Rischio clinico a cinque anni dalla legge sulla responsabilità medica: per una cultura della sicurezza

Intervista ad Amedeo Bianco, firmatario della Legge in materia di responsabilità medica approvata cinque anni fa: "Oggi si rivela importante porre attenzione non solo ai sistemi di gestione e prevenzione del rischio, ma anche alla sicurezza e tenuta dello stesso Servizio Sanitario Nazionale, che è il primo elemento delicato dell'intero impianto della qualità delle cure"

Sono passati cinque anni: l’8 marzo 2017 veniva approvata la Legge 24/2017, detta Legge Gelli – Bianco, in materia di responsabilità medica. In concreto, la norma ha previsto che il medico che per imperizia provoca un danno a un paziente non è punibile penalmente nel caso in cui abbia rispettato le linee guida o le buone pratiche assistenziali.

“Oggi si rivela importante porre attenzione non solo ai sistemi di gestione e prevenzione del rischio, ma anche alla sicurezza e tenuta dello stesso Servizio Sanitario Nazionale, che è il primo elemento delicato dell’intero impianto della qualità delle cure: una tenuta che sembra essere messa in discussione dai fenomeni di burnout e di abbandono professionale sempre più ricorrenti”, commenta l’ex senatore Amedeo Bianco, firmatario della Legge.

Amedeo BiancoDottor Bianco, cosa è cambiato in questi anni?

“Di sicuro si è ulteriormente sviluppata una cultura della sicurezza delle cure. Con questa espressione non intendo solo un insieme di prassi, nozioni e teorie ma una presa di coscienza importante sul significato di strutturarsi con organismi, procedure e raccomandazioni generalizzate sul tema della sicurezza. Credo che da questo punto di vista la legge abbia dato un’accelerata all’approccio culturale che era in parte già presente, ma aveva bisogno di essere espresso in modo organizzato”.

Come ha influito la pandemia in questo settore?

“L’evento pandemico in tutte le sue manifestazioni ha fatto esplodere una serie di condizioni e situazioni già presenti nelle organizzazioni sanitarie. È stato un acceleratore incredibile di contraddizioni, difficoltà e insufficienze che ha lasciato il segno anche sui professionisti della sanità”.

Per l’anniversario della Legge ha partecipato al convegno online intitolato “Rischio clinico. Nuove sfide per la cultura della sicurezza”: quali sono?

“Si muovono con l’evoluzione dei contesti socio-culturale, organizzativo e tecnologico: basta pensare agli sviluppi dell’Intelligenza Artificiale nel sistema delle cure e allo sviluppo  di tutta informatizzazione del sistema.

Costantemente si aprono nuove prospettive e nuovi profili di sicurezza: è un cammino che non si ferma

Costantemente si aprono nuove prospettive, nuovi profili di sicurezza e di conseguenza nuove domande che i professionisti si pongono su cosa può essere fatto. È un cammino che non si ferma perché è coassiale al progresso della medicina”.

Nel suo intervento si è soffermato sul problema del burnout dei medici e sulla carenza di professionisti nel Servizio Sanitario Nazionale: è preoccupato?

“Il dato preoccupante è non dico la fuga ma la perdita importante di appeal della sanità pubblica agli occhi dei professionisti più giovani e in realtà anche dei meno giovani, visto il numero di dimissioni per quiescenza. Prendersi cura di chi cura non è un’affermazione né retorica né autoreferenziale. I professionisti sono i terminali del sistema delle cure: se non siamo in grado di motivarli, di dare loro prospettive e metterli in condizione di lavorare al meglio, va in crisi il sistema sanitario.

Prendersi cura di chi cura non è un’affermazione né retorica né autoreferenziale

Penso al clima organizzativo e lavorativo interno delle organizzazioni sanitarie e a quello della medicina che si svolge sul territorio: si è molto complicato ed è sempre più povero di ossigeno e molto ricco di incombenze formali e burocratiche.

Quelli che due anni fa erano eroi hanno un contratto che è già scaduto e non è ancora stato rinnovato. Questo tipo di attenzioni ha un’importanza che va al di là del quantum economico.

Sono preoccupato perché, al di là della sua efficienza tecnico professionale, il SSN è anche un grande strumento di coesione sociale in cui si può toccare con mano il senso della solidarietà, della prossimità e dell’equità: è quello che un paziente oncologico sperimenta direttamente quando è in trattamento con farmaci da 15-20 mila euro”.

Qual è il suo augurio per il SSN in tema di cultura della sicurezza e rischio clinico?

“Serve mettersi in testa in modo molto chiaro l’idea che su questi aspetti si è sempre in cammino e la meta cambia: bisogna attrezzarsi con testa e gambe buone e tante idee”.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario