Le terapie avanzate sono il presente e il futuro della medicina personalizzata. Perché curano malattie incurabili e lo fanno in modalità “one shot”, con un’unica somministrazione. L’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) al momento ha approvato 9 terapie e 5 di queste sono state immesse in commercio anche in Italia. Ma queste cure costano. Tanto. E per renderle davvero accessibili occorre ottimizzare i sistemi di pagamento (come i payment by o at result), superare la logica dei silos tra spesa ospedaliera e farmaceutica, implementare studi di HTA per valutare il costo di una terapia considerando anche i costi che non si sosterranno grazie a essa (meno ospedalizzazioni, rientro a lavoro per chi si è curato, etc.) e dotare il paese di centri di eccellenza che non solo studino queste terapie, ma abbiano le competenze per somministrarle. Una terapia avanzata, infatti, non si assume come una compressa di paracetamolo. Nel tempo le popolazioni target potrebbero essere molto più numerose, ponendo importanti quesiti di accesso: una cura che non si può somministrare, perché mancano centri specifici, serve a poco.
Di questo e molto altro abbiamo parlato nel corso della Diretta Live intitolata “Terapie innovative: potenziale di cura e sostenibilità in Italia” con due esperti del settore, Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione di Sviluppo di Nuovi Farmaci per Terapie Innovative dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e Francesco Macchia, Osservatorio Terapie Avanzate. Vi proponiamo qui un focus sul tema.
Che cosa si intende per terapie avanzate?
Con il termine di terapie avanzate (Advanced Therapy Medicinal Product, ATMP), si indica l’insieme delle terapie o farmaci innovativi che non si basano, come i farmaci classici, su molecole chimiche, ma su DNA o RNA, cellule e tessuti. Rappresentano un settore della biomedicina nonché la nuova frontiera per curare patologie gravi che non hanno alternative terapeutiche, come malattie genetiche, malattie croniche e tumori.
Le terapie avanzate si possono suddividere in quattro tipologie:
- Terapia genica: usata per trattare malattie causate da geni difettosi. In questo caso il “farmaco” è il DNA o RNA (si parla quindi di terapie a RNA), molecole con le quali si mira a correggere il difetto genetico direttamente all’interno delle cellule del paziente inserendo una copia corretta del gene o modificandone la sua funzione. In questo settore sono incluse anche le tecniche di editing genomico, come la CRISPR- Cas che ha recentemente vinto il premio Nobel per la Chimica. Di recente l’Ospedale Bambin Gesù di Roma ha presentato risultati interessanti alla Società Americana di Ematologia sull’uso di questa tecnica per correggere i difetti genetici alla base di talassemia e anemia falciforme.
- Terapia cellulare: utilizza una preparazione contenente cellule vive per ottenere un effetto terapeutico, diagnostico o preventivo. Un esempio di terapia cellulare è la Car-T, Chimeric Antigen Receptor (cellule T con recettore chimerico dell’antigene) che è un trattamento in cui i linfociti T prelevati da un paziente sono reinfusi nel suo organismo dopo essere stati modificati geneticamente in laboratorio, per aumentarne l’azione contro il tumore.
- Ingegneria tissutale: si basa su cellule o tessuti ottenuti in laboratorio per rigenerare, riparare o sostituire un tessuto umano, come la cute, le ossa e la cartilagine.
- Terapie avanzate combinate, che contengono uno o più dispositivi medici come parte integrante del farmaco.
Nel 2009 è entrato in vigore in Europa il regolamento CE n. 1394/2007 per disciplinare l’autorizzazione all’immissione in commercio di queste terapie innovative. L’approvazione di un ATMP passa attraverso il Comitato per le Terapie Avanzate (CAT) dell’EMA. Ma si tratta di terapie costose, che in alcuni casi superano il milione di euro a dose. La domanda è semplice, la risposta meno: tutto questo è sostenibile?
Potenzialità di cura
Per rispondere al quesito, cerchiamo di capire di cosa stiamo parlando. Nei prossimi anni arriveranno decine di nuove terapie avanzate, utili soprattutto per curare malattie orfane o rare per le quali non ci sono delle risorse terapeutiche appropriate, ad esempio per determinate patologie pediatriche che spesso sono legate a rischi congeniti oppure patologie oncologiche di vario tipo: ad esempio, le Car-T potrebbero essere impiegate anche per curare neoplasie dove attualmente non c’’è un’indicazione, inclusi alcuni tumori solidi, soprattutto se si riesce a identificare un antigene specifico. “Il Consiglio Superiore di Sanità presieduto dal professor Locatelli – ha spiegato il professor Curigliano – ha istituito un tavolo di lavoro su questi temi, al quale sono seduti tutti gli stakeholders interessati: i rappresentanti di aziende leader nel campo della terapie avanzate, componenti dell’’Istituto Superiore di Sanità e rappresentanti del mondo accademico che si occupano di terapie geniche avanzate. L’obiettivo di questo tavolo di lavoro è duplice: aumentare l’awareness delle istituzioni nei confronti di questi nuovi approcci terapeutici, e accelerare l’accesso all’innovazione soprattutto per patologie dove c’è un elevato medical need, coinvolgendo chiaramente quei centri in Italia dove c’è maggiore esperienza nella gestione di queste terapie avanzate”.
Un aspetto chiave riguarda l’accessibilità non solo in termini economici ma dei centri di somministrazione
Uno degli aspetti di cui si discute poco quando si parla di terapie avanzate è la loro accessibilità, e non solo in termini di disponibilità economica, ma anche di somministrazione. Per dispensare queste terapie, che vanno somministrate in ambienti dedicati e da professionisti preparati, occorre istituire centri specializzati in tutto il paese. Centri che somministrino e che siano coinvolti anche nella sperimentazione clinica. Nei prossimi 20 anni, quindi, molte più terapie saranno disponibili ma ci dovranno essere da parte del Ministero della Salute delle specifiche identificazioni di centri dove queste terapie possono essere somministrate.
Pagamenti, centri di somministrazione e mercato: le maggiori criticità da affrontare
Il problema dei costi è uno degli aspetti più complessi che si trovano ad affrontare tutti gli Stati. Perché ci si ritrova ad autorizzare terapie costose per le quali le evidenze scientifiche sono poche. Questo perché si riferiscono a popolazioni molto piccole e in molti casi non si hanno analisi sugli effetti a lungo termine. EMA per molte di queste terapie ha autorizzato un early access program per velocizzarne l’uso, ha ridotto le coorti di analisi e chiesto meno evidenze. Poi ha passato la palla ai Paesi Ue che sono quelli che devono pagare questi farmaci. Ecco allora che si è pensato a meccanismi come payment by e at result per cercare di pagare la cura secondo le performance e non a scatola chiusa.
“Questi meccanismi aiutano – ha affermato il dottor Macchia – perché si paga solo laddove si dimostra un’efficacia terapeutica, però non risolvono uno dei grandi problemi della nostra sanità ovvero quello dei silos. Le risorse per la farmaceutica rimangono nella farmaceutica, le risorse sanitarie rimangono nella sanità e quindi, quando acquisto una terapia costosa, ho un alto costo sull’ambito farmaceutico che mi comporta, di conseguenza, una riduzione della spesa sanitaria, ma questa riduzione non viene usata per compensare il costo farmaceutico. Quindi il payment for result che sicuramente dal punto di vista tecnico è una risorsa straordinaria, dal punto di vista dell’applicazione pratica qualche problema lo può dare. Un altro problema è il dilazionamento di questi pagamenti. Di fatto spalmare il pagamento negli anni significa che prima o poi quel costo lo devo affrontare e quindi si genera un effetto nel medio-lungo termine invece che nel breve. Infine, c’è un problema di contabilizzazione perché le aziende sanitarie non possono qualificare la spesa per terapie avanzate come spesa per investimenti e quindi sono costrette a quantificare la spesa di quella terapia avanzata nell’anno in cui si utilizza. Su questo c’è una questione aperta con il Ministero dell’Economia e fino a che non si risolve, questi meccanismi di payment by result rimangono un po’ nel limbo”.
Il payment by result è uno strumento importante ma si scontra con la logica a silos della sanità italiana
Un’altra questione da considerare sono le analisi che si effettuano per valutare il costo della terapia: al di là del costo vivo del farmaco, occorrerebbe capire, con report come l’Health Technology Assessment (HTA), quali siano i costi nel caso si decidesse di non usare questo farmaco, oppure quali costi si potrebbero risparmiare in termini di ospedalizzazione, riacutizzazione, etc.
“Si sta lavorando a nuovi modelli di analisi in questo senso – prosegue Macchia – ma non c’è ancora una convergenza tra tutti gli esperti su come utilizzarli, sia per impostare la valutazione economica sia per l’HTA. Le criticità sono diverse: occorrerebbe infatti usare HTA in uno scenario di incertezza come quello delle terapie innovative che, come abbiamo visto, sono studiate su piccole popolazioni di pazienti e con scarsa evidenza sugli effetti a lungo termine; vanno inoltre considerati l’organizzazione che ci vuole per somministrarle e l’impatto economico generale che non può basarsi su un orizzonte di 3 o 4 anni ma almeno arrivare a 10 anni, vedendo l’effetto su chi ha ricevuto le cure, chi è tornato a lavorare, etc.”.
Il fatto che l’Italia sia un mercato interessante e possa sviluppare eccellenze nel campo delle terapie innovative è fuor di dubbio, ma il governo deve prendere una decisione su come affrontare questa enorme opportunità: da una parte c’è la strada del mercato sostenibile, dall’altra c’è quella di sfruttare questo mercato per far diventare l’Italia, che è già all’avanguardia nel mondo sul tema dei farmaci orfani e delle malattie rare, un Paese in grado di esportare innovazione, tecnologia, produzione.
L’Italia è all’avanguardia sui farmaci orfani e potrebbe diventare un Paese che esposta innovazione e produzione
“Per raggiungere questo obbiettivo – conclude Macchia – occorre puntare sul rapporto tra pubblico privato: se riusciamo a credere davvero in una collaborazione costruttiva tra aziende e Stato, allora possiamo veramente sfruttare questa opportunità, altrimenti limitiamoci a rendere il mercato sostenibile usando meccanismi di pagamento secondo i risultati”.
Partnership tra aziende, istituzioni e mondo accademico: la via per rendere le terapie sostenibili
Le terapie innovative hanno costi molto alti, ma se la popolazione di riferimento è molto ampia, il costo per dose si può abbassare. Un vaccino a RNA (come quelli anti Covid di Pfizer e Moderna), dai costi notevoli, può arrivare a costare 2-3 euro a paziente, perché parliamo di miliardi di persone. Se invece per certe terapie ci sono piccole popolazioni, allora i costi sono difficilmente contenibili perché l’azienda sostiene spese enormi per produrle. Una soluzione può essere quella della collaborazione tra privati e pubblico.
Se c’è stata una situazione che ha messo in luce il successo di una partnership del genere per questioni di salute, è quella che stiamo vivendo. Le aziende che entro le prossime settimane probabilmente ci forniranno vaccini anti Covid sono state aiutate dagli Stati.
“Credo fortemente nella ricerca sostenuta dalle aziende – sottolinea Curigliano – perché è illusorio pensare che noi come mondo accademico possiamo sviluppare dei farmaci, servono degli investimenti economici alti e solo con questa collaborazione si possono avere risultati. Se siamo arrivati in così poco tempo ai vaccini per il Coronavirus è grazie alla partnership tra il mondo delle aziende farmaceutiche, il mondo accademico e anche gli Stati perché non dimentichiamoci che Europa e Stati Uniti d’America hanno investito ingenti cifre su queste aziende per accelerare lo sviluppo del farmaco”.
Se i vaccini per il Coronavirus stanno arrivando in breve tempo è grazie alla partnership tra aziende, accademia e Stati
Tornando invece a quello che si potrebbe fare nell’immediato, un modo per ottimizzare la spesa per i farmaci innovativi potrebbe passare da una rivisitazione dei due fondi a disposizione per l’acquisto di queste terapie. Si tratta del fondo per farmaci innovativi oncologici e per altri farmaci innovativi, entrambi di 500 milioni di euro, istituti per la prima volta con la legge di Bilancio del 2017. Si è parlato di fondo unico, ma non tutti sono concordi: “Credo che questa scelta – spiega Macchia – rischierebbe di avere una terapia che fagocita poi tutte le altre, e questo lo vedo come un elemento rischioso sia sul tema dei fondi ospedalieri e territoriali sia per i fondi innovativi e oncologici. Quello che si potrebbe fare è una compensazione dei fondi, cioè laddove io non arrivo a utilizzarne una parte, quel fondo viene automaticamente (per quell’anno) spostato su quello che al momento è meno capiente. Questo si potrebbe fare subito, il problema è che andrebbe ad impattare su alcune risorse che poi vengono redistribuite a livello regionale e quindi c’è una contrarietà da parte delle Regioni”.
I fondi per i farmaci innovativi, oncologici e non, necessitano di una revisione?
Il fatto che i vaccini in dirittura d’arrivo per il SARS-COV-2 siano di fatto delle terapie geniche, sviluppate anche grazie all’aiuto degli Stati, potrebbe far compiere quel salto culturale che permetterebbe di rendere le terapie innovative davvero accessibili, attraverso accordi tra privati e governi che inizino fin dallo sviluppo dei farmaci e non si limitino a una semplice negoziazione sul prezzo finale. In questo modo, più che un mercato sostenibile, l’Italia potrebbe diventare volano di innovazione per queste terapie.