Dopo l’esperienza pandemica ancora drammaticamente in atto si può affermare che la telemedicina è arrivata ad un punto di non ritorno nel panorama sanitario mondiale, l’Italia non fa eccezione. Le limitazioni agli accessi ospedalieri, necessarie per mettere in sicurezza gli ospedali e preservarli da epidemie ospedaliere, e la riduzione delle attività ordinarie, dovute all’apertura di interi reparti dedicati all’assistenza ai malati Covid, hanno fatto sì che si moltiplicassero le iniziative volte ad inserire la telemedicina tra le pratiche clinico-assistenziali utilizzate in maniera standard, dapprima in modo disordinato a causa dell’emergenza, successivamente in modalità più strutturata. Come direbbero gli americani “the toothpaste is out of the tube”, ma implementare la telemedicina nel Sistema Sanitario Nazionale non significa semplicemente trasferire una visita dallo studio medico alla chiamata Zoom. Oltretutto con la videochiamata vengono a mancare tutta una serie di “riti” che nella visita tradizionale hanno contribuito a consolidare la figura del medico specialista, a creare un punto di riferimento importante nell’immaginario del paziente: dal diploma di laurea in bella vista con tanto di specializzazioni, i volumi nella libreria, lo studio accogliente. Nulla di tutto questo in una banale televisita.
La telemedicina deve interessarsi dei processi sanitari
Ma la telemedicina è un’altra cosa: in particolare dovrebbe modificare i processi sanitari dando un reale beneficio incrementale al paziente, in ottica di Value Based Healthcare, migliorandone gli esiti clinici, la sicurezza e la qualità percepita del paziente. Per ottenere questo risultato è necessario superare le barriere normative, tecnologiche, di rimborso che faticosamente attraverso la pubblicazione di circolari, delibere, accordi quadro stanno agevolandone l’implementazione a livello regionale, ma anche e soprattutto creare una infrastruttura di base nazionale che permetta di gestire i dati sanitari dei pazienti e che ne diventi il repository, alimentata nei processi di assistenza e cura abilitati dalla telemedicina, nelle sue articolazioni tecnologiche attraverso telerefertazione, dispositivi wearable, dati omici. L’evoluzione dovrebbe spostare il baricentro dalla cura delle malattie alla prevenzione e al benessere. Siamo pronti per questo scenario in Italia?
Innanzi tutto è bene chiarire che con il termine telemedicina in realtà si intendono una pluralità di servizi e prestazioni: diverse sono le modalità nelle quali essa è declinata in base al target di riferimento dei pazienti e alle cure che vengono erogate. Dalla televisita che presuppone l’interazione classica medico paziente, al teleconsulto tra medici, dalla telemetria con misurazione e trasferimento continuo di dati sanitari (tipicamente in campo cardiologico e pneumologico) al telemonitoraggio meno rigido nei tempi di misura e che può riguardare aspetti di prevenzione fino al fitness, ma anche la telerefertazione applicata in ambito territoriale, piuttosto che in emergenza urgenza o in ospedale, la teleriabilitazione utilissima in vari ambiti assistenziali soprattutto se sostenute da piattaforme interattive, realtà aumentata e virtuale, per concludere con la telechirurgia abilitata da robot chirurgici e che i bassi tempi di latenza promessi da nuovi paradigmi quali il 5G promettono di rendere sempre più sicure e di favorire la cooperazione fra più centri, aumentando la performance e gli outcome clinici. In generale le applicazioni della telemedicina possono veramente essere quasi infinite e una classificazione non è così semplice soprattutto in funzione dell’avanzamento tecnologico in atto.
Creare una infrastruttura di base nazionale per la gestione dei dati sanitari è una priorità
Purtroppo, a fronte di queste importanti novità, non corrisponde un altrettanto efficiente trasferimento nella pratica clinica, per molti motivi. Se volessimo analizzarne i principali possiamo annoverare: scarsità di investimenti, problemi di pagamento e rimborso, sistemi informativi deboli nella parte infrastrutturale, resistenza al cambiamento, scarsa cultura informatica, mancanza di direttive e linee guida nazionali robuste e tali da far fare il salto del fossato da parte dei vari stakeholder, problemi legati alla normativa di tutela dei dati personali (GDPR).
Sulla scarsità di investimenti è quasi pleonastico ricordare come la telemedicina possa migliorare i processi di cura e l’esperienza del paziente ad un livello tale da rendere l’investimento assolutamente ripagato nel giro di pochi anni: si tratta sicuramente di un investimento Value for Money. Sui problemi di pagamento e rimborso vale la pena ricordare che durante il 2020, sull’onda pandemica, molte Regioni si sono mosse per dare una rimborsabilità alle prestazioni anche se, ad onor del vero, con valori molto bassi che sicuramente non sono un driver sufficiente per implementare le prestazioni in telemedicina in modo pervasivo.
Altro punto dolente sono la scarsità di risorse assegnate ai dipartimenti di information technology e di ingegneria clinica sia in termini di risorse umane preparate che tecnologico-infrastrutturali oltre che alle risorse finanziarie. Basti pensare che, da una recente ricerca presentata nel corso di Wired Health 2021, negli Stati Uniti sono stati stanziati 650 milioni di dollari solo per mitigare il rischio cybersecurity in sanità, altri 500 per la telemedicina e per raggiungere le aree rurali. In Italia la spesa pubblica per la sanità digitale è di 23 euro a testa, contro i 40 della Francia, i 60 del Regno Unito e i 70 della Svizzera.
L’atavica resistenza al cambiamento cronica delle strutture pubbliche è un fattore importante che va superato con uno svecchiamento dei vari settori ed incrementando la formazione su temi legati all’innovazione ma soprattutto promuovendo una maggiore cultura dell’innovazione incoraggiando occasioni nel quale il dirigente medico o tecnico-amministrativo si metta in gioco per scardinare lo status quo, ampliando le occasioni di partnership con il privato pur nel rispetto delle regole del Codice dei Contratti.
In merito alla scarsa cultura informatica che affliggerebbe il sistema sanitario, ormai oggi tutti usiamo telefoni smart in varie operazioni quotidiane, dalle banche agli acquisti online, ovviamente le applicazioni legate alla telemedicina dovranno essere integrate in app per smartphones e tablets, sempre più usati in luogo delle applicazioni desktop sempre più in disuso e meno user friendly.
Come rendere i dati utilizzabili per i bisogni di salute delle persone?
Supponendo di aver superato queste problematiche di non poco conto, altra grossa barriera è data dalla necessità di rendere i dati utilizzabili per i bisogni di salute delle persone: diventa fondamentale che i dati siano di buona qualità.
Primo aspetto è garantire che i dati attinti dai pazienti siano gestiti tramite device certificati, sia che arrivino da device tradizionali che da dispositivi indossabili, esami, o addirittura social media; la regola aurea da tenere presente è che senza dati affidabili in ingresso non avremo dei risultati affidabili dopo le elaborazioni. Anche tutti gli algoritmi che elaborano i dati, se il risultato può influire su decisioni mediche o di prevenzione, devono essere certificati come dispositivi medici, a garanzia della robustezza dei risultati.
Se poi consideriamo che la medicina da sempre, ma ancor di più oggi con le nuove tecnologie, produce una quantità enorme di dati, appare chiaro come sia fondamentale il ruolo del Fascicolo Sanitario Elettronico che deve diventare l’infrastruttura pulsante sulla quale i dati dei singoli pazienti vengono stoccati e utilizzati in funzione predittiva per abilitare la medicina di precisione e personalizzata. Per fare questo la sua infrastruttura dovrà essere attivata su tutto il territorio nazionale e utilizzata dai medici di medicina generale. La proposta che sta prendendo piede tra gli addetti ai lavori è di dividere la parte anagrafica, amministrativa e fiscale dai dati sanitari core; questa divisione, al di là delle difficoltà tecniche, permetterà ai sistemi automatici di analisi dei big data di elaborare analisi predittive di popolazione, così come sui singoli, in funzione personalizzata.
La qualità del dato in ingresso è fondamentale per l’affidabilità dei risultati
Una volta creata questa piattaforma, una parte enorme della sua alimentazione potrà essere fornita dai dispositivi indossabili, i cosiddetti wearable. Questi dispositivi possono consentire di monitorare tutti i parametri fisiologici di interesse per la salute e, attraverso i nuovi paradigmi digitali quali il 5G, che renderà possibile tenerli collegati con una altissima densità per kmq, si potrà costruire una infrastruttura che tenderà al cosiddetto “digital twin”, un vero e proprio alter ego digitale e virtuale di ciascuno di noi su cui potranno essere testati nuovi approcci medici e monitorati gli esiti, con il supporto delle nuove conoscenze sulla fisiologia e la possibilità di costruire nuovi modelli computazionali in grado di simulare i fenomeni biologici attraverso l’utilizzo di grandi capacità di calcolo ad oggi in fase di sviluppo.
Questi grandi sviluppi aprono ovviamente scenari sfidanti per quanto riguarda la sicurezza dei dati personali e di tipo etico sui risultati di queste elaborazioni che potranno, ad esempio, prevedere lo sviluppo di malattie nel futuro di ognuno di noi con una certezza maggiore e quindi sarà necessario gestire anche l’approccio psicologico e la medicina e chirurgia preventiva collegata a queste previsioni.
In questo scenario futuribile, ma non così lontano, la telemedicina offrirà un valore aggiunto enorme per i pazienti e una grande opportunità per il SSN, che se non si adeguerà in fretta subirà la concorrenza dei centri privati che si sono già mossi in tal senso. L’esperienza dimostra che se non lo farà il sistema ci penseranno i pazienti a spingere per l’innovazione, si tratta del cosiddetto empowerment del paziente che la pandemia ha dimostrato essere un fenomeno ormai in atto e molto forte: il paziente al centro della sua esperienza e promotore di un percorso anche esperienziale diverso che lo faccia entrare a pieno titolo nell’era della medicina delle 4 P, una medicina personalizzata, preventiva, predittiva e partecipativa.
Si aprono grandi opportunità per il SSN, che deve adeguarsi in fretta
Da un’indagine relativa alle esigenze dei cittadini per la salute del futuro, condotta lo scorso anno da Doxapharma, in cui l’86% degli italiani considera il nostro sistema sanitario un modello universale di fondamentale valore, sono emerse tre chiare direttrici su cui lavorare: l’integrazione degli ospedali nel territorio, il processo di digitalizzazione, l’uniformità e l’equità nell’offerta sanitaria in tutto il paese. Il 92% degli intervistati si è detto favorevole alla creazione e al rafforzamento dei presidi sanitari territoriali multispecialistici, il 72% apprezzerebbe la domiciliazione delle terapie e il 76% vorrebbe le visite mediche da remoto. Addirittura il 98% del campione della ricerca ha dichiarato di aver sperimentato la ricezione delle prescrizioni mediche per via telematica senza nessuna difficoltà, circa il 33% ha dichiarato che preferirebbe effettuare tutti gli acquisti di farmaci sul canale online se ci fosse la garanzia di un consulente autorevole, e circa il 60% sarebbe molto propenso a ricorrere a differenti modalità di relazioni con i clinici rispetto a quelli attuali.
Ridisegnando in chiave digital molti processi di cura, il beneficio sarà tangibile anche per le organizzazioni sanitarie che potranno così recuperare il terribile arretrato accumulato durante la pandemia nelle visite di screening, negli acuti e nella gestione delle cronicità. La telemedicina permette di rispondere alle istanze di salute dei cittadini limitando le disuguaglianze territoriali presenti nel nostro paese tra le Regioni e all’interno delle Regioni e potrà agevolare la continuità assistenziale riducendo il divario tra cittadini che abitano in città e quelli che vivono nelle zone rurali.