Sperimentazione clinica in pediatria, a che punto siamo in Italia?

Scarso ritorno economico per le aziende farmaceutiche, resistenza da parte dei genitori a far partecipare i figli agli studi ed esiguità del numero di pazienti malati. Questi sono alcuni dei motivi per cui la sperimentazione clinica in pediatria risulta così difficoltosa. Grazie a nuovi regolamenti la situazione è in parte migliorata, ma non a sufficienza per soddisfare le esigenze terapeutiche

I bambini non possono essere considerati piccoli adulti. Le differenze anatomiche, fisiologiche e dello sviluppo dei vari organi sono enormi, anche tra le diverse fasce di età. Per questo motivo, i farmaci andrebbero opportunamente studiati sulla popolazione pediatrica prima di essere somministrati, cosa che, ancora oggi, nonostante i numerosi progressi, non è ancora garantita. Il numero di sperimentazioni cliniche effettuate sui bambini, infatti, è decisamente più basso rispetto alle esigenze terapeutiche.

Criticità legate alla sperimentazione clinica pediatrica

I bambini, fortunatamente, nella maggior parte dei casi rappresentano una popolazione sana, la cui spesa farmaceutica è molto ridotta. Stando all’ultimo Rapporto Nazionale OsMed 2020 sull’uso dei farmaci in Italia, la spesa relativa a soggetti di età compresa tra 0 e 17 anni, è stata di 202,7 milioni sui 30,5 miliardi di spesa totale, vale a dire meno dell’1% (0,66%). Situazione simile si è verificata anche l’anno precedente, senza che fosse presente alcun condizionamento pandemico: nel 2019 la spesa per farmaci pediatrici ha rappresentato solamente 273 milioni sui 30,8 miliardi totali (0,88%).

Lo scarso ritorno economico, dunque, disincentiva fortemente le industrie farmaceutiche a studiare farmaci con indicazione pediatrica, in modo particolare se il farmaco è già presente sul mercato farmaceutico per gli adulti.

Carlo Giaquinto“Molte patologie – spiega Carlo Giaquinto, Professore Ordinario del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino dell’Università di Padova e Presidente della Fondazione Penta ONLUS, ente di ricerca scientifica dedicata alla salute dei bambini – sono orfane di farmaco perché, essendo rare nella popolazione pediatrica, il numero di pazienti necessari per completare le sperimentazioni cliniche è superiore rispetto ai bambini che presentano la malattia. È il caso della sclerosi multipla, patologia tipica dell’adulto che nel 5-10% dei casi esordisce già in età pediatrica”.

Penta è una rete internazionale per la ricerca indipendente, che si dedica alla ricerca scientifica a favore della salute dei bambini. Nata nel 1991 come network europeo per il trattamento dell’HIV pediatrico, nel corso del tempo ha esteso il proprio portfolio di studi ad altre malattie infettive pediatriche, come l’epatite, la tubercolosi, le malattie fungine e la sepsi.

Inoltre, la ricerca clinica sui bambini solleva molte preoccupazioni etiche, oltre che scientifiche.

Antonio Clavenna

“Enormi difficoltà – racconta Antonio Clavenna, ricercatore presso il Laboratorio per la Salute Materno Infantile dell’IRCCS Mario Negri di Milano – sono comprensibilmente riscontrate nel convincere i genitori a dare il consenso perché i propri figli partecipino allo studio. Mamme e papà sono preoccupati non solo della sicurezza dei farmaci e dei loro possibili effetti avversi, ma anche dell’invasività delle procedure a cui i figli, soprattutto se neonati, verranno esposti durante la sperimentazione”.

L’importanza del consenso informato

Fondamentale per spiegare al meglio la situazione relativa allo studio a genitori e bambini, se sufficientemente grandi da poter apprendere, è l’utilizzo del consenso informato. Questa autorizzazione, utilizzata in Italia, deve essere espressa da un paziente o da un tutore se il soggetto è minorenne, per ricevere un qualunque trattamento sanitario. Il paziente, infatti, ha il diritto e il dovere di conoscere tutte le informazioni disponibili sulla propria salute e la propria malattia, potendo chiedere agli operatori sanitari tutto ciò che non è chiaro, e deve avere la possibilità di scegliere, in modo informato, se sottoporsi a un determinato trattamento o meno.

“Nell’ambito della ricerca clinica in pediatria – prosegue Antonio Clavenna – sarebbe importante possedere diversi modelli di consenso informato che utilizzino linguaggi e forme di comunicazione differenti a seconda dell’età del bambino a cui sono destinati, sfruttando, ad esempio, immagini e vignette. I soggetti minorenni, infatti, pur non potendo esprimere un consenso, è caldamente consigliato diano il loro assenso alla partecipazione allo studio, che può essere fornito coscientemente solo dopo aver compreso al meglio la situazione, spiegata con gli opportuni mezzi”.

La presenza di consensi informati dettagliati, chiari, adatti alle diverse età e gruppi linguistici può incentivare la partecipazione agli studi clinici pediatrici

“È importante non solo l’utilizzo di un linguaggio adeguato – ricorda il professor Carlo Giaquinto –, ma anche di una lingua comprensibile. Non va dimenticato, infatti, che in Italia la quota di stranieri è rilevante e bisogna garantire a tutti i genitori la possibilità di comprendere al meglio quanto viene loro spiegato. La sperimentazione è un diritto: privare un bambino della possibilità di partecipare a uno studio perché i genitori non comprendono la lingua e noi ricercatori non riusciamo a farci capire, non è giusto. Dobbiamo garantire la possibilità di poter scegliere, ad esempio, dotando i vari Clinical Trial Centers delle figure necessarie a spiegare con tutta calma i contenuti del consenso ed, eventualmente, a tradurli”.

La speranza è che la situazione relativa alla presenza di consensi informati dettagliati, chiari, adatti alle diverse età e gruppi linguistici vada incontro ad una omogenizzazione sempre maggiore, così da incentivare genitori e ragazzi alla partecipazione ai vari studi. Solo così sarà possibile garantire farmaci sicuri, testati opportunamente sulla popolazione pediatrica.

Regolamento Pediatrico Europeo del 2007: miglioramenti e limiti

Fino al 2007, oltre il 60% dei farmaci usati in ambito ospedaliero nei bambini – percentuale che arrivava all’80% nei neonati –, erano ad uso off-label, privi dunque dell’indicazione pediatrica. Questa tendenza può essere associata a un maggior rischio di reazioni avverse ai farmaci.

Per incentivare la sperimentazione clinica in pediatria, il Parlamento Europeo nel 2006 ha definito il “Paediatric Regulation”, regolamento pediatrico entrato in vigore nell’Unione europea il 26 gennaio 2007.

Il suo obiettivo era quello di migliorare la salute dei bambini in Europa, facilitando lo sviluppo e la disponibilità di farmaci per i soggetti da 0 a 17 anni.

Questo regolamento prevedeva sostanzialmente due grandi cambiamenti volti a incentivare la sperimentazione clinica pediatrica. Il primo, in caso di sperimentazione anche sui bambini, contemplava l’estensione del brevetto del farmaco per sei mesi. Il secondo, invece, per ricevere l’autorizzazione al commercio di un nuovo farmaco per l’adulto, definiva la necessità di presentare un Paediatric Investigation Plan (PIP), ovvero un piano di sviluppo pediatrico che assicurasse anche la sperimentazione in pediatria. Le uniche patologie che non necessitavano di un PIP erano quelle non esistenti nella popolazione pediatrica, come ad esempio l’Alzheimer.

Il Regolamento Ue del 2007 prevede l’estensione del brevetto per 6 mesi per farmaci sperimentati anche in pediatria e la necessità di presentare un Paediatric Investigation Plan (PIP)

“Inizialmente, a seguito dell’adozione di questo regolamento – ricorda il professor Giaquinto –, gli studi presentati erano estremamente complessi, cosa che si traduceva in una difficoltà e impossibilità nell’effettuare gli studi nel concreto. Negli ultimi anni le sperimentazioni sono state semplificate ed è stata introdotta la possibilità di estrapolare, soprattutto per gli adolescenti, i dati disponibili provenienti da studi condotti sugli adulti, permettendo di ridurre il numero di soggetti pediatrici da arruolare. Questo ha portato a un numero molto maggiore di sperimentazioni nel bambino”.

Nell’ottobre 2017, la Commissione Europea ha pubblicato un rapporto decennale sull’attuazione del regolamento pediatrico, mostrando un aumento dei farmaci per i bambini in molte aree terapeutiche, in particolare in reumatologia e nelle malattie infettive. Tuttavia, mostra anche che sono stati fatti pochi progressi nelle malattie che colpiscono solo i bambini o in cui la patologia mostra differenze biologiche tra grandi e piccoli, in particolare le malattie rare.

Introduzione del Regolamento Europeo 536/2014: che cosa è cambiato da gennaio 2022

A partire dal 31 gennaio 2022, risulta applicabile il Regolamento Europeo 536/2014 (che abroga la precedente direttiva 2001/20). Questo regolamento è volto ad armonizzare il complesso processo di valutazione e autorizzazione della sperimentazione clinica in Europa, condotta da più stati membri. Grazie ad un’unica valutazione congiunta e a tempistiche definite e certe, una sperimentazione clinica potrà avere inizio nei diversi Paesi europei nello stesso momento.

“Considerando la grande difficoltà ad arruolare un numero sufficiente di bambini nelle sperimentazioni cliniche con farmaci – riflette Carlo Giaquinto – risulta molto positiva l’introduzione del Clinical Trials Information System (CTIS), il portale per la gestione di tutte le sperimentazioni in Europa, utile per lo scambio di informazioni e i processi decisionali tra gli stati membri e all’interno degli stessi.  Questo sistema dovrebbe permettere una centralizzazione informatizzata delle richieste di autorizzazione per la sperimentazione clinica dei farmaci: sarà l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) a gestire centralmente questo sistema. Verrà fatta una richiesta sola, automaticamente trasmessa ai comitati etici e alle autorità regolatorie dei vari stati membri che, spesso, non hanno la competenza per valutare importanza o caratteristiche di una sperimentazione pediatrica, portando a blocchi e interruzioni che ovviamente creano rallentamenti nei processi di sperimentazione”.

Molto positive sono l’introduzione del portale unico Clinical Trials Information System (CTIS) e la riorganizzazione dei comitati etici

La riorganizzazione dei comitati etici rappresenta un punto cardine del regolamento, volta a ridurre le tempistiche di attivazione dei centri sperimentali, in quanto da essi dipende il rilascio dell’autorizzazione. La loro efficienza è la diretta conseguenza delle procedure interne e dell’adeguatezza del personale delle rispettive segreterie tecnico-scientifiche, spesso prive di esperienza e non totalmente dedicate a questo compito. Si punta a una sostanziale riduzione numerica, arrivando a un numero massimo di 40 Comitati etici territoriali oltre ai 3 Comitati etici a valenza nazionale. “L’Italia – spiega fiducioso il professor Carlo Giaquinto – credo sia assolutamente vicina all’effettiva attuazione dei decreti riguardanti sia comitati etici, sia informatizzazione delle richieste di autorizzazione dei vari studi”.

Il futuro della sperimentazione clinica in pediatria

“Il mio auspicio – conclude il dottor Antonio Clavenna – è quello che gli studi clinici in pediatria siano sempre più orientati a dare una risposta ai bisogni concreti di salute. Il rischio è quello di imbastire studi riguardanti farmaci per patologie note con terapie già in uso, con uno scarso valore aggiunto dei nuovi trattamenti rispetto a quelli che abbiamo già a disposizione, trascurando invece quelle malattie per le quali ancora mancano studi capaci di fornire terapie efficaci ai piccoli pazienti che ne sono affetti. Inoltre, bisognerebbe approvare studi che cerchino di confrontare tra loro interventi terapeutici diversi per avere informazioni sulle cure più efficaci o meglio tollerate, evitando farmaci fotocopia che non apportano sostanziali migliorie nella terapia. Per ottenere l’autorizzazione alla sperimentazione del nuovo farmaco, infatti, bisogna documentare efficacia e sicurezza, ma non viene chiesto di dimostrarne i vantaggi rispetto a farmaci già in commercio. Sarebbe auspicabile che anche questa richiesta venisse regolamentata, così da garantire la rilevanza dei risultati in grado di avere una ricaduta positiva sulla salute di tutti”.

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Caterina Fazion
Giornalista scientifica in ambito medico-biologico