in contatto telefonicamente con tutti i pazienti per offrire un supporto psicologico (non va dimenticato che l’anziano fragile è colui che ha sofferto maggiormente del lockdown, insieme ai bambini) e garantire un’assistenza, seppure a distanza, per le problematiche connesse con la nostra specificità, cioè le malattie muscoloscheletriche e reumatologiche, ma non solo: ad esempio, se un paziente con il Parkison non può accedere al servizio neurologico, aumenta il suo rischio di cadere ed è necessario suggerirgli tutte le strategie per evitare che cada per via del Parkinson.

Inoltre abbiamo fornito un servizio di gestione territoriale per supportare i medici di base dei singoli pazienti e, nel caso in cui il paziente aveva la possibilità di disporre di una tecnologia più moderna, abbiamo utilizzato anche i sistemi di videochiamata, spesso coinvolgendo i nipoti. In questo modo, con una chiamata tramite Skype, ad esempio è stato possibile diagnosticare due fratture omerali in pazienti che sicuramente non si sarebbero recati al Pronto Soccorso per paura del Covid.

Questa pandemia è stata un test importante per il nostro FLS perché è stato sottoposto ad un forte stress e, nonostante tutte le difficoltà, il sistema ha retto molto bene, anche se probabilmente ci sarà un rebound dal punto di vista clinico nel follow up del prossimo anno. Ma se, sul piano organizzativo, il modello regge con un’emergenza del genere, significa che è veramente valido.

Intervista a Carlo Cisari

Primario Emerito, già Direttore del Dipartimento Interaziendale di Riabilitazione, Ospedale Maggiore della Carità, Novara

Perché avete scelto il modello dell’FLS e come è organizzato il vostro centro?

Alla base della nostra scelta ci sono state motivazioni cliniche ed epidemiologiche: ci siamo resi conto, sia dall’esperienza del nostro centro sia dai dati presenti in letteratura, che solo una minima percentuale di pazienti con frattura di femore (inferiore al 20%) intraprendeva successivamente un percorso terapeutico adeguato per prevenire una rifrattura. Partendo da questa considerazione, abbiamo esaminato il modello classico di FLS, per verificarne l’applicabilità nel nostro quadrante, costituito dall’area del Piemonte Nord-Est, che comprende quasi 1 milione di abitanti. E abbiamo scoperto che il modello classico di FLS, dove la segnalazione del paziente per l’inserimento nel percorso dedicato avviene direttamente dal reparto di ortopedia, non avrebbe funzionato in maniera efficace nella nostra realtà, dove i reparti di ortopedia sono ormai pressati da molte incombenze, dalla necessità di ricoveri veloci e di dimissioni precoci. L’inserimento del paziente in un percorso virtuoso di FLS non sarebbe quindi stato prioritario. Pertanto, con il professor Marco Invernizzi, che ha attualmente la responsabilità di farsi carico del percorso FLS, abbiamo cercato di fare un’operazione di “sartoria” adattando la metodologia dell’FLS alla nostra realtà organizzativa. Che cosa abbiamo visto? Che quasi la maggioranza dei pazienti con frattura di femore dimessi dai reparti di ortopedia effettuavano un transito in un centro di riabilitazione nel quale la degenza è più tranquilla e più lunga (da 20 giorni a 1 mese), con meno problemi e il personale medico può dedicarsi meglio all’impostazione di un trattamento per la prevenzione della rifrattura. Abbiamo quindi pensato che potessero essere questi centri di riabilitazione ad indirizzare il paziente al percorso FLS, nominando anche quello che noi abbiamo chiamato un “custode di percorso” che si fa carico di controllare tutti i passaggi burocratici e di verificare l’aderenza del paziente al suo iter.

Il modello classico di FLS può essere adattato con creatività alle esigenze organizzative e cliniche delle singole realtà

Ogni centro di riabilitazione è collegato ad una serie di ambulatori sul territorio specializzati nel metabolismo osseo. In base alla provenienza geografica e al desiderio del paziente, il centro di riabilitazione provvede, all’atto della dimissione, a prenotare la visita presso un ambulatorio del metabolismo osseo, e il paziente non deve far altro che presentarsi alla visita già prenotata.

Compito del custode del percorso è anche quello di accertarsi che il paziente all’atto della dimissione abbia capito bene che cosa deve fare e successivamente contattarlo in prossimità della visita presso l’ambulatorio per verificare che il paziente si presenti. In alcuni casi, se il paziente non ha già effettuato gli esami indicati dalle linee guida della SIOMMMS, provvede ad eseguirli nel mese di tempo che solitamente intercorre tra la dimissione dal centro di riabilitazione e la visita presso l’ambulatorio del metabolismo osseo. Sarà successivamente l’ambulatorio del metabolismo osseo a farsi carico del paziente e della prosecuzione del percorso.

«Nel nostro modello FLS una figura chiave è il custode del percorso che affianca il paziente per migliorarne l’aderenza»

Quali sono le peculiarità del vostro modello di FLS e qual è stato l’impatto della pandemia di Covid-19?

Le peculiarità del nostro percorso organizzativo rispetto al modello di FLS classico sono due. Innanzitutto l’attivazione del percorso attraverso i centri di riabilitazione, dove passa circa il 60-70% dei pazienti con frattura di femore e che, per i motivi menzionati prima, sono molto motivati all’impostazione di un trattamento per la prevenzione della rifrattura. E non meno importante è la presenza del custode del percorso, che supporta il paziente nel seguire le indicazioni e ne garantisce la compliance. Personalmente ho molto stressato il ruolo del custode di percorso perché in alcune nostre esperienze passate abbiamo registrato che circa i 2/3 dei pazienti che venivano prenotati all’atto della dimissione poi non seguivano correttamente le indicazioni e abbandonavano il percorso, per i motivi più vari.

Inoltre abbiamo avuto il vantaggio che la rete dei centri di riabilitazione era già coesa e che il nostro territorio, che comprende un’area molto popolosa, non presenta particolari problemi di trasporto.

Purtroppo la pandemia di Covid-19 ci ha costretto a sospendere l’avvio del progetto, ma in questi mesi abbiamo avuto la possibilità di lavorare per costruire un database comune tra tutti i centri che rappresenta un elemento chiave in quanto ci permette da un lato di raccogliere il dato clinico e dall’altro di costruire degli indicatori di percorso per verificare l’efficacia.

Intervista a Ugo Trama

Dirigente Politica del Farmaco e Dispositivi, Direzione Generale per la Tutela della Salute e Coordinamento del Sistema Sanitario Regionale, Campania

Ugo TramaQuali motivazioni vi hanno condotto a supportare il modello FLS in Regione Campania?

Il Sistema Sanitario Regionale è fortemente impegnato nel risolvere le problematiche sanitarie generate dall’emergenza pandemica, che hanno richiesto nuovi e sempre più ingenti sforzi di assistenza sia territoriale che ospedaliera, ma allo stesso tempo la Regione ha posto in essere diverse azioni finalizzate a garantire assistenza ai pazienti affetti da altre patologie gravi.

Tra le problematiche affrontate con particolare attenzione c’è l’osteoporosi, patologia silente e fortemente invalidante che può portare a fratture da fragilità ossea soprattutto nelle donne anziane e non solo.

Da una analisi effettuata è emerso che solo il 20% dei pazienti che hanno avuto un primo accesso presso un pronto soccorso a causa di una frattura viene dimesso dai reparti di Ortopedia e Traumatologia con una prescrizione farmaceutica antiosteoporosi appropriata che potrebbe ridurre la possibilità di rifrattura anche a fronte delle numerose terapie farmacologiche presenti sul mercato con tale indicazione terapeutica.

Il progetto “Frattura da Fragilità: prevenzione, gestione e presa in carico del paziente” nasce proprio dalla necessità di stabilire un percorso formativo finalizzato all’identificazione di ruoli ed azioni che competono alle figure multidisciplinari che interagiscono con un paziente complesso come quello affetto da osteoporosi che, spesso, presenta, oltre alla frattura, altre comorbilità.

Quali miglioramenti organizzativi e di processo può comportare l’adozione di questo modello?

Tale approccio consente un’adeguata prevenzione nella ricomparsa di fratture e l’individuazione precoce di pazienti a rischio di osteoporosi riconoscendo anche quelle forme patologiche di difficile diagnosi.

È stato realizzato e proposto un algoritmo e una scheda di ammissione ospedaliera per registrare in tempo reale i casi di fratture che accedono ai pronto soccorso di tutte le Aziende Sanitarie allo scopo di ottenere un’assistenza standardizzata e uniforme su tutto il territorio regionale.

Inoltre, nello specifico dell’applicazione della Nota 79, è stato ottimizzato il protocollo diagnostico, prevedendo esami ematici specifici e altri controlli, al fine di migliorare le metodiche di valutazione dei fattori di rischio per le fratture da fragilità.

L’istituzione di un team multidisciplinare, che vede coinvolte figure professionali diverse, in particolare chirurgo ortopedico e fisiatra, garantirà una migliore qualità dell’assistenza sanitaria al paziente.

È stato emanato un atto di indirizzo regionale che fornisce un protocollo comportamentale e gestionale del paziente fragile

Quali provvedimenti regionali sono stati adottati e quali criticità avete dovuto affrontare?

È stato emanato, in piena emergenza Covid-19, un atto di indirizzo regionale, creato grazie all’impegno di un Comitato scientifico multidisciplinare.

Con questo documento, unico nel suo genere sul territorio nazionale, viene fornito un protocollo comportamentale e gestionale del paziente fragile che, in ottemperanza alle linee guida scientifiche nazionali ed internazionali, alle regole della buona pratica clinica ed in linea con gli obiettivi aziendali delle AA.SS. regionali, ha come obiettivi migliorare il percorso ospedaliero, la presa in carico territoriale e monitorare il paziente post dimissione a medio e lungo termine.

Il documento ha messo in luce quale difficoltà principale l’attuazione di un protocollo condiviso tra tutti gli attori coinvolti. È quindi fondamentale l’aiuto sinergico e il coinvolgimento di tutti i professionisti presenti nel percorso assistenziale per promuovere ed implementare una rete di coordinamento e cooperazione interdisciplinare che vede in prima linea gli specialisti ambulatoriali e i medici di medicina generale del territorio quali figure incaricate di fornire giuste informazioni al paziente affetto da osteoporosi ma anche al paziente a rischio.

Gli organi istituzionali sentono molto la responsabilità delle scelte organizzative per contrastare l’emergenza pandemica e accolgono con grande interesse il supporto di professionisti che perseguono progettualità finalizzate alla cura di pazienti affetti da patologie croniche, in particolar modo se accompagnate da proposte concrete come la stesura di percorsi diagnostico terapeutici assistenziali.

In questo momento più che mai la costruzione di percorsi diagnostico terapeutici assistenziali sarà di grande supporto logistico all’attività di organizzazione e riorganizzazione delle attività sanitarie, in particolare per allocare nel modo giusto le risorse strutturali e umane previste.

In questo momento più che mai la costruzione di PDTA è fondamentale per la riorganizzazione delle attività sanitarie

Nell’ambito della osteoporosi, patologia di grande rilevanza sociale, la realizzazione di un percorso diagnostico terapeutico assistenziale PDTA che prenda in esame sia la prevenzione primaria che secondaria consentirebbe di avviare un processo di miglioramento della qualità dell’assistenza e di pari opportunità di accesso ai trattamenti sul territorio regionale attraverso la presa in carico del paziente, la diagnosi precoce e una valutazione multidimensionale del bisogno di salute anche attraverso il monitoraggio dell’appropriatezza delle prestazioni.

L’obiettivo sarà quello di ottimizzare il processo di gestione del paziente riducendo così le importanti complicanze legate al pericolo di frattura o di nuova frattura, eventi che necessitano di interventi di pronto soccorso e di chirurgia di urgenza.

 

 

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