Smartphone contro l’ictus: studio del Policlinico Campus Bio-Medico di Roma

I ricercatori hanno appurato l’efficacia di strumenti tecnologici collegabili al telefonino e di semplice uso per i pazienti nella prevenzione secondaria di eventi cerebrovascolari

Smartphone per prevenire l’ictus, una patologia che colpisce all’incirca 200 mila italiani ogni anno: uno studio condotto da un team di ricercatori del Policlinico Campus Bio-Medico di Roma – pubblicato sulla rivista Frontiers in Neurology – ha valutato la fattibilità dell’utilizzo delle nuove tecnologie nella prevenzione secondaria degli eventi cerebrovascolari in pazienti che avevano avuto un attacco ischemico transitorio o TIA (transient ischemic attack) oppure un “minor stroke” (ischemia cerebrale con sintomi lievi).

Sono stati reclutati 161 pazienti (87 nel gruppo di studio e 74 nel gruppo di controllo), monitorati per un mese utilizzando uno smartwatch di ultima generazione in grado di registrare l’elettrocardiogramma e altri dispositivi collegabili al medesimo smartwatch che consentivano di effettuare sia la misurazione della pressione arteriosa sia la saturazione di ossigeno nel sangue. Durante il mese di osservazione questi dispositivi interagivano via bluetooth con lo smartphone fornito dai ricercatori sul quale venivano registrati i dati acquisiti.

L’idea dello studio nasce dall’esigenza di monitorare i pazienti affetti da attacco ischemico transitorio o ischemia cerebrale lieve anche dopo la dimissione

Al paziente veniva richiesto di indossare il più possibile lo smartwatch per la registrazione continuativa di vari parametri (come frequenza e variabilità del ritmo cardiaco, movimento, passi) e di eseguire almeno due volte al giorno la misurazione della pressione arteriosa, la valutazione della saturazione di ossigeno e la registrazione dell’elettrocardiogramma. Tali dati venivano poi integrati con la “classica” valutazione clinica per avere un quadro più dettagliato e preciso dello stato di salute globale del paziente nonché per poter personalizzare le decisioni terapeutiche.

Nel gruppo di studio sono stati identificati 9 episodi di fibrillazione atriale contro i 3 identificati nel gruppo di controllo.

“Il numero di fibrillazioni atriali riscontrate nel gruppo dei pazienti oggetto dello studio è notevole – spiega Vincenzo Di Lazzaro, ordinario di neurologia, direttore dell’Unità di neurologia presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e responsabile dello studio –, la fibrillazione atriale è un “killer silenzioso” perché spesso è asintomatica, il paziente può non accorgersi fino a quando non si manifestano le sue disastrose conseguenze che possono condurre fino a un’embolia cerebrale”.

Osservazione clinica del paziente: il ruolo delle nuove tecnologie

“L’idea dello studio nasce dall’esigenza di monitorare i pazienti affetti da attacco ischemico transitorio o ischemia cerebrale lieve (il “minor stroke”, appunto) anche al di fuori del contesto ospedaliero. Chi si occupa del trattamento e della gestione delle malattie cerebrovascolari sa bene che la fase immediatamente successiva al ricovero è quella a maggior rischio di recidiva e, pertanto, quella in cui è necessaria una più stretta sorveglianza del paziente. Tutto ciò, però, contrasta con i tempi della sanità moderna per la quale è necessario un turnover rapido dei posti letto. Abbiamo quindi immaginato che le moderne tecnologie potessero aiutarci a superare tale limite, permettendoci di tenere vicino il paziente – almeno virtualmente – in questa fase delicata”.

Così Di Lazzaro spiega la genesi dello studio, precisando poi che “la fase preparatoria è stata lunga proprio poter rispondere al meglio a questa esigenza, scegliendo accuratamente a quali tecnologie affidarsi. Da questo punto di vista, è stato fondamentale il sostegno di Fondazione ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici), che ha supportato il nostro progetto fin dalle fasi iniziali”.

Parliamo di un approccio innovativo fattibile e di semplice applicazione, che è risultato efficace anche nel migliorare la gestione delle fasi successive alla dimissione del paziente dall’ospedale.

Quando il paziente torna alla sua vita normale – fa presente Francesco Motolese, neurologo del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e co-autore dello studio – il rischio di recidiva è più alto. Cercavamo un approccio che non fosse soltanto efficace ma anche facilmente attuabile da tutti i pazienti, a prescindere da età, alfabetizzazione digitale o scolarizzazione”.

Analisi dei dati raccolti dal monitoraggio della pressione arteriosa

Se il numero di fibrillazioni atriali rilevate nel gruppo dei pazienti al centro dello studio è rilevante, lo sono altrettanto i dati raccolti sulla misurazione della pressione arteriosa.

“Questi dati ci consentono di avere un quadro dell’andamento dei valori pressori nella vita quotidiana. Raccogliere dati nella quotidianità è fondamentale per programmare interventi di prevenzione personalizzati”.

L’utilità delle nuove tecnologie – come ad esempio l’intelligenza artificiale al servizio di medici, pazienti e caregiver per la gestione delle fasi acute e croniche dell’ictus ischemico – “apre nuovi scenari per la prevenzione degli eventi cerebrovascolari, nell’ambito della cosiddetta medicina di precisione”, puntualizza il direttore dell’Unità di neurologia presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico.

Raccogliere dati nella quotidianità è fondamentale per programmare interventi di prevenzione personalizzati

Non esimendosi, poi, da una considerazione a più ampio raggio. “Quello delle nuove tecnologie è certamente un argomento molto in voga negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia da SARS-CoV2. Questo vuol dire grande competizione fra i vari gruppi di ricerca, ma ha anche portato alla “fioritura” di molti studi interessanti. Il nostro si colloca in questo solco: le nuove tecnologie sono certamente efficaci nel misurare determinati parametri, hanno senz’altro un’efficacia clinica tangibile ma ci sono elementi che ne limitano la diffusione nella pratica. Non ultimo, il problema della gestione di una mole di dati notevole – ai quali non siamo abituati e a cui spesso non siamo neanche stati istruiti a leggere/analizzare – e della privacy dei dati personali. In tal senso, sia i punti di forza che le problematiche delle nuove tecnologie sono evidenziati in maniera trasversale dai vari gruppi di studio”.

Dunque, fermo restando che “i nostri dati sono incoraggianti, così come confermato anche da molte altre ricerche internazionali sul tema”, a livello generale Di Lazzaro spiega: “Siamo lontani da una piena implementazione delle nuove tecnologie nella pratica clinica però è necessario fare uno sforzo per superare tali difficoltà in quanto i potenziali “dividendi” di questo investimento sono di assoluto valore: una miglior gestione clinica del paziente incorso in malattia cerebrovascolare e, quindi, un numero maggiore di vite salvate”.

Sul tema interviene Fioravante Capone, neurologo del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e co-autore dello studio, sottolineando che “i dati presenti in letteratura ci dicono che dopo un ictus o un TIA, ci sia un rischio non trascurabile di recidiva, cioè che l’evento possa ripetersi nel periodo successivo. Tale rischio è quantificabile nel 15-20% dei pazienti a 5 anni dal primo evento, in particolare nelle fasi immediatamente successive a TIA o ictus. È significativo osservare che, sebbene la gestione dell’ictus in fase acuta sia notevolmente migliorata – come dimostrato dalla netta diminuzione della mortalità nel corso degli ultimi due decenni – il tasso di recidiva dell’ischemia cerebrale è rimasto sostanzialmente invariato, ad indicare che c’è ancora tanto da fare in merito. L’insieme degli interventi finalizzati a ridurre il rischio di recidiva è ciò che intendiamo con il termine prevenzione secondaria”.

Compliance terapeutica: come la tecnologia può migliorarla

Il team di ricercatori del Policlinico Campus Bio-Medico si è detto piacevolmente stupito del livello di compliance dei propri pazienti.

La quasi totalità dei pazienti ha aderito al programma prescritto con entusiasmo e questo ha portato all’identificazione di 9 fibrillazioni atriale, oltre alla raccolta di dati di qualità

“Il progetto nasceva proprio come studio di fattibilità perché volevamo, in primis, verificare come un approccio basato su smartphone, smartwatch e altri dispositivi potesse funzionare nella vita quotidiana – prosegue Di Lazzaro – Questo voleva dire coinvolgere pazienti “reali”, con le loro inevitabili differenze in termini di conoscenza delle tecnologie, scolarizzazione e, non ultima, motivazione. Abbiamo invece subito rilevato un grande entusiasmo nella partecipazione allo studio che si poi è tradotto in un’ottima e, per certi versi inaspettata, qualità dei dati raccolti. In termini pratici, ad esempio, questo ci ha permesso di osservare un numero non trascurabile di fibrillazioni atriali, nonostante la durata tutto sommato limitata del periodo di osservazione”.

E in termini di feedback dei pazienti? Quali risposte avete avuto? “È stato molto positivo – replica Di Lazzaro –, la compliance rappresentava per noi un grosso interrogativo all’inizio dello studio. Difatti, sebbene molti parametri venissero raccolti in continuo dai vari dispositivi, per altri, come il ritmo cardiaco, era necessaria l’attiva partecipazione del paziente più volte al giorno. Ebbene, le nostre preoccupazioni sono state vane perché la quasi totalità dei pazienti ha aderito al programma prescritto con entusiasmo, evidentemente percependo l’importanza di quei semplici gesti”.

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Massimo Canorro
Giornalista specializzato in salute e sanità