Fake news sulla salute: una disinformazione che può costare cara al SSN

La disinformazione online rappresenta un serio rischio per la salute della popolazione. I costi sociali ed economici potrebbero essere devastanti. Le istituzioni, l’Ue in particolare, stanno prendendo misure per responsabilizzare i cittadini e le piattaforme online. Ma la strada è lunga e il virus della disinformazione è potente.

Accanto alla pandemia virale con cui conviviamo da un anno e mezzo, ormai facciamo i conti ogni giorno anche con un’altra epidemia mondiale: la disinformazione sulla COVID-19. Potremmo definirla disinfodemia, vale a dire un’infodemia che veicola solo fake news.

False informazioni, veicolate intenzionalmente per confondere e minare la fiducia verso le istituzioni e la scienza. E che si propagano ad una velocità e con una penetrazione che sociologi e psicologi di tutto il mondo faticano a spiegarsi.

NewsGuard, che collabora anche con l’organizzazione Mondiale della Sanità per intercettare le false informazioni online, ha mappato ad oggi 519 siti web che hanno pubblicato disinformazione sulla COVID-19 negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Francia, Germania e Italia.

La Fondazione MESIT (Fondazione per la Medicina Sociale e l’Innovazione Tecnologica) ha realizzato un report sul segmento italiano, insieme a Reputation Manager, società di analisi e gestione della reputazione, e il CEIS-EEHTA dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata dove, analizzando oltre 147.000 pagine online che parlavano di vaccini, ha rilevato come, solo su Facebook e Telegram, 909 mila utenti fossero iscritti a pagine, canali o gruppi sul tema vaccini. E di questi, 457 mila seguissero pagine con orientamento dichiaratamente No Vax.

L’infodemia esisteva già prima della pandemia, ma in questi 18 mesi ha toccato cime inesplorate

La disinformazione in ambito medico può avere risvolti drammatici, perché non vaccinarsi a causa di informazioni false (“i vaccini cambiano il nostro dna”) o assumere prodotti nocivi per curarsi sempre in virtù di fake news (“la candeggina aiuta a combattere l’infezione”) può essere dannoso, se non fatale. Ancora: non vaccinarsi permette al virus di continuare a circolare, gli ospedali continuano a dedicarsi al virus e rimandano esami e interventi per patologie diverse. E tutto questo ha un costo non indifferente per il servizio sanitario nazionale.

Fake news: che cosa sono?

Partiamo da un dato emblematico che ci aiuta a capire di che cosa stiamo parlando. Secondo il rapporto CENSIS  dello scorso aprile, 50 milioni di italiani, pari al 99,4% degli italiani adulti, hanno cercato informazioni sulla pandemia: non era mai accaduto prima.

Hanno cercato e trovato di tutto: perché l’infodemia, che già esisteva prima della pandemia, in questi diciotto mesi ha toccato cime inesplorate. E cosa troviamo in questo tsunami infodemico? Informazione vera, misinformazione e disinformazione.

L’informazione fornisce le notizie più accurate possibili sui fatti ed è basata sulla migliore conoscenza di cui si dispone nel momento in cui se ne scrive. Questo è un dettaglio interessante e la pandemia da COVID-19 ne è stato un caso emblematico: l’informazione cambiava ogni giorno, si aggiornava in continuazione, perché del virus che la causa, il SARS-CoV-2, si sapeva e si sa ben poco. Ma ogni giorno chi offriva informazione in modo corretto, lo faceva attingendo appunto alla migliore conoscenza possibile di quel momento.

La misinformazione, al contrario, è una falsa informazione ma veicolata senza intenzione di ferire o arrecare danno o averne un profitto.

Il classico “non l’ho fatto apposta”, ma il danno comunque è fatto. Succede quando le persone, magari per scopi anche nobili, come aiutare il prossimo, condividono informazioni false senza sapere che sono false e soprattutto ignorando la pericolosità delle stesse.

La disinformazione è dolo puro. È una falsa informazione veicolata con il preciso scopo di ferire, confondere o trarre comunque un profitto. In questa pandemia la disinformazione pare avere il preciso scopo di erodere la fiducia delle persone verso le istituzioni e la ricerca clinica.

Il web rimane l’ambiente privilegiato in cui si producono e si sviluppano disinformazione e notizie false

E possiamo anche scendere un po’ più nel dettaglio, individuando delle sottocategorie, come quelle identificate da Fondazione MESIT:

  • Fonte falsa: attribuire a una fonte attendibile una notizia falsa.
  • Contesto falso: ad esempio foto attribuite a eventi falsi e quindi decontestualizzate.
  • Contenuto strumentale/ideologico: può essere condiviso per attaccare un target definito utilizzando una delle altre modalità di diffusione.
  • Contenuto ingegnerizzato: tipicamente il deep fake, ma anche fotomontaggi, etc.
  • Contenuto non aggiornato: informazioni obsolete diffuse come attuali.

E dove cercano le informazioni gli italiani? In rete, certo, ma non come primo posto. Sempre secondo il CENSIS, infatti, nel 2020 il 75,5% degli italiani ha cercato informazioni nei tg o nelle trasmissioni televisive, sui giornali e alla radio. Il 51,8% sui siti web istituzionali (Istituto Superiore della Sanità e Protezione Civile) mentre il 30% si è rivolto ai social network. Quote inferiori si sono rivolte ad altre fonti di informazioni fuori dal circuito mediatico, come medici ed esperti.

Il web, in ogni caso, rimane l’ambiente privilegiato in cui si sono prodotte e si sono sviluppate disinformazione e notizie false: 29 milioni di italiani hanno dichiarato di essersi imbattuti, durante l’emergenza sanitaria, in notizie web poi rivelatesi sbagliate.

Fake news: un pericolo per la salute

Le fake news più diffuse in ambito salute sono al momento, come è lecito aspettarsi, quelle che riguardano i vaccini anti-COVID.

Secondo l’analisi della Fondazione MESIT, l’attenzione al tema dei vaccini anti Covid-19 ha raggiunto picchi di attenzione e conversazione senza precedenti.

Tra i contenuti potenzialmente fake relativi ai vaccini, uno su due riguarda la pericolosità degli effetti avversi (49,3%). La seconda categoria più popolata riguarda la natura sperimentale del vaccino (18,2% delle conversazioni potenzialmente fake), dove si incontrano fake news sulla mancanza di dati sperimentali e sui potenziali effetti catastrofici dei vaccini anti COVID-19 sulla popolazione. Risultano riscuotere interesse anche le conversazioni sulla composizione del vaccino (11,3%) e sugli interessi economici delle case farmaceutiche produttrici (10,9%).

Infine, sempre secondo il rapporto MESIT, tra marzo e maggio 2021, gli utenti No Vax COVID-19 sono più che raddoppiati (+136%).

Tutto questo ha avuto un effetto sulla campagna vaccinale, che in estate ha rallentato per poi riprendere a settembre, anche sotto la spinta delle nuove applicazioni del Green Pass.

Le fake news più diffuse in ambito salute sono al momento quelle sui vaccini anti-COVID

Ma quanti sono in effetti i No Vax e gli indecisi sulla vaccinazione, su cui le fake news potrebbero attecchire?

Secondo uno studio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, pubblicato su EclinicalMedicine-The Lancet, in Italia ci sono circa 2,7 milioni di esitanti e uno zoccolo duro di No Vax di circa 850.000 persone. Se questi ultimi non sono convincibili, per gli autori dello studio invece si può fare qualcosa per gli indecisi, a cominciare proprio da una comunicazione più efficace sui social, scevra da tutta quella disinformazione che, come abbiamo visto, normalmente la contraddistingue.

Se non si fa nulla, le conseguenze possono essere catastrofiche. Come evidenzia Marcella Marletta, esperta di sanità pubblica ed ex Direttore generale della Direzione dei farmaci, dei dispositivi medici e della sicurezza delle cure del Ministero della salute: “Una ricerca pubblicata sull’American Journal of Tropical Medicine and Hygiene ha fatto emergere un dato statistico importante sulle morti indirette correlate alle fake news. L’analisi su soli tre mesi del 2020, su 6.000 persone, ci rivela che 800 potrebbero essere morte a causa di fake news sul modo di trattare l’infezione da COVID. Come afferma il rapporto MESIT, le fake news non sono nate oggi, ma oggi rappresentano un problema globale senza precedenti. L’avvento del digitale ha fatto sì che esse si sviluppassero in modo sempre più sofisticato, acquisendo una velocità di diffusione e contaminazione mai viste prime, andando a minare le basi della nostra società”.

Lo stesso direttore dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, già nei primi mesi della pandemia affermava: “Non stiamo combattendo solo il virus, ma anche i troll e i teorici della cospirazione che spingono la disinformazione e minano la risposta all’epidemia”.

E ancora prima dell’arrivo dei vaccini anti-COVID, le fake news avevano già mietuto vittime, ricorda l’OMS. In Iran, centinaia di persone sono morte dopo aver bevuto alcol metanolo, spinti dai messaggi sui social media che ne affermavano l’utilità per curare l’infezione da coronavirus. Ancora, affermazioni false come “bere candeggina può curare le infezioni da coronavirus” hanno portato molte persone a provarci: il centro antiveleni del Belgio ha registrato un aumento del 15% del numero di incidenti legati all’uso di candeggina.

Quanto può costare la disinformazione al Servizio Sanitario Nazionale?

Per quanto riguarda i costi sanitari, non è difficile comprendere come ospedalizzazioni e morti dovute alle conseguenze delle fake news possano impattare sui costi del SSN.

“Recenti studi – spiega Francesco Saverio Mennini, direttore del CEIS-EEHTA (Centre for Economic and International Studies: Economic Evaluation and HTA) dell’Università Tor Vergata di Roma – hanno evidenziato come la disinformazione sul COVID-19 e sulle vaccinazioni produca costi sociali ed economici altissimi. Basti pensare che il costo medio di una ospedalizzazione per COVID, pari a più di 8.000 Euro (con valori massimi prossimi ai 60.000 Euro), può avere una degenza media pari a 16 giorni (con valore massimo fino a 65 giorni di degenza). Accanto a queste evidenze, molto preoccupanti in termini di impatto sulla spesa ma anche sulla gestione e organizzazione dell’assistenza ospedaliera, trova riscontro un altro dato molto importante relativo all’impatto sul PIL di un eventuale ritardo nel raggiungimento delle coperture vaccinali ottimali. Un recente nostro studio (Mennini FS e Favato G, 2021) ha infatti dimostrato come ‘correre’ nelle vaccinazioni è necessario non solo per salvare più vite, ma anche per evitare che si apra una nuova grande faglia nell’economia del nostro Paese”.

Il costo medio di una ospedalizzazione per COVID supera gli 8.000 Euro e può raggiungere i 60.000 Euro

“Il possibile ritardo nel raggiungimento dell’immunità di gregge – riprende Marletta – potrebbe avere un impatto di 200 miliardi sul Pil spalmato tra quest’anno (94 miliardi) e il prossimo (106 miliardi): in pratica quasi 6 punti di Pil ogni anno dopo il -8,9% fatto segnare nel 2020. Un disastro, insomma. Se invece la campagna vaccinale si velocizzasse nuovamente si potrebbe ottenere una crescita di 5 miliardi (0,3%) già nel 2021 per arrivare a 10 miliardi nel 2022”.

Accanto a queste evidenze, ci sono da rilevare anche altri costi indiretti delle fake news.

Come segnalato dalla ConFederazione degli Oncologi, Cardiologi e Ematologi (FOCE), in questo periodo si sono cancellati oltre 2 milioni di esami di screening, con evidenti future ripercussioni sullo stato di salute di questi pazienti: tutto questo comporterà un aumento dei costi diretti e indiretti per il SSN.

“Alla luce di queste evidenze – riprende Mennini – ne consegue che l’impatto di una notizia falsa, soprattutto in sanità, non lo si paga esclusivamente in termini di maggiore spesa ma anche in vite umane, e che servono strumenti robusti per contrastare le fake news e gli effetti distorsivi che generano”.

Come contrastare il fenomeno

Ci stanno provando in tutto il mondo. Ma pare che ogni azione, per quanto impegno ci si metta, non aiuti o aiuti poco a estirpare il virus della disinformazione.

Perché è una comunicazione che parla alla pancia delle persone, intercetta le paure e le amplifica. Sono notizie costruite per sembrare vere. Che contengono una parte di verità (ad esempio i dati) ma comunicata in modo distorto. Attecchiscono sui social perché sui social le informazioni si possono condividere a una velocità impressionante. Proprio come il virus che stiamo combattendo. Solo che, a differenza di questo, al momento per la disinformazione non esiste vaccino.

Il fenomeno delle fake news non è nato con la pandemia. C’è sempre stato. Come spiega un’indagine Eurobarometro svolta su circa 26.000 cittadini europei, già nel 2018 il 37% degli intervistati aveva detto di incappare in notizie false ogni giorno, mentre l’83% percepiva le fake news come un problema per la democrazia in generale. Secondo gli intervistati, spettava a giornalisti, autorità nazionali e direzione della stampa e delle emittenti il compito di arrestare la diffusione di notizie false.

Questo era quanto si auspicava tre anni fa.

Sui social si può avere accesso alle informazioni più in linea con i nostri valori e attingere solo a quelle, mentre sui media tradizionali incontriamo informazioni diverse

Oggi i dati e le aspettative sulla gestione del fenomeno sono diversi: secondo l’Ue, il 63% dei giovani europei incontra notizie false più di una volta alla settimana e il 51% degli europei ritiene di essere stato esposto alla disinformazione online.

E anche la risposta su come arginare il fenomeno è diversa. Sempre secondo la ricerca del CENSIS, per gli italiani occorre rivedere il sistema normativo e sanzionatorio (56,2% del totale) prevedendo pene più severe per chi diffonde deliberatamente false notizie. Il 52,2% degli italiani pone l’accento sull’obbligo da parte delle piattaforme di rimuovere le fake news; il 41,5% degli italiani è convinto che i social media debbano attivare dei sistemi di controllo (il cosiddetto fact checking) delle notizie pubblicate, con quote che superano il 50% tra i giovani al di sotto dei 34 anni.

Oggi sappiamo che un argine alle fake news non può che venire prima di tutto dalle stesse piattaforme online, che non possono continuare a prendere le distanze dai contenuti che permettono di pubblicare. E dal modo con cui permettono di costruire “echo chamber” della disinformazione.

Andrea Barchiesi, dirigente di Reputation Manager, azienda che ha collaborato con Fondazione MESIT nella redazione del report, prova a dare una spiegazione: “Sui social si può avere accesso alle informazioni più in linea con i nostri valori e attingere solo a quelle. Mentre sui media tradizionali incontriamo informazioni diverse, che non si possono selezionare con la stessa facilità. Facebook, ad esempio, si può personalizzare secondo le proprie esigenze e credenze e così le persone, immerse in quelle che possiamo definire echo chamber, leggono solo quello che è in linea con i loro pensieri e si confrontano solo con chi la pensa allo stesso modo. È questa impostazione che alimenta la polarizzazione e lo scontro a cui stiamo assistendo”.

Dietro tutto questo non c’è una forza oscura. È tutto fatto per mero business.

Le piattaforme online, come vedremo tra poco, stanno tentando di collaborare per arginare questi fenomeni, ma su questo devono intervenire anche i Governi.

La situazione in Italia

In Italia, per limitare le false informazioni, le istituzioni sono scese in campo con varie iniziative. Tra queste, il portale del Ministero della Salute e il vademecum dell’Istituto Superiore di Sanità.

Pochi giorni fa è nato l’IDMO, l’Italian Digital Media Observatory (Osservatorio italiano sui media digitali). Si tratta di un organismo che fa parte degli 8 hub nazionali nati all’interno dell’European digital media observatory ideato dalla Commissione Ue con l’obiettivo di costituire un punto di riferimento per l’analisi e il contrasto alla disinformazione. Con un finanziamento iniziale di 11 milioni di euro, gli hub dovrebbero combattere le fake news, studiarne l’impatto sulle società e proporre buone pratiche sull’uso degli strumenti digitali, attraverso formazione e fact-checking. IDMO sarà realizzato con il coordinamento dall’Università “Luiss Guido Carli” insieme a Rai, Tim, Gruppo Gedi La Repubblica, Università di Tor Vergata, T6 Ecosystems, Newsguard, Pagella Politica e con la collaborazione di Alliance of Democracies Foundation, Corriere della Sera, Fondazione Enel, Reporters Sans Frontières, The European House Ambrosetti.

L’Ue e il codice di buone pratiche per le piattaforme online

La Commissione Ue sul proprio sito ha creato una sezione specificamente dedicata alla disinformazione dove confuta regolarmente, in tutte le lingue dell’UE, i miti più diffusi sul coronavirus.

Ma l’Unione Europea sul fronte della lotta alle fake news è attiva da tempo.

Nel 2015 l’Ue ha lanciato la “Task force East StratCom” per fronteggiare la campagna di disinformazione portata avanti allora dalla Russia. Nel 2018 viene approvata la Comunicazione sulla lotta alla disinformazione online, che annuncia, tra l’altro, il codice di buone pratiche sulla disinformazione che viene approvato ad ottobre dello stesso anno.

L’Unione Europea è attiva da tempo sul fronte della lotta alle fake news

Si tratta di uno strumento di autoregolamentazione innovativo per garantire una maggiore trasparenza e responsabilità delle piattaforme online e migliorarne le politiche in materia di disinformazione. Ed è su questo che le istituzioni europee stanno ora concentrando gli sforzi, per rafforzarlo e responsabilizzare maggiormente i colossi della Rete. Nell’ottobre 2018, il codice è stato firmato da Facebook, Google, Twitter e Mozilla, nonché dalle associazioni di categoria che rappresentano le piattaforme online, l’industria pubblicitaria e gli inserzionisti. Microsoft ha aderito al Codice nel 2019. Ad oggi i firmatari sono invitati a riferire mensilmente in merito alle loro azioni per combattere la disinformazione connessa al coronavirus.

A giugno 2020, in piena pandemia, la Commissione Ue ha emanato una comunicazione congiunta – “Tackling COVID-19 disinformation – Getting the facts right” – che si concentra sulla risposta diretta alla disinformazione che circonda la pandemia di coronavirus, esamina le misure già adottate ed esplora azioni concrete che possano essere avviate rapidamente sfruttando le risorse esistenti.

Il 2021 è dedicato al rafforzamento del Codice di buone pratiche istituito nel 2018. È un’idea innovativa, ma ad oggi si basa su segnalazioni volontarie e i dati comunicati non sono verificabili.

L’Ue vuole rafforzarlo. Con un’apposita guida emanata lo scorso 26 maggio, la Commissione prevede di inserire altre misure, tra cui:

  • Partecipazione più ampia: al codice possono aderire anche le parti interessate nell’ecosistema della pubblicità online, ai servizi di messaggistica privata e attori che possono contribuire con risorse o competenze all’effettivo funzionamento del Codice.
  • Demonetizzazione della disinformazione: piattaforma e attori della pubblicità online devono scambiarsi informazioni sugli annunci di fake news rifiutati da uno dei firmatari, migliorando la trasparenza e la responsabilità in merito ai posizionamenti degli annunci e impedendo la partecipazione di attori che pubblicano sistematicamente contenuti smentiti, falsi, sbagliati.
  • Lotta alle manipolazioni: il Codice rafforzato dovrebbe fornire una copertura completa delle forme emergenti di comportamento manipolativo utilizzate per diffondere disinformazione (come bot, deep fake, account falsi, campagne di manipolazione organizzata, acquisizione di account).
  • Formazione dell’utenza: gli utenti devono poter navigare sui social in modo consapevole e avere gli strumenti per segnalare le fake news in modo incisivo e per sapere se il contenuto che stanno condividendo è stato segnalato come fake. I firmatari devono rendere trasparenti i propri sistemi di raccomandazione, ovvero il modo in cui gli utenti vedono i contenuti, e adottare misure per mitigare i rischi di un contenuto fake.
  • Monitoraggio costante: il Codice dovrebbe includere un monitoraggio basato su chiari KPI che misurino i risultati e l’impatto delle azioni intraprese dalle piattaforme, nonché l’impatto complessivo del Codice sulla disinformazione nell’UE.

Infodemic Manager, una nuova figura professionale prevista dall’OMS

Per cercare di controllare l’infodemia di COVID-19, anche l’OMS sta portando avanti numerose iniziative.

A inizio pandemia ha lanciato il progetto Stop the Spread, per sensibilizzare il pubblico sul volume di disinformazione intorno a COVID-19 e incoraggiare le persone a ricontrollare le informazioni prima di condividerle.

Reporting Misinformation, lanciato ad agosto, ha incoraggiato le persone non solo a verificare le informazioni, ma ha mostrato loro come segnalare la disinformazione sulle varie piattaforme di social media.

L’Infodemic Manager avrà il compito di guidare l’empowerment, l’istruzione e la formazione dei dipendenti delle istituzioni sanitarie

Ma vista la portata dell’infodemia, l’OMS sta lavorando anche per formare i futuri infodemic manager. Lo scorso 20 settembre l’organizzazione ha rilasciato un nuovo quadro di competenze, Costruire una forza lavoro di risposta per gestire l’infodemia che mira a rafforzare gli sforzi a livello nazionale per gestire l’infodemia delineando un insieme di conoscenze per guidare l’empowerment, l’istruzione e la formazione dei dipendenti delle istituzioni sanitarie. Il framework può essere utilizzato come strumento di riferimento nella pianificazione delle capacità di gestione dell’infodemia, della formazione o dei team e può essere adattato per essere applicato al contesto e alle esigenze locali. L’OMS utilizzerà questo nuovo quadro per sviluppare curricula e programmi di formazione attraverso l’Accademia dell’OMS, che fornirà certificati agli operatori sanitari di tutto il mondo.

 

Sebbene l’infodemia non possa essere fermata, può essere gestita attraverso campagne e collaborazioni tra piattaforme e istituzioni. Oltre a questo, mostrare alle persone come riconoscere e segnalare la disinformazione e come migliorare la propria alfabetizzazione digitale è fondamentale per invertire la rotta delle fake news, salvare vite ed evitare il collasso dei sistemi sanitari.

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Angelica Giambelluca
Giornalista professionista in ambito medico