La sanità alla prova dei social network. Gigliuto: “Una medaglia ai comunicatori”

Un premio ai comunicatori pubblici digitali. È la proposta Livio Gigliuto, direttore dell'Osservatorio Nazionale sulla Comunicazione Digitale e consigliere di amministrazione della neonata Fondazione Italia Digitale, con cui abbiamo fatto il punto sulla situazione della presenza online della Pubblica Amministrazione e in particolare del settore sanitario.

Un premio ai comunicatori pubblici digitali. È la proposta Livio Gigliuto, vicepresidente dell’Istituto Piepoli, direttore dell’Osservatorio Nazionale sulla Comunicazione Digitale e consigliere di amministrazione della neonata Fondazione Italia Digitale, con cui abbiamo fatto il punto sulla situazione della presenza online della Pubblica Amministrazione e in particolare del settore sanitario.

Grazie alle testimonianze di chi se ne occupa, analizziamo i casi studio dell’ASL Roma 1, dell’ASL Toscana sud est e di IRCCS Regina Elena e San Gallicano Istituti fisioterapici Ospitalieri IFO, in collaborazione con PA Social, associazione dedicata alla comunicazione e all’informazione digitale.

L’Italia delle medaglie ne dia una ai suoi comunicatori pubblici digitali

“Nel 2021 l’Italia si è abituata a collezionare primati. Guidato dallo sport, il nostro paese, reduce da un 2020 drammatico, ha raccolto medaglie metaforiche e materiali con inusuale continuità, fino a raggiungere quello che per gli italiani adesso è una sorta di “stato di grazia”, che li spinge a vedere il futuro con crescente ottimismo – spiega Gigliuto -. Non dobbiamo dimenticare, però, che prima della nazionale maschile di calcio, dei plurimedagliati italiani olimpici, della nazionale femminile di pallavolo, un’altra squadra di leader italiani ha dato prova del proprio impegno, della propria capacità di affrontare il cambiamento guidandolo e non semplicemente attendendo l’onda per provare a cavalcarla: è la squadra dei comunicatori pubblici digitali”.

Gigliuto spiega perché: “In prima linea dai primi mesi della pandemia da Covid-19, che ha colpito l’Italia in anticipo rispetto agli altri Paesi, chi si occupa in Italia di comunicazione sui mezzi web e social ha rassicurato i cittadini, li ha informati su come ricevere i servizi essenziali e li ha convinti a restare a casa quando quello era l’unico modo per evitare il contagio, ottenendo un livello di adesione alle regole del distanziamento sociale molto elevato.

Non solo, nella fase successiva, quella dominata dalla vaccinazione, i social media manager sono stati il baluardo dell’informazione corretta, il vaccino che ha protetto i cittadini dalle fake news virali dei No Vax. Anche a loro dobbiamo il fatto che nel nostro paese la grande maggioranza della popolazione abbia deciso di vaccinarsi e che anche adesso il 77% di chi ancora non l’ha fatto dichiara di essere propenso a farlo nelle prossime settimane.

Insomma, se la campagna vaccinale ha avuto effetto è certamente grazie all’azione delle istituzioni, al senso civico degli italiani, ma anche di chi ha combattuto la battaglia dell’informazione scientifica e sanitaria nella trincea più dura ma anche più importante: i social network”.

Non c’è da stupirsi che la diffusione dei messaggi abbia funzionato, sostiene l’esperto: “L’Italia, il ruolo di paese leader in Europa sul fronte della comunicazione pubblica digitale non lo ha raggiunto nel 2021, e neanche all’inizio della pandemia, ma anni fa, nonostante l’assenza di una spinta strutturale alla digitalizzazione della relazione tra “Palazzo” e cittadino, grazie alla volontà di singole amministrazioni pubbliche e a chi, come PA Social, ha tessuto una rete dove c’erano best practice isolate”.

Come vivono la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e dei servizi sanitari gli italiani? “Varcato il Rubicone della presenza sui social e dell’informazione in tempo reale, i cittadini si sono abituati in fretta a trovare su questi canali informazioni e servizi, e chiedono alle amministrazioni di “guardarli negli occhi”, rispondere alle domande, interagire, senza perdere tempo dietro a hater e contestatori. Insomma, chiedono contatto.

L’unica strategia possibile è un connubio di comunicazione bilaterale (gestione della community rispondendo alle domande dei cittadini) e autotutela, attraverso l’applicazione di una adeguata e rigorosa social media policy”.

La Pubblica Amministrazione italiana ha scelto di attraversare entrambe le strade, anche se con diversa intensità: se esiste ancora un 48% di pubbliche amministrazioni che risponde solo occasionalmente ai cittadini, a essersi dotata di una social media policy è già l’89% delle istituzioni italiane (e il 79% dichiara di rispettarla).

Il 48% delle PA italiane risponde occasionalmente ai cittadini, ma l’89% si è già dotato di una social media policy

“I social media manager in Italia sono un “esercito gentile” di circa 9500 comunicatori, circa otto pubbliche amministrazioni su dieci hanno una risorsa dedicata esclusivamente al presidio della comunicazione digitale – dice Gigliuto -. Un esercito che ha già fatto tanto, ma che può ancora una volta segnare la strada agli altri”.

Verso quale direzione? “Ragionando per futuribili, sulla base dei desideri espressi dai cittadini e dagli utenti dei servizi sanitari, è probabile che nei prossimi anni cresca la voglia di comunicare via chat con il nostro ospedale di riferimento, con il nostro medico, ottenendo informazioni e persino servizi sanitari, quando e per quanto possibile direttamente sul nostro smartphone, accorciando ancora una volta le distanze e rispettando ancora di più il lavoro dei nostri operatori sanitari”.

A No Vax e fake news abbiamo risposto con la coerenza

“Il nostro Halloween digitale ci porta numeri di cui non abbiamo paura: quando di 85 mila reazioni 83.400 sono like e cuori, puoi stare certo che la tua community ha un legame forte con l’azienda”, afferma Roberta Mochi, dirigente ufficio stampa e social media manager dell’ASL Roma e coordinatrice Tavolo nazionale Sanità dell’associazione PA Social.

“La ASL Roma 1 ha cinque piattaforme social, che usa ogni giorno per incontrare i cittadini nelle cosiddette piazze virtuali – dice -. Stiamo parlando di un’azienda sanitaria con un territorio molto esteso, che parte nel cuore di Roma per raggiungere un bacino di utenza di oltre un milione di persone distribuite in sei distinti municipi della capitale. I bisogni di salute dei nostri residenti sono una gamma vastissima. Dalla nascita al fine vita, dai controlli sugli alimenti alla prevenzione oncologica. Come fare a informare davvero tutti? La comunicazione tradizionale non poteva bastare”.

L’ASL romana ha quindi intrapreso la strada del web. “Quando abbiamo iniziato questo percorso, ci siamo infatti resi conto, per usare le parole di Doc, quello di Ritorno al futuro, che eravamo “tutti esattamente in ritardo di venticinque minuti” anzi, forse qualcosa in più – afferma -. Il primo passo in questa salita lo abbiamo fatto grazie all’ascolto, cercando di capire quali fossero le necessità delle persone che gravitavano intorno all’azienda e promuovendo il benessere individuale e sociale, gli stili di vita sani e gli atteggiamenti responsabili”.

E l’interazione? “Abbiamo optato per una ferrea social media policy fondata sul rispetto e su un punto fermo: l’ASL è l’autorità sanitaria sul territorio. Niente opinioni e punti di vista, ma informazioni concrete, affidabili e centrate su solide basi scientifiche. Siamo rimasti coerenti con la nostra politica e abbiamo cercato di fare chiarezza e contrastare la diffusione di notizie false”.

Abbiamo optato per una ferrea social media policy fondata sul rispetto e su un punto fermo: l’ASL è l’autorità sanitaria sul territorio

Non sempre è tutto semplice, sostiene Mochi, ma la pandemia in questo senso può essere colta come occasione: “La transizione digitale è un passaggio di ordine culturale e non soltanto tecnologico. Non si tratta di una mera informatizzazione delle attività sanitarie ma di un cambio di rotta per molti di noi, disabituati al digitale e spesso con formazione “analogica”. La percezione del problema è cambiata naturalmente con la pandemia che ha funzionato da volano in questo cambio di paradigma. Tuttavia è ora necessario non perdere l’occasione e completare il passaggio nella giusta direzione”.

Cosa c’è nel futuro? “L’assistenza sanitaria pubblica e quindi la comunicazione del futuro sarà quella in grado di guardare a ogni singolo cittadino, cioè quella della iperpersonalizzazione. Quella in cui saremo in grado di riconoscere ogni persona che si interfaccerà con noi, per costruire insieme un accesso alle cure e un percorso di assistenza senza ostacoli. Se il PNRR ci parla di case della comunità, anche noi comunicatori pubblici dobbiamo ascoltare questa chiamata alle armi e portare l’informazione nei luoghi di vita delle persone”.

L’eredità del Covid-19. Il digitale per la salute

L’esperienza della Asl Toscana sud est nella testimonianza di Marzia Sandroni, dirigente della comunicazione dell’Azienda USL Toscana sud est, membro del coordinamento comunicazione di Federsanità-Anci e co-coordinatrice del Tavolo Sanità di Pa Social.

“In Italia la sanità si è lanciata sul digitale. Un programma sicuramente migliorabile, ma irreversibile – afferma -. Scavalcando paure endemiche e pluriennali, l’emergenza Covid ha obbligato le aziende sanitarie a scegliere l’unica strada possibile per governare e per rispondere ai bisogni dei cittadini in tempi di lockdown: il digitale”.

Anche in Toscana, così come a Roma, la vastità del territorio ha giocato a favore dell’uso della rete e dei suoi strumenti: “Un’azienda come la nostra, con una vastità di 11.560 km², 850 mila assistiti, 99 comuni, non poteva essere altrimenti gestita, se non con sistemi informativi, di consulto, di cooperazione e di comunicazione digitalizzata”.

I dati confermano che, in Italia, l’accelerazione del digitale ha interessato nel 2021, durante l’emergenza pandemica, soprattutto il mondo della sanità, dove, nell’indice Desi, Digital Economy and Society Index, tra i 28 paesi europei è risalita dal 22° al 18° posto.

In Italia, l’accelerazione del digitale ha interessato nel 2021, durante la pandemia, soprattutto il mondo della sanità

“È dimostrato che la pandemia ha impattato meno dove era presente una solida rete anche digitale sia territoriale sia tra ospedale e territorio che ha evitato l’addensamento negli ospedali ed ha permesso che chi era isolato non si sentisse anche solo – chiosa Sandroni -. Se l’isolamento, infatti, è determinante per contrastare il virus, la solitudine è una condizione evitabile grazie anche al digitale che permette, nonostante il distanziamento fisico, di mantenere la vicinanza sociale”.

Come? “Con canali di comunicazione come i social, i sistemi di teleconsulto, telemedicina, televisita. Ma anche a grazie a cruscotti di monitoraggio con cui le direzioni hanno potuto prendere decisioni e attuarle in tempi rapidissimi (ad esempio spostamenti dei pazienti per separare i Covid dai no Covid e ridistribuzione posti letto), rilevare in tempo reale gap di gestione, dalla lentezza nel contact tracing ai tempi per processare i tamponi, e mettere in campo rapide soluzioni. Grazie a questi sistemi a cui il Covid ha dato nuovo impulso, le Aziende hanno gestito l’emergenza pandemica. Hanno fatto sentire le persone protette e accompagnate”.

Così, durante la pandemia, le aziende sanitarie hanno scelto di stare dove stanno i cittadini, quindi anche sui social. Oltre il 90% degli adulti usa i social media per cercare e condividere informazioni sulla salute. Il 90% dei sanitari ha almeno un profilo social.

“Per questo, anche la Asl Toscana sud est ha utilizzato Facebook, Instagram, YouTube, Twitter, sistemi di messaggistica come Whatsapp e chatbot per completare ed integrare i canali di comunicazione tradizionali: stampa, tv, video, sportelli di front office, call center, materiali cartacei, eventi, e a questi canali ha dedicato una specifica professionalità – spiega Sandroni -. Questa sottolineatura è essenziale in considerazione dei dati (Rapporto Oasi, 2019), che evidenziano come se in Italia il 65% delle aziende sanitarie hanno una pagina Facebook, solo il 23% crea contenuti ad hoc – le altre duplicano i contenuti dell’offline -, e il 72% non ha professionalità dedicate determinanti per definire e attuare il Piano editoriale, implementare campagne di comunicazione integrata, tenere monitorato l’andamento dei vari profili in collaborazione con l’ufficio stampa e con l’ufficio relazioni con il pubblico. Canali efficaci per far rafforzare la fiducia tra cittadino e azienda sanitaria, per favorire la partecipazione, la trasparenza, l’accountability”.

Se in Italia il 65% delle Aziende Sanitarie hanno una pagina Facebook, solo il 23% crea contenuti ad hoc – le altre duplicano i contenuti dell’offline -, e il 72% non ha professionalità dedicate

“I social sono stati canali essenziali per indirizzare un gran numero di persone, difficilmente raggiungibili con qualunque altro mezzo, ad assumere comportamenti e precauzioni appropriate”, prosegue la referente. “Una comunicazione sistematica e puntuale ha accreditato l’azienda sanitaria come fonte primaria di informazione per altre istituzioni e per i media, per dare al cittadino un’immagine coerente di ciò che stava accadendo e per riallineare percezione e realtà”.

Tra le varie iniziative, nell’estate 2020 è stata lanciata la Campagna di social challenge “Io ci sto e tu?” per sensibilizzare soprattutto i giovani all’uso della mascherina: “Hanno aderito oltre 500 persone inviando le loro foto con la mascherina, di tutte le età, singolarmente o in gruppo, squadre di pallavolo, di calcio, sindaci e volti noti come Samantha De Grenet.

“I follower dei vari canali sono triplicati – sostiene la referente -. E, se in emergenza si dice che la fiducia nei confronti dell’Azienda è il frutto di ciò che abbiamo costruito in tempi di normalità, è altrettanto vero che i follower che hanno apprezzato il rigore e la chiarezza nella comunicazione durante la pandemia continuano a seguire i canali aziendali e a fare da ambasciatori condividendo e potenziando la portata dei nostri messaggi”.

Più difficile è stato far entrare nella vita delle persone l’utilizzo delle app, ad esempio per prenotare il tampone, visualizzare il referto, prenotare il vaccino. “Una resistenza che ha coinvolto operatori e cittadini: segno che ancora ampio è il digital divide. Questo dato è confermato dall’indice Desi da cui emerge che solo il 32% degli italiani utilizza abitualmente strumenti digitali per accedere ai servizi – dice Sandroni -. Nello smartworking gli operatori dell’Asl Toscana sud est hanno sperimentato tutte le maggiori piattaforme di videoconferenza e di e-learning, fondamentali nella fase specifica per migliorare le competenze digitali e l’utilizzo di sistemi di protezione dei dati, ma anche per continuare a mantenere relazioni professionali e complicità organizzativa tanto più necessaria durante la crisi”.

“Ora sappiamo cosa la sanità pubblica è in grado di fare se ha un’adeguata dotazione digitale e tecnologica – afferma -. Migliorare le performance e la qualità delle prestazioni, diffondere l’apprendimento, sostenere l’innovazione, costruire la motivazione. Il Piano nazionale ripresa e resilienza (PNRR), 19,7 miliardi per la Sanità digitale ed i 1,3 miliardi di ReactEu per il potenziamento del Sistema, sono una grande opportunità che il nostro Paese saprà certamente cogliere”.

Gli operatori, sempre più coinvolti, contribuiscono alla diffusione di informazioni corrette

“È stata necessaria un’epidemia per evidenziare come la comunicazione digitale garantisce maggior supporto e servizi al cittadino”, esordisce Lorella Salce, responsabile comunicazione, stampa e relazioni esterne presso Regina Elena – San Gallicano Istituti fisioterapici Ospitalieri IFO e coordinatrice Tavolo nazionale Sanità dell’associazione Pa Social. “Le attività di divulgazione dei due Istituti di ricovero e cura a Carattere Scientifico (IRCCS), Istituto Nazionale Tumori Regina Elena e Istituto Dermatologico San Gallicano, adottano sempre il metodo scientifico: si parte da un’attenta osservazione del contesto, si formulano ipotesi circa le modalità informative da usare, si procede definendo il piano di comunicazione, si verifica e si rimodula secondo necessità”.

Importante è l’impegno contro la diffusione di fake news: “Garantiamo informazioni autorevoli, basate su studi e pubblicazioni, grazie alla collaborazione dei nostri direttori scientifici in primis e poi di tutti i professionisti, con loro organizziamo spesso webinar o anche semplici video pillole informativi su temi “caldi” che facciamo girare su tutti i nostri canali social”.

Anche gli strumenti per comunicare si sono evoluti: “La rete delle associazioni di volontari e pazienti è una importante cassa di risonanza: con le loro numerose chat o la condivisione sui loro account social operano al nostro fianco per disseminare capillarmente le informazioni utili. La tempestività viene senza dubbio garantita dagli strumenti digitali: app, social, chat, bot e servizi come la telemedicina”.

La tempestività viene senza dubbio garantita dagli strumenti digitali: app, social, chat, bot e servizi come la telemedicina

Alcuni numeri: i follower di tutti i canali social IFO sono aumentati del 100% rispetto al 2019, i contatti attraverso Messenger sono aumentati del 300% solo nel 2020. “Un chatbot modulato sui quesiti più frequenti è vincente e spesso la risposta automatica, contenente info di base, è già esaustiva – sottolinea Salce -. Le linee telefoniche attivate durante il lockdown e operative su lungo orario anche nei giorni festivi non hanno registrato lo stesso successo quantitativo ma hanno avuto un ruolo qualitativo per alcune richieste complesse”

La telemedicina ha consentito a circa 5 mila utenti registrati, da marzo 2020 a oggi, di avere circa 25 mila interazioni a cura di 178 professionisti.

E i canali social? “Ci rendiamo conto che serve ancora una educazione digitale e pertanto con varie iniziative abbiamo avvicinato i nostri colleghi all’utilizzo di alcune piattaforme, in particolare Linkedin, e disseminato, con alcune note informative o esortazioni, un uso appropriato dei social- conclude -. La policy interna è stata scritta da noi comunicatori che da oltre dieci anni gestiamo le piattaforme social ed è pubblicata da tempo nella intranet aziendale. L’abbiamo formulata non tanto per assolvere alle direttive quanto per offrire un servizio ai colleghi. In effetti in alcuni momenti si è rivelata strategica e con buon sollievo del management. Gli operatori, sempre più coinvolti e propositivi, contribuiscono alla diffusione di informazioni e aggiornamenti al nostro fianco. Insomma, la responsabilità individuale, ben sollecitata, si conferma una preziosa alleata per la comunicazione sia digitale che analogica”.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario