«Proprio domenica scorsa ho inviato un mio giovane paziente con una patologia grave in pronto soccorso per una urgenza ed ero ansioso di vedere gli esiti degli esami di laboratorio a cui lo stavano sottoponendo. È bastato aspettare meno di un’ora e collegandomi al suo fascicolo sanitario elettronico ho potuto verificare i dati ed essere rassicurato che la situazione si stava normalizzando».
Ecco a cosa può servire, ad esempio, il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) di cui tanto si è parlato nelle scorse settimane. A raccontare questa storia a TrendSanità è Osama Al Jamal, segretario nazionale alla tesoreria FIMP – Federazione italiana medici pediatri e segretario regionale FIMP per la Sardegna. La storia del dottor Al Jamal delinea un approccio positivo a questo strumento, ma complicazioni, ritardi e lati oscuri non mancano.
Una lunga storia
La storia del dottor Al Jamal delinea un approccio positivo a questo strumento, ma complicazioni, ritardi e lati oscuri non mancano
Parliamo di uno strumento innovativo per la nostra sanità. Così innovativo che se ne parla già nel 2003, analizzando il tema della protezione dei dati sanitari personali, poi nel 2009, quando il Garante ne fissa le prime linee guida e ancora, ufficialmente, con l’articolo 12 del Decreto-legge 179 del 18 ottobre 2012 che lo istituisce formalmente. Ora, come dicono i geek dell’informatica, il FSE ha fatto un reboot, e promette una stagione nuova con il Decreto del Ministero della salute del 7 settembre 2023 che ha varato il FSE 2.0 e con il miliardo e trecento milioni dedicati a questo obiettivo dal PNRR.
Dati ancora a livelli molto bassi
Serviva un riavvio, infatti, perché a dispetto dei tanti utilizzi virtuosi disseminati nella penisola, non è ancora ufficialmente decollato come strumento nazionale. Secondo una rilevazione di Ministero della Salute e Dipartimento per la Trasformazione Digitale, è ferma al 18% la media nazionale dei cittadini che l’hanno usato tra gennaio e marzo 2024. Si va dal 64% della Provincia di Trento all’1% di Marche, Sicilia e Calabria. Si ferma, invece, alla media del 40% il dato dei cittadini che hanno dato il consenso alla consultazione dei propri documenti clinici da parte di medici ed operatori del Sistema Sanitario Nazionale. Vanno meglio, ma sempre con grandi differenze territoriali, gli utilizzi da parte dei professionisti sanitari, soprattutto medici di medicina generale (MMG) e pediatri di libera scelta (PLS).
Opposizioni e disinformazione
Il 30 giugno era una data, inoltre, importante perché rappresentava il temine ultimo per i cittadini per opporsi al caricamento sul proprio FSE dei dati precedenti al 2020. In pochi hanno esercitato questa opposizione (i primi dati dicono circa 280mila persone, dunque lo 0,5% della platea complessiva), tuttavia si sono levate limitate ma rumorose proteste sui social media, e su alcuni media tradizionali, alimentate spesso dalla disinformazione verso questo strumento, dalla paura di condividere dati così sensibili e dal timore di furti e attacchi cyber.
Garante contro Regioni
Ad agitare le acque, il 26 giugno è arrivata anche l’iniziativa del Garante per la protezione dei dati personali che ha notificato a 18 Regioni e alle Province autonome di Bolzano e Trento l’avvio di procedimenti correttivi e sanzionatori per le numerose violazioni riscontrate nei modelli di informativa sul FSE 2.0 predisposti dagli enti che non includevano possibilità di oscuramento, delega e consensi specifici come previsto dalla normativa nazionale.
Le rassicurazioni del Governo
«Abbiamo detto più volte che il dato, anche dopo essere stato caricato, può essere reso anonimo e c’è la possibilità per ognuno di non far accedere ai propri dati senza il consenso» cerca di rassicurare il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, rispondendo a TrendSanità. «Magari il cittadino si fida solo del suo medico di famiglia e del pediatra dei suoi figli e può dare solo a lui il consenso ad accedere». Ecco tornare in campo le due figure chiave che fanno da interfaccia tra ogni italiano e il SSN e che dunque sono le prime a dover alimentare e a poter consultare il FSE.
Il nodo formazione e il caos “gestionali”
Una diagnosi di uno specialista? Io dovrei uscire dal mio “gestionale” e non saprei dove andare a cercare nel FSE, anche perché non ci è stata fatta alcuna formazione
«Una diagnosi di uno specialista? Il risultato di un’analisi di laboratorio? No, non credo ci siano nel fascicolo dei miei pazienti, molte strutture non lo alimentano e poi manca la “cooperazione applicativa”. Io dovrei uscire dal mio “gestionale” e non saprei dove andare a cercare nel FSE, anche perché non ci è stata fatta alcuna formazione». Nelle prime frasi scambiate con TrendSanità dal dottor Nicola Calabrese, vicesegretario nazionale e tesoriere della Fimmg – Federazione italiana medici di medicina generale, ecco spuntare almeno due delle grandi criticità che si trova ad affrontare questo strumento: la prima è la formazione di MMG e PLS e la seconda è quella dei “gestionali”, i programmi che comunemente utilizzano i nostri medici di famiglia per le ricette e dove raccolgono il nostro fascicolo sanitario, anche questo elettronico, ma che ancora non comunica completamente con il fratello maggiore FSE 2.0.
Dal Governo fondi per la formazione
«È evidente – dice a TrendSanità il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per l’Innovazione, Alessio Butti – che, se noi vogliamo raggiungere gli obiettivi del Fascicolo Sanitario Elettronico più velocemente possibile, dobbiamo coinvolgere tutti i portatori di interesse. E chi più del medico di famiglia potrà contribuire ad alimentarlo? Per questo insieme al Ministero della Salute abbiamo previsto anche i fondi per la formazione dei professionisti sanitari, che è fondamentale. Sugli altri temi abbiamo già iniziato una interlocuzione con le rappresentanze di MMG e PLS. Vogliamo coinvolgere anche le Regioni perché ci rendiamo conto di quello che c’è da migliorare sul territorio nel rapporto tra istituzioni e medici. Non vogliamo correre il rischio di far naufragare questo progetto come altri in passato. Pensiamo alla App Immuni per il tracciamento dei contatti Covid-19. È fallita tecnologicamente perché non funzionava e anche perché la medicina generale sul territorio non rispondeva. Per evitare che anche un buon progetto tecnologico diventi un fallimento sul territorio dobbiamo lavorare e confrontarci con i medici».
Carichi di lavoro e burocrazia tecnologica
Presa in carico, dunque, la questione formazione, sembra che il confronto dovrà ripartire dalla infrastruttura tecnologica, e dai “gestionali” in particolare. «Se torniamo al FSE 1.0 noi MMG, insieme ai PLS, siamo stati i primi ad alimentarlo con 4,5 miliardi di documenti prodotti e caricati. Ma a fronte di questo non c’è stata “cooperazione applicativa” con i sistemi che usiamo tutti i giorni». Insomma, il gestionale alimenta il FSE automaticamente, ma dal FSE ben poco “arriva” sul programma gestionale del medico che dovrebbe uscire dal programma e aprire il FSE per consultare quei dati alimentati da altre strutture o da altri professionisti. «Se a questo ci aggiungiamo l’attività che ci viene richiesta per alimentare il patient summary europeo, allora si capisce quanto possa essere gravoso sui nostri carichi di lavoro…» conclude sconsolato Calabrese.
Il consenso dei cittadini
Fin qui manca il tema dei cittadini che, come abbiamo visto, ancora conoscono, usano e autorizzano molto poco questo strumento. Questo genera il paradosso di un sistema che, tra le tante difficoltà fin qui segnalate, detiene comunque una miniera di dati (molte decine di miliardi di dati sanitari), ma da questi dati riesce a farci ancora poco. Sia per i singoli pazienti, sia come SSN, che potrebbe usarli per migliorare i servizi e ottimizzare le sue sempre insufficienti risorse.
Una campagna che parta dai dubbi
«I cittadini vanno coinvolti meglio. E non è pensabile, come ci ha chiesto la nostra ASL, di affidare a noi il compito di convincerli durante le visite e magari attivarglielo lì per lì. Ma si immagina, con il poco tempo che abbiamo, noi che ci mettiamo a compilare i moduli per il consenso… Ci vuole una campagna di comunicazione istituzionale, nazionale e locale, che chiarisca anche i tanti dubbi che raccogliamo dalla gente: la paura per la privacy e per la sicurezza di dati che vanno in giro per il web. Invece, quando noi riusciamo a spiegare ai cittadini che è importante che in caso di incidente in pronto soccorso si possa vedere subito la cartella clinica del figlio, sapere se ha patologie, se segue cure, allora si convincono subito», conclude il pediatra Al Jamal.