Una nuova sanità per l’umanità del post Covid

L’umanità del post Covid rivendica una nuova idea di tutela della salute basata su sicurezza e presa in carico e su una rete assistenziale sanitaria di “prossimità" in grado di assicurare le cure più efficaci, appropriate e tempestive

“L’esperienza di questi anni, oltre che quella dei decenni precedenti, legati alle criticità irrisolte del SSN, riaffermano la valenza della urgenza di competenze e professionalità come fattori di successo imprescindibili per ogni progettualità. Il parallelismo critico tra pianificazione, programmazione e attuazione ha visto sin troppo mancare obiettivi di efficienza ed efficacia, vanificando i pure accennati tentativi di razionalizzazione dell’offerta secondo canoni e modelli di governo consapevole rispetto a cosa dovesse costituire prestazione sanitaria da assicurare rispetto ai LEA e con quale appropriata spesa”.

A parlare è Giuseppe Melone, economista e manager sanitario, professore a contratto di Organizzazione delle Aziende Sanitarie presso l’Università degli Studi Unitelma Sapienza di Roma, da pochi giorni il libreria con il nuovo libro Scenari e modelli di governo, organizzazione e management del sistema sanitario italiano tra pandemia e PNRR (Maggioli Editore).

Ma l’umanità del post Covid oggi chiede cose diverse, rivendica una sua idea di tutela della salute che si condisce di significati essenziali di sicurezza e presa in carico, di assunzione dell’onere di allestire e mantenere una rete assistenziale sanitaria di “prossimità” in grado di raggiungere il paziente in tempi consoni e assicurare le cure più efficaci, appropriate e tempestive. Logiche di One Health devono quindi entrare massivamente in campo e contribuire a delineare scenari di assistenza sanitaria inclusiva, con disegni di percorsi diagnostico terapeutico assistenziali che travalichino le mura ospedaliere e le realtà sanitarie territoriali per spingersi stabilmente nel contesto del vissuto domestico del paziente, secondo profili graduali di complessità per intensità di cure, nel contesto della piena appropriatezza della presa in carico. Se è vero allora che la pandemia ha scompaginato il percorso fisiologico e gli assetti dell’umanità, rivendicando il supporto di nuovi profili e paradigmi fondanti di civiltà, in definitiva, non occorre altro che un nuovo novero di tutele, una moderna e più ampia idea generale di sanità per l’umanità del post Covid“.

Professor Melone, quali sono gli scenari che immagina per il SSN?

La pandemia ha posto in evidenza criticità del settore sanitario che hanno attraversato epoche e fasi diverse, da oltre quarant’anni, per storia, fasi politiche, evoluzioni del mondo sanitario e delle possibilità di cure, andamenti demografici di stratificazione della popolazione, esigenze finanziarie e di bilancio pubblico, impegni comunitari; tematiche tutte variamente e concentricamente incidenti sull’approccio alla tutela della salute, delineandone, nel corso del tempo, via via, una fisionomia che da un lato era ancorata al dettato costituzionale, come caposaldo di interesse diffuso e bene pubblico meritevole di tutela, ma dall’altro si manteneva piuttosto orfana di una organica e compiuta adozione consapevole di paradigmi di impianto, organizzazione e gestione, che fossero in grado di innestare efficacemente la logiche di azienda cui si è pure attinto dagli anni ’90, ovvero di quella qualità processiva eretta a sistema che consentisse di superare le complessità insite nel governo della offerta sanitaria altrimenti disarticolata e non omogenea sui territori regionali. Lo scenario che ci troviamo innanzi è figlio di scelte evolutesi nel tempo, protraendo tentativi reiterati di riforme, con luci e ombre, di approcci che hanno addirittura fatto rivedere l’impianto di spesa pubblica, da stanziamenti nazionali a compartecipazioni regionali, guardando a un federalismo che piuttosto che portare alla virtuosità di una “spesa standard”, ha codificato, di fatto, un’idea di “spesa possibile”, per come assumibile rispetto a un necessario quadro macroeconomico nazionale, alla cui base non è il fabbisogno sanitario standard dei territori a governare gli stanziamenti, ma le possibilità contingenti di spesa pubblica che risentono di molteplici fattori obiettivamente limitanti, rendendo difficile far crescere ulteriormente, ove in sostenibilità, la spesa sanitaria. La pandemia ha fatto il resto, solo enfatizzando i limiti dell’esistente.

Quali sono gli attori, i protagonisti di questi scenari?

Il libro pone evolutivamente l’andamento del SSN, toccando i suoi istituti e modelli paradigmatici, e soffermandosi sui passaggi di riforme più rilevanti, che, nel tempo, hanno disegnato un ruolo fondamentale, sul piano operativo, per le ASL, le Aziende Ospedaliere, gli IRCCS, le AOU e quindi tutto il mondo degli erogatori della cosiddetta sanità privata, accreditata e non; nel mentre, a livello di macro-sistema, esse hanno posto la centralità del rapporto Stato-Regioni, nel ruolo di fissazione dei LEA e stanziamento di risorse, per il primo, e di organizzatore e attuatore sui territori, per le seconde.

Al centro di tutto, si muovono chiaramente i protagonisti, in primis tutto il novero delle varie professionalità dei medici, e insieme a loro quelle infermieristiche, veri motori e artefici dello scenario e di ogni possibile opzione di successo, chiamati oggi ad assicurare evidenza qualitativa ed efficacia alle politiche e agli investimenti in ambito sanitario verso moderni setting assistenziali e di cure. Vi sono sulla scena, quindi, molteplici attori, istituzionali e professionali, tutti con ruoli di protagonismo, da esercitare in specifiche fasi e ambiti, ma tutte da conglobare in una lettura di scenario sistemico e adattivo al contempo, fortemente interrelato, in cui elementi gestionali, di programmazione e di organizzazione sanitaria, si devono fondere per poter costituire quell’architettura portante su cui innestare gli istituti previsti di recente dalla la Missione 6 Salute: dalle Case e Ospedali di Comunità, alla Telemedicina, a tutte le declinazioni poste con il DM 77, certamente tenendo al centro, da una parte gli ospedali, ma, dall’altra, un rinnovato ruolo del distretto, diremmo in versione 2.0, grazie specie a quella digitalizzazione e interoperabilità che ne dovrebbe caratterizzare il nuovo volto operativo e con esso la nuova centralità delle cure primarie e quindi della sanità quanto più prossima al paziente.

Come si colloca il SSN nel panorama europeo?

Lo sguardo verso l’Europa ha invero sempre posto, nel comune immaginario, il SSN in una condizione di quasi subalternità, specie rispetto al livello delle risorse investite rispetto al PIL che certamente vanno incrementate e rese oggetto di politiche specifiche; tuttavia, tenderei a dare una lettura un po’ diversa, maggiormente premiante e sistemica verso un SSN che, sul piano della qualità assistenziale e delle competenze e capacità delle professionalità sanitarie, nonostante le più contenute risorse, si pone ai primi posti a livello mondiale, insieme alla assoluta rilevanza della ricerca medica, sempre di alto impact factor e sempre allineata ai livelli di maggiore qualità, specie nel campo delle nuove opportunità rivenienti da quella traslazionale, che tanti passi avanti sta compiendo specie in ambiti di elevata complessità, fornendo nuove e avanzatissime opportunità diagnostiche e terapeutiche.

Non va sotteso, peraltro, come il nostro SSN mantenga la peculiarità tutta sua di fondare mirabilmente, prima che sulla condivisa matrice anglosassone di tipo Beveridge, su capisaldi valoriali unici, di forte caratterizzazione solidaristica, ecumenica ed evocativa, riveniente da quel felice accordo cristiano-sociale alla base dell’impianto della nostra Costituzione, che assicura ancora ad oggi tutele e principi etici, di equità e universalità cui occorre impegnarsi a garantire sempre la massima omogeneità su tutti i territori regionali, in una declinazione di LEA che non rischino di vedere ridimensionato il loro alveo di portata, cui quindi assicurare sempre idonee risorse.

Quale impatto ha avuto la pandemia sul SSN a livello di organizzazione e management?

Le scelte organizzative e di management durante la pandemia hanno visto il dover gestire urgenze senza precedenti, rispetto a uno scenario che per quanto potesse essere anche in parte prevedibile, non ha mostrato di possedere risposte sistemiche, immediate e adeguate, per risorse e dimensionamenti strutturali, nemmeno nelle aree solitamente a più alta qualità assistenziale del paese. Ratione temporis, sono saltate le limitazioni di spesa, vincoli di bilancio, l’onere di fare scelte allocative spesso alternative mosse solo da logiche di economia sanitaria, per dare spazio a interventi di urgente potenziamento e riorganizzazione di una offerta sanitaria che non ha trovato sempre la adeguata risposta concreta, marcando, da un lato, la difficoltà di scenario legata al complesso rapporto poco attuativo e poco sinergico tra la dimensione di governo centrale e quella regionale, spesso sia nelle soluzioni che nelle decisioni, nonché, da altro canto, generando pesanti gap assistenziali in ambiti anche molto complessi, fino all’abbandono delle cure, il cui recupero prestazionale è oggetto ancora delle odierne agende sanitarie dei sistemi sanitari di quasi tutte le regioni, in uno con la necessità di recupero degli ingenti incrementi di spesa straordinaria causata dalla pandemia, che hanno generato anche disavanzi ancora attuali nei bilanci regionali.

Cosa sta cambiando con il PNRR?

L’attualità dei nostri giorni, mentre cerchiamo di buttarci alle spalle la pandemia e le sue orribili conseguenze, pone al centro, rispetto a una necessaria ripresa di ordinarietà, elementi di criticità vuoi legati all’organizzazione del sistema, vuoi alla disponibilità di idonee risorse economiche che ne assicurino la sostenibilità. In tal senso, le politiche e gli stanziamenti straordinari posti in essere durante la pandemia hanno conferito una spinta propulsiva, certamente contingente, al ri-potenziamento e alla riorganizzazione delle strutture ospedaliere e quindi territoriali, tentando di recuperare rispetto a politiche che avevano cercato, spesso fondendo la causa con il problema, di razionalizzare la spesa sanitaria e il governo dell’offerta di prestazioni mediante una forte deospedalizzazione, con notevole perdita di posti letto, che portasse a un recupero di appropriatezza delle prestazioni, riportando al centro un fisiologico e virtuoso rapporto ospedale-territorio; la qual cosa si tenta, come principio generale, nuovamente oggi di attuare con le riforme del PNRR e del DM 77 ancorate agli investimenti previsti dalla Missione 6 – Salute del PNRR, il cui successo peraltro poggia particolarmente e prioritariamente, oltre che sulla rete di strutture, su un coinvolgimento effettivo e partecipe delle professionalità mediche e infermieristiche, da motivare idoneamente e da porre al centro, mediante un ascolto proattivo e interattivo delle loro istanze ed esigenze per poter al meglio assicurare il loro nodale contributo assistenziale.

Il tutto chiaramente calato in un contesto di allineamento pieno tra l’ambito statuale e quello regionale per assicurare un efficientismo dei progetti e dei correlati investimenti che realizzino pienamente la portata organica del PNRR.

Quali dal Suo punto di vista i principali problemi che attualmente affliggono il SSN? Quali vie d’uscita?

Il tema nodale resta quello della sostenibilità

Per quanto possa apparire semplicistico il tema nodale resta quello della sostenibilità. Certamente vanno portate a termine tutte le iniziative poste con la normazione specifica relativa alla pandemia, e di certo vanno completate azioni di riorganizzazione e potenziamento dei sistemi sanitari regionali da tempo ipotizzate, ma tutto questo aveva ed ha un costo, portando un denominatore comune di incremento di spesa a regime per il nuovo profilo del sistema sanitario.

Le politiche di deficit spending di fatto rese possibili durante la pandemia ora vanno cedendo il passo alla ripresa di ordinarietà dei conti e dei debiti, mentre l’ausilio del quantitative easing si va affievolendo, rispetto all’enorme debito pubblico italiano, che resta. Riecheggiano i parametri deficit/pil e debito/pil, e l’inflazione gioca il suo ruolo, nel mentre la crescita economica inizia finalmente a mostrare segnali di timida ripresa.

La pandemia ha generato una presa di coscienza a livello europeo circa la necessità di porre mano a un piano di aiuti senza precedenti, che ha visto nel Next Generation EU la sua linea maestra, seguita dal PNRR nella versione italiana, ma soprattutto ha posto un blocco al patto di stabilità, rendendo possibili politiche di aiuto e ristoro in totale disavanzo di spesa pubblica, secondo una linea del tutto straordinaria che non può non ritornare all’ordinario. Nel frattempo, la spinta del PNRR e delle sue missioni pone un’opportunità per tutti i Paesi membri dell’Europa e per l’Italia in particolare, obbligando a riforme strutturali che si dispieghino attraverso il conseguimento di milestone e target che dovrebbero connotare in senso più moderno ed efficiente il sistema Italia nel suo complesso, oltre che nei suoi gangli burocratici e valoriali anche più intimi.

Sul piano sanitario, le ingenti riforme della Missione 6 Salute hanno un carattere tuttavia di mero riassetto iniziale del nuovo profilo di sistema sanitario, potendo supportare la linea degli investimenti strutturali e non già quella dei costi di funzionamento. Di talché, a regime, il nostro SSN presenterà costi di gestione molto maggiori, nell’ordine di alcune decine di miliardi di euro, cui dover far fronte, ed in ciò certamente una delle più nodali problematiche da affrontare. Al contempo restano sul tappeto tematiche legate alle criticità relative alle carenze strutturali di personale, con l’onere di rivedere i sistemi di formazione specie del personale medico, impattando non tanto e non solo sul numero chiuso dei corsi di laurea, quanto sull’ambito delle specializzazioni specie per gli abiti dell’emergenza-urgenza.

A livello operativo di gestione si continua ad essere alla ricerca di innalzamenti di qualità e sicurezza, in uno a recuperi di efficienza, a livello sia di aziende sanitarie che ospedaliere, peraltro in una fase di contingenze internazionali non agevole, nella quale risulta arduo coniugare la sostenibilità economica con la completa assicurazione di livelli essenziali di assistenza che si fanno sempre più complessi e ad elevata spesa. Il tutto mentre le attese dell’utenza, nel post pandemia, vedono prevalere una connotazione di tutela della salute piuttosto intesa come bisogno di sicurezza sociale e come esigenza di prossimità delle cure e di presa in carico, cui contribuisce fortemente anche la stratificazione demografica di una popolazione sempre più anziana che pone fortemente il tema dell’assistenza alla cronicità.

Occorre, quindi, con idonei e graduali passaggi, riassettare e ristrutturare il sistema, adeguatamente potenziandolo e ponendo al centro un rapporto virtuoso ospedale-territorio, in un preciso disegno assistenziale pre e post ospedaliero, con l’appropriatezza al centro, ma occorre al contempo avviare un percorso innovativo, anche culturale, sul piano delle logiche e politiche di spesa pubblica – ovviamente con la necessaria sostenibilità ed equilibrio -, per portare la logica della spesa pubblica sanitaria fuori dal suo steccato originario, conferendole una valenza più ampia di spesa per sicurezza generale e sociale, quale fulcro nodale di uno stato moderno, che tenga a mente l’esperienza pandemica, e che, nell’era post pandemica, abbracci un orizzonte strategico a carattere molto più portante e di assetto fondativo di un nuovo profilo di stato sociale, in cui la tutela della salute veda riconosciuta la sua intima funzione e strategicità sociale, come asset valoriale a beneficio della collettività intera.

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Adriana Riccomagno
Giornalista professionista in ambito sanitario