Estendere e facilitare l’accesso ai servizi sanitari alle persone fragili, favorendo l’inclusione sociale e il diritto alla salute. Nasce per questo il progetto San Bartolomeo, lanciato dall’Ospedale Gemelli Isola Tiberina di Roma in collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio e con Deloitte e Fondazione Deloitte. Sono oltre 170 le persone che hanno già trovato assistenza sanitaria nell’ambito della fase pilota dell’iniziativa, che vuole rispondere a un bisogno di salute spesso disatteso per fasce sempre più ampie della popolazione.
Sono tante le persone che si sono rivolte ai centri della Comunità di Sant’Egidio e che hanno manifestato un bisogno di informazione e di aiuto per la salute. Perché molti di loro non avevano avuto accesso ai servizi sanitari da molto tempo e soffrivano di diverse malattie, anche gravi, non adeguatamente trattate. Parte da qui il bisogno di aiutare, sostenere e accompagnare chi è più fragile nel suo percorso di cura.
Il progetto punta ad ampliare la gamma dei servizi clinico-assistenziali e di aumentare il numero dei beneficiari
Il progetto punta ad ampliare la gamma dei servizi clinico-assistenziali e di aumentare il numero dei beneficiari. È una sfida sociale, non priva di scogli, ma che vuole rispondere ai bisogni con iniziative concrete per un più equo accesso alle cure di qualità per tutti.
Abbiamo parlato del Progetto San Bartolomeo con Giusi Lecce, che ne è la coordinatrice per la Comunità di Sant’Egidio e Guido Borsani, Presidente Fondazione Deloitte.
Povertà e deprivazione sociale in Italia: i dati che mostrano un bisogno
Secondo i dati ISTAT 2021, vivono in condizione di povertà assoluta circa 1,9 milioni di famiglie e circa 5,6 milioni di individui. Per la povertà relativa l’incidenza sale all’11,1% (da 10,1% del 2020) e le famiglie sotto la soglia sono circa 2,9 milioni (2,6 milioni nel 2020).
Gli stranieri in povertà assoluta, invece, sono oltre un milione e 600mila, con un’incidenza pari al 32,4%, oltre quattro volte superiore a quella degli italiani (7,2%). Rispetto al 2020, si registra un incremento della povertà assoluta per gli stranieri sia nel Centro, sia nel Sud (rispettivamente 27,5% e 40,3%), mentre al Nord si riduce l’incidenza di povertà assoluta individuale. Le famiglie in povertà assoluta sono nel 68,7% dei casi famiglie di soli italiani (quasi 1 milione e 350mila) e per il restante 31,3% famiglie con stranieri (oltre 614mila), pur rappresentando queste ultime solo il 9% del totale.
Il livello raggiunto dalla povertà assoluta nel 2021 (7,5%) è tra i più elevati dall’anno in cui si è iniziato a misurare questo indicatore. Guardando all’ultimo quinquennio, nel 2017 l’incidenza delle famiglie in povertà assoluta era del 6,9%, in forte crescita sull’anno precedente (6,3%) e nettamente superiore a quella media del quadriennio precedente (2013-2016) quando risultava stabile e pari al 6,1%.
Nel 2022, invece, la popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 24,4% (circa 14 milioni 304mila persone), sostanzialmente stabile rispetto al 2021 (25,2%).
Tuttavia, con la ripresa dell’economia dopo la pandemia, si riduce la popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (4,5% rispetto al 5,9% del 2021) e rimane stabile la popolazione a rischio di povertà (20,1%).
Nel 2021 il reddito medio delle famiglie (33.798 euro) è tornato a crescere, mentre il reddito totale delle famiglie più abbienti è 5,6 volte quello delle famiglie più povere (rapporto sostanzialmente stabile rispetto al 2020). Tale valore sarebbe stato più alto (6,4) in assenza di interventi di sostegno alle famiglie.
Nel 2022, il 20,1% delle persone residenti in Italia risulta a rischio di povertà
Sempre nel 2022, il 20,1% delle persone residenti in Italia risulta a rischio di povertà (circa 11 milioni e 800mila individui) avendo avuto, nell’anno precedente l’indagine, un reddito netto inferiore al 60% di quello mediano (ossia 11.155 euro). A livello nazionale la quota di popolazione a rischio di povertà rimane uguale all’anno precedente (20,1%).
Il 4,5% della popolazione (circa 2 milioni e 613mila individui) si trova in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale, rispetto al 5,9% del 2021.
Come nasce il progetto e perché
“Il progetto nasce da una collaborazione tra l’Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina – Gemelli, la Comunità di Sant’Egidio e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – risponde Giusi Lecce – e ha l’obiettivo di fornire prestazioni sanitarie gratuite e di qualità a persone fragili, stranieri, senza dimora, rom e “hard to reach”. Vuole ampliare e facilitare l’accesso ai servizi sanitari alle persone con particolari fragilità, favorendo l’inclusione sociale e il diritto alla salute.
Presso le “Case dell’Amicizia” del Sant’Egidio, la mensa di via Dandolo, durante le cene itineranti per i senza dimora, e in tutti i luoghi in cui la Comunità incontra i poveri, si intercetta l’esigenza di tante persone che hanno difficoltà di accesso alle cure: questo progetto interviene per facilitare e semplificare questo accesso (ad esempio, per la prenotazione delle visite specialistiche e degli esami clinici), nonché per la realizzazione di percorsi facilitati e di presa in carico”.
Perché la Fondazione Deloitte ha deciso di partecipare a questo progetto e quale sarà il suo contributo?
“Deloitte e Fondazione Deloitte – interviene il presidente Borsani – hanno deciso di partecipare al progetto San Bartolomeo con l’obiettivo di ampliare e facilitare l’accesso ai servizi sanitari alle persone con particolari fragilità, favorendo l’inclusione sociale e il diritto alla salute. Questa iniziativa, che Deloitte svolge pro bono, rappresenta un’opportunità per perseguire il nostro impegno verso i più vulnerabili. Si basa sulle competenze specifiche di settore e di processo di Deloitte, che mettiamo a disposizione per supportare l’organizzazione e l’innovazione dei servizi sanitari. Fin dall’inizio del progetto, siamo stati coinvolti nel processo decisionale e abbiamo collaborato attivamente con l’Ospedale e la Comunità per disegnare un percorso di cura personalizzato, dalla prenotazione alla presa in carico post-prestazione. La nostra partecipazione riflette la volontà di promuovere solidarietà ed equità, poiché riteniamo che superare le disuguaglianze nel sistema sanitario abbia un impatto positivo sulla salute di tutti e contribuisca all’equilibrio complessivo della società”.
Come mai un SSN che, sulla carta, dovrebbe garantire assistenza sanitaria a tutti, anche ai più deboli e fragili, non basta e si è sentita invece l’esigenza di dare vita a un progetto che evidentemente raccoglie i bisogni di chi forse è ignorato dal sistema pubblico o che non riesce ad accedervi?
“Indubbiamente il nostro servizio sanitario garantisce assistenza sanitaria a tutti – risponde Giusi Lecce – ed è uno dei migliori al mondo. Tuttavia, nel nostro Paese ci sono tanti cittadini stranieri che non possono essere iscritti al SSN. Il lavoro della Comunità di sant’Egidio, svolto da volontari, è molto capillare e diffuso nel tessuto cittadino: incontriamo tantissime persone, tante e diverse ma molte sono caratterizzate da fragilità e vulnerabilità e spesso c’è una difficoltà di accesso ai servizi sanitari, perché molti non hanno una “identità sanitaria”.
I titolari di STP o ENI non hanno diritto al medico di base, pertanto è difficile avere un aiuto o un indirizzo nei percorsi di salute
Il primo aspetto fondamentale è il rilascio dell’STP (Straniero Temporaneamente Presente ) o dell’ENI (Europeo Non Iscritto). I titolari di STP o ENI non hanno diritto al medico di base, pertanto è difficile avere un aiuto o un indirizzo nei percorsi di salute.
Il progetto aiuta quindi nei percorsi di salute e supporta un accesso facilitato alle cure e soprattutto prevede la completa presa in carico dei pazienti.
Talora è difficile capire a chi rivolgersi, perché le visite non si fanno per paura, perché non si sa dove andare a farle e spesso la lingua è un ostacolo, ad esempio, anche solo per prenotare una visita al telefono.
Le barriere linguistiche possono essere molto importanti, quindi il progetto si avvale di mediatori culturali della Comunità di sant’Egidio che, quando è necessario, facilitano il percorso sia per i pazienti, sia per gli operatori sanitari nel processo di comprensione del paziente straniero che hanno di fronte.
Abbiamo anche il servizio importantissimo dell’odontoiatria sociale, che è una risposta ai bisogni di salute anche di tanti Italiani in situazione di fragilità economica.
Le patologie odontoiatriche e l’edentulia impediscono la corretta nutrizione e tante persone, anche non anziane, non riescono più a nutrirsi
Le patologie odontoiatriche e l’edentulia impediscono la corretta nutrizione e tante persone, anche non anziane, non riescono più a nutrirsi; pensiamo, ad esempio, a tanti migranti che sono stati per anni nei campi profughi. Quando arrivano in Italia, pur essendo molto giovani, hanno tutti i denti guasti. Poi c’è l’aspetto di restituzione della dignità della relazione umana, del sorriso, di non vergognarsi di parlare a causa dei propri denti”.
“Questo progetto – interviene il Presidente della Fondazione Deloitte – nasce anche dalla consapevolezza che, nonostante il Servizio Sanitario Nazionale abbia l’obiettivo di garantire assistenza sanitaria a tutti, inclusi i più deboli e fragili, esistono ancora persone che hanno difficoltà ad accedervi. Attraverso un’analisi accurata delle criticità, abbiamo riconosciuto che alcuni aspetti dell’assistenza sanitaria, come le cure odontoiatriche e gli screening, possono presentare divari nell’accessibilità tra diverse Regioni o fasce della popolazione. Il progetto mira quindi a colmare queste lacune, concentrando i propri sforzi sulle persone che potrebbero essere escluse o incontrare difficoltà nell’accesso ai servizi sanitari. Con il progetto San Bartolomeo ci poniamo come opportunità complementare sull’offerta dei servizi sanitari, offrendo soluzioni specifiche e personalizzate per i bisogni identificati. Questo approccio integrativo mira a garantire che nessuno venga lasciato indietro e che tutti possano beneficiare di un’assistenza sanitaria adeguata e tempestiva. Siamo fermamente convinti che solo attraverso una collaborazione sinergica tra il settore privato, il settore pubblico e le organizzazioni della società civile, si possano affrontare le sfide complesse nel campo della salute e lavorare verso un sistema sanitario più inclusivo, equo ed efficiente”.
Quali servizi eroga, a chi si rivolge e come vi si accede?
Risponde la coordinatrice del progetto: “I servizi erogati sono ginecologia/ostetricia, senologia e odontoiatria sociale rivolti a persone fragili, stranieri, senza dimora, rom e “hard to reach”.
Durante la pandemia, il il generale Figliuolo ha chiesto alla Comunità di sant’Egidio di aprire un hub vaccinale per gli invisibili e per gli “hard to reach”
Per una migliore comprensione del contesto in cui lavoriamo, dobbiamo fare un piccolo passo indietro nel tempo e più precisamente nel luglio 2021, quando il commissario per l’emergenza Covid, il generale Figliuolo, ha chiesto alla Comunità di sant’Egidio di aprire un hub vaccinale per gli invisibili e per gli “hard to reach”. Abbiamo somministrato più di 30mila vaccini ma abbiamo anche intercettato tanti bisogni di salute.
Cessata l’emergenza, l’hub è diventato un grande centro di orientamento sociosanitario, dove tutta la popolazione fragile può accedere e qui si identificano molti dei beneficiari del progetto San Bartolomeo.
Abbiamo un importante servizio di orientamento sociosanitario, supportato dal lavoro di tanti medici che volontariamente ci affiancano in questa bellissima attività. È occasione di incontro, di conoscenza e in questo siamo aiutati dall’importantissimo lavoro dei mediatori culturali. È anche attivo un Telefono solidale telemedicina al numero 06 8992299.
Ma i beneficiari sono identificati anche durante le cene itineranti per i senza fissa dimora, presso i nostri centri di ascolto, che offrono supporto legale, aiuto alimentare e orientamento sanitario. Poi abbiamo la scuola di lingua e cultura italiana che, solo a Trastevere, ha più di 3mila iscritti con una importante prevalenza femminile”.