Le Reti Oncologiche Regionali (ROR) si confermano un pilastro dell’organizzazione sanitaria per l’assistenza alle persone con tumore, fungendo da “prima porta d’ingresso” nel sistema sanitario. Introdotte formalmente dal DM 70/2015, e successivamente rafforzate dalle indicazioni AGENAS e dal Piano Oncologico Nazionale 2023-2027, rappresentano un modello strutturato e multidisciplinare in grado di garantire continuità, appropriatezza e accesso equo alle cure.
Senza la partecipazione attiva delle associazioni di pazienti, una Rete Oncologica non può definirsi tale
In occasione della XX Giornata Nazionale del Malato Oncologico, la Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) ha presentato il 17° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, ribadendo il ruolo chiave delle Reti per una presa in carico completa e centrata sul paziente.
A TrendSanità ne parlano Francesco De Lorenzo, presidente di FAVO, e Elisabetta Iannelli, segretario generale della Federazione, che approfondiscono anche i temi dell’intelligenza artificiale in oncologia e dell’oblio oncologico.
Francesco De Lorenzo: «Le Reti Oncologiche, un cambio di paradigma nella presa in carico»

Professor De Lorenzo, cosa sono esattamente le Reti Oncologiche e qual è il loro obiettivo principale?
«Le Reti Oncologiche rappresentano una svolta epocale nel trattamento del cancro in Italia. Costituiscono il modello organizzativo più adeguato alla presa in carico globale del paziente oncologico. Assicurano equità di accesso alle cure, continuità assistenziale e diffusione della ricerca clinica. Integrano attività ospedaliera e territoriale, favorendo anche l’implementazione della digitalizzazione. L’obiettivo principale è abbattere le disuguaglianze territoriali e creare un sistema di assistenza che metta realmente il paziente al centro».
Qual è stato il contributo di FAVO nella definizione delle Reti Oncologiche Regionali?
«FAVO ha avuto un ruolo centrale nell’articolazione del funzionamento delle Reti Oncologiche (vedi Accordo Stato Regioni sul documento “Requisiti essenziali per la valutazione delle performance delle reti oncologiche” – Rep. atti n.165/CSR del 26 luglio 2023), ottenendo nel 2023 l’approvazione della Rete Oncologica Regionale. Il nostro maggior successo è stato garantire la presenza formale delle associazioni dei malati a tutti i livelli della rete. È stato ufficialmente riconosciuto il fatto che senza la partecipazione attiva delle associazioni di pazienti, una Rete Oncologica non può definirsi tale».
Come viene regolamentata la partecipazione delle associazioni alle Reti?
«Abbiamo proposto ad AGENAS, che ha poi trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni, criteri uniformi per tutte le Regioni. Le associazioni dei malati, per essere ammesse alla Rete, distinte dall’attivismo civico, devono essere iscritte al Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) e dimostrare almeno tre anni di attività specifica in ambito oncologico. Ogni associazione deve compilare un modulo che specifichi competenze, attività e rappresentanze, permettendo alla Rete di identificare facilmente le associazioni specializzate nelle diverse neoplasie».
Obiettivo delle ROR è abbattere le disuguaglianze territoriali e creare un sistema di assistenza che metta realmente il paziente al centro
Quali vantaggi offrono le Reti Oncologiche al paziente?
«Le Reti Oncologiche sono fondamentali perché garantiscono una presa in carico complessiva. Quando un paziente riceve una diagnosi di cancro o anche solo un sospetto dal medico di medicina generale, viene guidato verso il punto informativo della rete, dove oncologo, assistente sociale e rappresentante dei pazienti indicano il percorso da seguire. Questo sistema riduce significativamente le disparità nell’accesso alle cure. Oltre all’Intesa Stato Regioni precedentemente menzionata, anche l’Intesa sul documento “Il ruolo delle Associazioni di volontariato, di malati e di attivismo civico nelle reti oncologiche” (Rep. atti n. 166/CSR del 26 luglio 2023) definisce puntualmente la partecipazione attiva delle associazioni di pazienti ai livelli rappresentativi e direzionali, così come alle funzioni di integrazione e/o completamento dell’offerta istituzionale. È inoltre previsto che le Regioni si facciano carico di creare occasioni formative per i rappresentanti delle associazioni di pazienti all’interno della Rete».
Come si sta evolvendo il coordinamento tra le diverse Reti regionali?
«FAVO sta lavorando con nove oncologi direttori di Reti regionali per favorire lo scambio di best practice e per un più efficace monitoraggio al fine di identificare ritardi e stimolare interventi politici mirati. In aggiunta al lavoro di AGENAS, che produce rapporti annuali sulle attività svolte dalle ROR, il centro di Coordinamento delle ROR, di recente istituzione da parte del Ministero della Salute, avrà il compito di intervenire per facilitare il funzionamento delle reti e superare le disparità territoriali».
Elisabetta Iannelli: «Intelligenza artificiale e oblio oncologico, sfide giuridiche e culturali»

Avvocato Iannelli, quali sono attualmente le questioni giuridiche legate all’applicazione dell’intelligenza artificiale in ambito oncologico che avete affrontato nel 17° Rapporto sulla condizione assistenziale deli malati oncologici?
«Per l’applicazione dell’AI siamo ancora in una fase preliminare, specialmente in oncologia. C’è un atteggiamento di osservazione sulle potenzialità e sui rischi di queste tecnologie. Esiste un disegno di legge governativo in materia di intelligenza artificiale che dovrà recepire la normativa europea. Abbiamo cercato di analizzare il tema specifico dell’AI in oncologia, che rappresenta un segmento particolare dell’ambito sanitario, con problematiche e opportunità proprie».
Come sta cambiando il rapporto medico-paziente con l’avvento dell’AI?
«Notiamo un cambiamento significativo: se prima i pazienti consultavano “Dr. Google”, ora interrogano strumenti come ChatGPT. Le capacità di calcolo e di risposta dell’intelligenza artificiale a quesiti oncologici sono strabilianti. L’AI può fornire informazioni dettagliate su diagnosi tumorali, caratteristiche genetiche e opzioni terapeutiche all’avanguardia. Il paziente poi si presenta dal medico con queste informazioni. Tuttavia, l’intelligenza artificiale commette anche errori grossolani, quindi è fondamentale che tutto rimanga sotto il controllo dell’intelligenza umana per evitare rischi elevati».
Se prima i pazienti consultavano “Dr. Google”, ora interrogano strumenti come ChatGPT
Quali sono i principali ambiti di applicazione dell’IA in oncologia?
«Nel 17° Rapporto sulla condizione assistenziale del malato oncologico abbiamo analizzato diverse branche: oncologia medica, radioterapia oncologica, chirurgia e ricerca. Particolarmente promettente è l’applicazione dell’intelligenza artificiale nell’analisi dei big data per la ricerca, dove l’AI può fornire risposte in tempi molto più rapidi rispetto ai metodi tradizionali. Abbiamo esaminato il rapporto rischi-benefici per ciascun ambito, coinvolgendo vari coautori specializzati nei diversi settori. È importante anche far conoscere ai pazienti le potenzialità e i rischi di queste tecnologie».
Nel Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici si fa anche riferimento alla legge sull’oblio oncologico, qual è lo stato di attuazione attuale?
«La legge n. 193 del 7 dicembre 2023 è entrata in vigore a gennaio 2024. Dei quattro decreti ministeriali attuativi previsti, tre sono stati approvati. Ad aprile 2024 sono stati definiti i termini abbreviati rispetto ai 10-5 anni previsti dalla legge, poi è stato approvato il modello di certificato di guarigione e successivamente il decreto sui procedimenti di adozione. Il quarto decreto, riguardante le politiche attive sul lavoro per le persone che hanno avuto un cancro, dovrebbe essere in dirittura d’arrivo».
La guarigione giuridica non sempre coincide con la valutazione clinica, creando incertezze nella comunicazione medico-paziente e timori di responsabilità professionale
Quali criticità stanno emergendo nell’applicazione pratica della legge sull’oblio oncologico?
«Una criticità importante riguarda la comunicazione medico-paziente. Quando un paziente richiede un certificato di guarigione, il medico può trovarsi in difficoltà. La guarigione in senso giuridico, determinata da una scadenza temporale secondo parametri precisi, può non corrispondere alla percezione clinica del medico. La medicina non è una scienza esatta: anche con una guarigione statistica del 90%, esiste sempre un 10% di possibili recidive. I medici temono anche potenziali problemi di responsabilità professionale nel dichiarare un paziente completamente guarito».
Ci sono altre problematiche emerse nell’implementazione della legge?
«Un altro aspetto critico riguarda l’esenzione per patologia oncologica (codice 048). Se un paziente viene dichiarato guarito, potrebbe perdere il diritto all’esenzione, ma potrebbe comunque necessitare di follow-up o trattamenti per effetti tardivi della malattia o delle terapie, come per esempio, una tossicità cardiaca. Senza esenzione, questi interventi sarebbero a carico dell’ex paziente. Dobbiamo trovare un punto di equilibrio affinché una legge nata per prevenire discriminazioni non crei nuove situazioni discriminatorie che compromettano il diritto costituzionale alla salute».