Calandra (FNO TSRM e PSTRP): “Responsabilità e autonomia per valorizzare i professionisti”

Un modello di determinazione dei fabbisogni che rispecchi maggiormente la varietà delle professioni presenti nel servizio sanitario, ma soprattutto titolarità, responsabilità e autonomia: solo così le professioni sanitarie potranno tornare attrattive

Prosegue con questa intervista la rubrica di colloqui con i membri del Tavolo Tecnico per lo studio delle criticità emergenti dall’attuazione del Regolamento dell’assistenza ospedaliera (DM70) e dall’attuazione del Regolamento dell’assistenza territoriale (DM77)

La presenza al Tavolo di Teresa Calandra, Presidente della Federazione nazionale dei tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione (FNO TSRM e PSTRP), equivale alla rappresentanza di ben 18 professioni sanitarie e 61 Ordini provinciali e interprovinciali. L’ente racchiude al proprio interno un mondo numeroso, composito e in fermento: proprio sabato scorso, 29 luglio, il Consiglio nazionale ha dato il via libera al documento di posizionamento sull’evoluzione dei profili professionali. Un tema che abbiamo approfondito con Calandra, oltre a quelli più strettamente legati ai DM 70 e 77.

Cosa si aspetta dei lavori del Tavolo?

L’iniziativa è nuova per numerosità ed eterogeneità di figure presenti nel Tavolo, che coinvolge più attori che di solito agiscono in Tavoli separati: credo che sia un’opportunità unica di confronto su temi che, come sappiamo, concretizzeranno la sanità del futuro, se sapremo individuare le criticità e migliorarle e, laddove possibile, superarle. Sappiamo anche che dobbiamo fare i conti con le risorse, che purtroppo non sono infinite, ma confidiamo che si possa ottimizzare l’esistente. Lavorando insieme, sicuramente qualcosa di buono riusciremo a fare.

Quali sono a vostro parere le principali criticità del DM 70?

Il DM 70 è il più datato. Un primo elemento su cui ho già segnalato che bisognerà intervenire è l’impostazione a compartimenti, che certamente non è coerente con quanto ci aspettiamo rispetto all’integrazione tra l’ospedale e il territorio e tra le professioni interessate. Da questa prospettiva e guardando al DM 77, la struttura del DM 70 appare anacronistica.

Un altro elemento critico è l’accreditamento, perché al momento i criteri sono fissati dalle singole Regioni. Ferma restando la loro autonomia, non si può pensare che si proceda con valutazioni del tutto individuali: alcuni criteri devono essere garantiti per tutti, altrimenti si corre il rischio che in alcune Regioni manchi qualcosa o qualcuno, magari proprio le professioni sanitarie. Serve dare criteri omogenei, per garantire un livello minimo di qualità dell’assistenza; dopodiché, ogni Regione potrà determinare il “di più”.

Ancora, il DM 70 è fortemente condizionato dal documento di Agenas sul metodo per la determinazione dei fabbisogni di personale del Servizio sanitario, che per noi è molto critico perché li valuta e li determina solo per alcune professioni sanitarie e non per tutte le altre. Un esempio: delle nostre 18 professioni, ne mancano 16, rimandando la determinazione dei loro fabbisogni a una fase successiva; e per le prime due si sarebbe dovuto fare di meglio, non limitandosi ad adottare modelli che, forse, sono idonei per altri profili. Si tratta di un primo punto di caduta gravissimo: se non abbiamo la determinazione del fabbisogno, non sappiamo di quanto personale abbiamo bisogno per ognuna delle professioni sanitarie. È anche un controsenso, oltre che una criticità molto seria, perché le Regioni fanno riferimento a quel documento, e questo va sempre a detrimento della qualità dell’offerta sanitaria e delle prestazioni erogate al cittadino.

Adottare un metodo di calcolo che sia la mera applicazione alle altre professioni di quel che è adeguato per una di esse è sbagliato: se per una va bene il riferimento al posto letto e per alcune quello al volume delle prestazioni, per tutte le altre non possono essere solo questi elementi a determinare il fabbisogno. Infatti, relativamente al volume delle prestazioni, bisogna sempre anche tenere conto di alcune variabili di specie come la complessità, il tempo, il tipo di tecnologia, i controlli di qualità e di sicurezza, che per alcune prestazioni e alcune tecnologie sono addirittura giornalieri. Siamo consapevoli del fatto che non può essere adottato un metodo diverso per ogni singola professione, ma si può provare a trovarne uno o pochi, ovviamente basandosi sulle evidenze scientifiche, che siano adattabili a ognuna di esse in forza di una o più variabili di specie delle singole professioni.

Altro tema, sempre riguardo lo stesso documento: l’assistenza domiciliare integrata (Adi). Oggi l’Adi è fondamentale: le Regioni, anche in forza dell’opportunità offerta dalle tecnologie digitali, vi punteranno sempre di più. Allora com’è possibile che il documento faccia riferimento a solo due professioni? Non è verosimile pensare che l’Adi si riferisca alla sola assistenza e riabilitazione – peraltro indicando una sola professione. E tutta la diagnostica? E la protesica? E l’altra riabilitazione, che coinvolge più professioni? Pertanto, noi ci auguriamo che dopo la fase di rilevamento delle cose che non vanno nei DM si passi alla revisione anche del modello di calcolo del fabbisogno, altrimenti non riusciremo a trovare il giusto equilibrio, anche in forza del fatto che questo si lega al DM 77, che individua e definisce il fabbisogno di personale solo per alcune professioni, rimandando a momenti successivi la determinazione del fabbisogno del resto dell’équipe multiprofessionale.

Dovremmo cercare di dare ciò di cui c’è bisogno ottimizzando le risorse con modelli organizzativi nuovi

Noi speriamo tanto che non si ripetano gli stessi errori, perché altrimenti davvero non daremmo al cittadino ciò che sta aspettando da tanto tempo: una risposta completa ai suoi bisogni, grazie alle professionalità che servono, seppur non sempre tutte. Non possiamo più accettare di risolvere il problema solo dopo che è emerso il bisogno, perché se poi non c’è il professionista sanitario idoneo per qualifica e abilitazione, non si riesce a rispondere adeguatamente ai bisogni della popolazione e si favorisce l’esercizio abusivo della professione.

Per questo dovremmo cercare di dare ciò di cui c’è bisogno ottimizzando le risorse con modelli organizzativi nuovi.

E il DM 77?

Al di là della determinazione del fabbisogno, c’è il grande nodo della titolarità e della responsabilità professionale. Quando si parla di responsabilità professionale in tema di telemedicina, c’è un inciso particolarmente anacronistico secondo cui l’idoneità dell’assistito alla fruizione di questo tipo di prestazione è in capo ai soli medici. Questo vuol dire che se una persona oggi avesse bisogno di un servizio di telemedicina, potrebbe avere differenti risposte a parità di condizione. Crediamo che bisognerebbe ricondurre l’eligibilità alle prove di efficacia scientifica, a un sapere codificato, in maniera tale da garantire equità a tutti coloro che davvero ne hanno bisogno, consentendo non solo l’omogeneità di trattamento verso l’assistito, ma anche la giusta garanzia di autonomia e responsabilità di tutte le professioni sanitarie. Non si può continuare a pensare in ottica ancillare delle professioni sanitarie: ognuna di esse ha una titolarità e relativa responsabilità, che proviene da un percorso di studio universitario e da un’abilitazione dello Stato; basandosi su prove di efficacia scientifiche, linee guida e protocolli codificati ognuno potrà determinare chi è eligibile a un servizio o una prestazione di telemedicina e chi no. Noi faremo una proposta in tal senso e confidiamo di raccogliere il sostegno di tutte le altre professioni sanitarie.

È importante che il DM 70 e il DM 77 vengano rivisti guardando a nuovi modelli organizzativi che sfruttano le opportunità offerte dalle tecnologie digitali

C’è ancora un discorso da fare. È importante che il DM 70 e il DM 77 vengano rivisti guardando a nuovi modelli organizzativi che sfruttano le opportunità offerte dalle tecnologie digitali. Dobbiamo guardare alle professioni sanitarie come soggetti parimenti importanti, ognuno con una propria responsabilità e ognuno funzionale a un’attività multi e interprofessionale, perché è questo che il sistema richiede oggi per una presa in carico olistica della persona. Altrimenti continueremo a utilizzare modelli che non fanno bene al sistema e non fanno bene al cittadino.

Al di là del Tavolo sui DM 70 e 77, quali sono in questo momento le difficoltà che i professionisti della FNO TSRM PSTRP si trovano ad affrontare?

Innanzitutto la carenza di organico. Seppur venga lamentata in modo costante solo la carenza di due professioni sanitarie, in generale questa ne affligge tante, forse tutte le professioni. Questo lo affermiamo sulla base di dati certi: basti pensare a quelli relativi alle liste d’attesa, così come emergono dal lavoro fatto da Cittadinanzattiva, che certificano come le prestazioni con i tempi più lunghi sono quelle della diagnostica per immagini. C’è allora da domandarsi come mai? Forse anche perché manca personale tecnico per far lavorare tutte le apparecchiature al massimo delle loro potenzialità temporali?

Il problema interessa anche le Rsa e l’attività sociale; noi abbiamo tante professioni che si occupano del socio-sanitario: per citarne alcune, Terapisti occupazionali, Educatori professionali, Tecnici della riabilitazione psichiatrica, Terapisti della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, e anche lì c’è una carenza enorme che però emerge solo dal bisogno del cittadino. Poi c’è tutta la parte della prevenzione: tra le nostre professioni ci sono gli Assistenti sanitari e i Tecnici della prevenzione negli ambienti e nei luoghi di lavoro e sappiamo quanta necessità ci sia di queste professioni.

Pertanto, la carenza di organico è un tema a cui stiamo cercando di dare evidenza, perché paradossalmente si rischia di aumentare il numero di posti, anche nel fabbisogno formativo, di alcune professioni, dimenticandosi di altre che invece in questo momento sono necessarie e lo saranno nei prossimi anni, tenuto conto che per fortuna la nostra popolazione invecchia sempre di più e, quindi, sempre di più avremo bisogno di prestazioni di diagnostica, di riabilitazione e che riguardano il sociale.

Un altro tema che si lega fortemente alla carenza di organico è il salario non adeguato. Seppur come Federazione nazionale non vogliamo entrare nel merito perché compete ad altri soggetti, siamo consapevoli del fatto che il salario dei professionisti sanitari, rispetto ad esempio al resto d’Europa, è decisamente più basso e questo genera disinteresse verso le nostre professioni. Siamo coscienti che se non si interviene anche sull’aspetto economico, difficilmente si riuscirà a generare interesse per le nostre professioni. Crediamo che, da una parte, il riconoscimento pieno della titolarità, dell’autonomia e della responsabilità e, dall’altra, il salario siano i due elementi che potrebbero valorizzare le professioni sanitarie come è giusto e, purtroppo, ciò non avviene ancora in nessuna delle due dimensioni.

In ultimo, c’è il tema della violenza sugli operatori sanitari, una questione assai delicata, poiché la violenza nella maggior parte dei casi è dovuta all’organizzazione, sia sociale che lavorativa. La persona arriva nelle strutture sanitarie, dove si trova di fronte a un’organizzazione che non è adeguata per rispondere in modo appropriato (non necessariamente, il più rapido) al suo bisogno e alla fine diventa aggressiva nei confronti dei sanitari, vittime a loro volta di questi modelli organizzativi. Di conseguenza, misure come l’inasprimento della pena, che in linea generale vanno anche bene, non possono essere pensate come la soluzione: bisogna prevenire questi eventi, cosa che si può fare intanto studiando perché accadono e poi applicando dei correttivi che li prevengano, anziché punire, perché, pur censurando ogni forma di violenza, spesso l’operatore sanitario è una vittima tanto quanto la persona assistita.

Per quanto riguarda le vostre professioni, su cosa vi siete concentrati in questo periodo post-pandemico?

Dopo due anni di lavoro complesso e impegnativo, che ha visto coinvolti i delegati del Comitato centrale, le Commissioni di albo nazionali con i loro rappresentati ed esperti, nonché un nutrito numero di consulenti federativi, abbiamo prodotto il documento di posizionamento che costituisce una pietra miliare della nostra Istituzione, poiché contiene gli elementi essenziali sui quali fondare il processo di evoluzione dei profili professionali delle nostre professioni sanitarie.

Confidiamo che sia un’utile base, condivisa dalla nostra pluralità professionale, su cui avviare ogni interlocuzione sul tema.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario