L’Europa, Agenas e la programmazione del personale sanitario

Ha preso il via l’azione comune incentrata sulla programmazione del personale sanitario cofinanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Eu4Health. Agenas coordina l’intero progetto e guida i 40 partner partecipanti, provenienti da 19 Stati membri

L’importanza della programmazione del personale sanitario è una delle lezioni più importanti apprese dalla pandemia: oggi è una delle priorità su cui l’Europa ha scelto di mettere in campo energie (e budget) per prepararsi alle sfide del futuro. Al centro dell’azione continentale c’è la Joint Action “HEROES, HEalth woRkfOrce to meet health challEngeS”.

Si tratta di un’azione comune incentrata sulla programmazione del personale sanitario cofinanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del programma finanziario sulla salute denominato Eu4Health, che vede l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) nel ruolo di coordinatore dell’intero progetto e guida di 40 partner partecipanti, provenienti da 19 Stati membri. L’obiettivo della Joint Action HEROES, che ha preso il via a febbraio e prevede una durata complessiva di 36 mesi, è quello di migliorare le capacità di pianificazione del personale sanitario nei paesi dell’Unione Europea e dell’European Economic Agreement, per garantire nel futuro la presenza di personale sanitario accessibile, sostenibile e resiliente.

In particolare, quattro saranno le aree principali di attività:

  1. banche dati (raccolta dati, analisi, collegamenti, e fonti su domanda e offerta di personale);
  2. strumenti di previsione e metodologie di pianificazione;
  3. sviluppo e miglioramento delle competenze e delle capacità per gestire efficacemente la pianificazione del personale a livello nazionale e regionale;
  4. metodologie e buone pratiche per garantire una mappatura completa ed efficace degli stakeholder coinvolti nella pianificazione del personale.

Facciamo il punto sul progetto con Paolo Michelutti di Agenas, che lo coordina.

Dottor Michelutti, com’è nata questa azione comune?

Paolo Michelutti

Il progetto è voluto dalla Comunità Europea, che l’ha inserito nel programma Eu4Health, la risposta europea alla pandemia. È peculiare il fatto che, prima dell’emergenza, la Commissione stesse ipotizzando di dismettere gli investimenti su queste tipologie di progetti, rimandando alla competenza nazionale; invece, dopo il Covid, non solo gli investimenti non sono dismessi ma più che decuplicati. Il finanziamento della Comunità europea sul Programma salute del settennio precedente ammontava a circa 500 milioni di euro, mentre questo, Eu4Health, per il periodo 2021-2027, vale 5,4 miliardi euro. Cifre che danno un’idea del livello di impegno dell’Europa in sanità dopo la pandemia rispetto ad altri ambiti più tradizionalmente legati all’istituzione come il digitale, il lavoro, l’agricoltura.

Come si colloca la Joint Action HEROES in questo contesto?

Il programma dura sette anni e ogni anno vengono decise specifiche iniziative da finanziare. Nel 2021, primo anno del programma Eu4Health, tra le tante, è stata individuata questa azione comune per rafforzare negli Stati membri la capacità di pianificazione del personale sanitario, proprio come risposta alla pandemia su una delle criticità principali emerse durante la crisi sanitaria. Se si vuole che gli Stati possano rispondere meglio ad altre emergenze serve una forza lavoro sanitaria adeguata per quantità, capacità e tipologia di organizzazione, anche in un’ottica di maggiore flessibilità.

Perché è così difficile la programmazione del personale sanitario?

Uno dei nodi principali è che si tende sempre a lavorare per silos

Uno dei nodi principali è che si tende sempre a lavorare per silos: ospedale da una parte, territorio dall’altra; sanitario da una parte, sociosanitario da un’altra e così via per le professioni, medici e dall’altra infermieri. Ma, come la pandemia ha dimostrato, ci sono molte situazioni in cui il lavoro in team e multidisciplinare ha aiutato: ad esempio quando in terapia intensiva ha iniziato a poter entrare personale in grado di compiere una serie di atti, mentre prima poteva accedere solo personale specializzato in emergenza urgenza o terapia intensiva.

Cosa fare?

Una delle risposte è investire in quest’ambito come fa la Comunità europea, che ha lanciato una proposta agli Stati membri in tal senso. Alla fine sono 19 gli Stati europei che hanno manifestato il proprio interesse a partecipare all’azione congiunta. Sono progetti che richiedono tempi lunghi: il lavoro è partito alla fine del 2021 e la proposta di progetto è stata approvata dalla Commissione a novembre dello scorso anno, quindi la data di inizio è stata fissata al 1° febbraio 2023.

Il progetto, con Agenas coordinatore, è partito con il lancio a Roma a metà febbraio. Ma non si tratta di partire da zero, perché in realtà la Comunità europea ha finanziato già dieci anni fa un’azione comune sulla pianificazione del personale sanitario: si parte con della conoscenza pregressa. La precedente azione comune è servita per esplorare il tema e per analizzare le buone pratiche nei vari Stati europei. Si partirà da qui per finalizzare questa conoscenza e raggiungere l’obiettivo che ogni Stato coinvolto ragioni sulle proprie criticità e debolezze e individui ambiti specifici con lo scopo di ottenere un miglioramento nell’arco della durata del progetto, cioè tre anni. Questo significa che al 31 dicembre 2026 ciascuno Stato partecipante dovrà dimostrare di aver realizzato qualcosa di concreto per migliorare la situazione nel proprio Paese: non si tratterà di produrre linee guida ma di mostrare esiti pratici.

Quindi adesso come si procede?

Parlando di personale sanitario la pianificazione è per forza di lungo periodo

Gli ambiti su cui si ci concentreremo sono tecnici, perché il tema è tecnico. C’è il punto della disponibilità dei dati: se voglio pianificare ho bisogno innanzitutto di avere a disposizione dei dati che descrivono la realtà com’è oggi, il personale disponibile, dove lavora e così via. In secondo luogo c’è il fronte dei modelli previsionali, perché parlando di personale sanitario la pianificazione è per forza di lungo periodo. Se servono 100 medici non si può andare a comprarli al supermercato: bisogna formarli e per farlo ci vogliono 12 anni. Le decisioni che si prendono oggi avranno un impatto sul mercato del lavoro fra 12, 15, vent’anni. È quindi necessario chiedersi quanti medici, infermieri, fisioterapisti serviranno fra 15 anni, 20 o 25 e soprattutto per soddisfare quale domanda?

Da questo punto di vista si fanno stime tenendo conto di quanti professionisti entreranno nel mercato del lavoro e quanti ne usciranno e dal lato qualitativo si ragiona sulle previsioni demografiche: gli esperti ci dicono che fra vent’anni saremo una popolazione anziana. Disegnare questi scenari è uno degli ambiti di attività su cui si andrà a lavorare: sono complicati ma sono anche state sviluppate delle buone pratiche da cui partire.

Un terzo terreno, siccome appunto si tratta di attività tecniche, è formativo: andremo a individuare nei 19 Stati che partecipano al progetto le persone che si dovranno occupare di questi temi nello Stato in modo da formarle o rafforzare competenze che già hanno.

Il quarto ramo dell’iniziativa riguarda la valenza di politiche del progetto ed è il coinvolgimento degli stakeholder: un obiettivo essenziale su cui gli Stati andranno a lavorare in questo periodo.

Qual è a oggi la situazione nel nostro Paese?

Sugli aspetti tecnici siamo fortunati perché abbiamo già partecipato alla precedente azione congiunta: possiamo trasferire nel progetto alcune buone pratiche. Il ministero della Salute per esempio ha sviluppato un modello previsionale sul fabbisogno di personale sanitario che viene usato ormai da qualche anno per decidere il numero chiuso alla facoltà di medicina. Restando in tema di coinvolgimento degli stakeholder, è condiviso con tutte le regioni: c’è un tavolo al ministero con rappresentanti delle regioni. Ognuno usa lo stesso modello, le Regioni con dati regionali e il ministero con i dati nazionali: il dialogo è facilitato.

Un grande lavoro si sta facendo nel campo dei dati

Un grande lavoro si sta facendo nel campo dei dati, con grandi progressi e ancora molte lacune. Grazie alla collaborazione fra ministero e Istat, questo negli ultimi anni sta usando Big Data e dati delle amministrazioni, sulla base del Programma statistico nazionale approvato dal Garante Privacy. Il calcolo è puntuale a livello individuale dei professionisti sanitari attivi sul mercato e quella che adesso è una fase sperimentale verosimilmente nei prossimi due anni ci consentirà di basarci su un database solido che andrà a migliorare proiezioni e previsioni e potrà servire per definire politiche più a corto raggio.

Resta da fare soprattutto sul lato più decisionale e sul coinvolgimento degli stakeholder, in cui rientra anche il rapporto con l’università, che diventa fondamentale.

È già possibile dare dei numeri?

No, ma ci sono dei trend. Se guardiamo il numero complessivo di medici, non possiamo affermare che in Italia ce ne siano pochi: siamo decisamente sopra la media in Europa. Diverso è il discorso sugli specialisti: quello che andremo a capire è se effettivamente si possano presentare in scenari futuri delle carenze.

Un altro dato abbastanza evidente è la mancanza, in generale, di infermieri. Questo sìa di nuovo al confronto con altri Paesi europei che come conseguenza dell’impostazione medicocentrica del Servizio Sanitario. La professione medica è molto attraente e quella infermieristica no, perché chi diventa infermiere sa che non sarà al centro del sistema; almeno nel pregiudizio e nel sentire comune resterà sempre un po’ il collaboratore, il sottoposto di qualcun altro, di solito il medico. Si tratta di adoperarsi per rendere più attrattiva la professione infermieristica, ma non è solo una questione economica: è di ambiti di competenza, responsabilità, autonomia. C’è da ripensare il modello.

C’è un rapporto fra il progetto HEROES e il PNRR?

Grazie al PNRR l’Italia ha un piano quinquennale

Grazie al PNRR l’Italia ha un piano quinquennale. Se avessimo intrapreso questa iniziativa cinque anni fa, al momento di disegnare scenari futuri si sarebbe posto come primo problema: quale modello di sanità vogliamo avere nel futuro? Forse la risposta sarebbe stata “uguale a oggi” e puntare a mantenere lo status quo è sempre il pericolo principale.

Oggi per fortuna abbiamo un piano che detta molto chiaramente gli obiettivi da raggiungere nei prossimi cinque anni e soprattutto quale modello sanitario avremo fra cinque anni e da lì in avanti. Andiamo a costruire scenari non, come in precedenza, a parità di condizioni, magari semplicemente ipotizzando i cambiamenti demografici, perché il modello di erogazione delle prestazioni, soprattutto in certi settori, sarà diverso. Lo sforzo è di capire quale dovrà essere tecnicamente lo skill mix, il mix di professionisti che erogano quel tipo di salute, e se guardiamo al PNRR rispetto ad adesso, sarà diverso. Nelle Case di Comunità si erogano prestazioni in cui ci sono più professionisti coinvolti: per esempio, in concreto, avere équipe per la presa in carico e prevenzione attiva del paziente significa prevedere la presenza di fisioterapisti e infermieri di comunità che hanno il primo contatto con il paziente, e medici di base.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario