Usare le disuguaglianze per migliorare la sanità

Rendere le differenze di salute una metrica permette di migliorare il nostro SSN. Del come riuscirci se ne è parlato a Torino, all’interno di un convegno sul Parco della Salute

Se ne parla da 25 anni e i lavori potrebbero partire quest’anno. Il Parco della Salute di Torino è l’ambizioso progetto che dovrebbe unire in un solo luogo la complessità di tutte le specialità degli attuali ospedali (il progetto iniziale prevedeva la partecipazione dei 4 maggiori: Molinette, Regina Margherita, CTO e Sant’Anna). Cinque gli anni di lavoro previsti, per un importo complessivo di 494 milioni di euro. Entro il mese di aprile le due imprese invitate alla gara dovranno presentare la proposta di progetto definitivo.

Il progetto torinese è stato il punto di partenza del convegno “Diritto alla salute e prestazioni sanitarie integrate” organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino e promosso dal Politecnico di Torino, dalla Scuola di Medicina dell’Università di Torino, dall’Unione Industriali e dal Polo del ‘900. Durante l’evento si è parlato molto di epidemiologia, dati sanitari, uso dell’intelligenza artificiale e scenari futuri non solo della sanità piemontese.

I diversi livelli dell’integrazione

La parola chiave è integrazione: tra ospedale e territorio, tra ospedali, tra reparti. La necessità è costruire un’organizzazione dinamica e flessibile che tenga conto dei flussi dei pazienti verso le varie strutture. «In questo momento abbiamo problemi con i flussi in entrata e in uscita dagli ospedali – ha affermato Guido Giustetto, presidente dell’Ordine provinciale dei medici chirurghi di Torino -. Il fenomeno del boarding non riguarda i codici bianchi, ma i casi più gravi che non trovano posto in reparto. Non siamo in grado di dimettere quei pazienti ormai stabilizzati che hanno bisogno di una quota di assistenza che i soli caregiver non possono fornire loro. Per contro, il gran numero di accessi al Pronto soccorso significa che il territorio non è in grado di trattenere i casi meno gravi». Per Giustetto «dobbiamo considerare un unico flusso tra ospedale e territorio e non trattarli come se fossero entità separate».

Chiara Rivetti, segretaria Anaao Piemonte, ha fornito la sua ricetta per l’integrazione: «Dobbiamo investire in prevenzione e gestione degli anziani: la prima non può essere slegata dall’equità. Dobbiamo creare reti per seguire le malattie croniche e far sì che queste non differiscano in base a censo, istruzione, ecc…; possiamo puntare sulla collaborazione tra medici di medicina generale e ospedalieri, farli comunicare a voce o con i numerosi strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione». E poi c’è la gestione degli anziani: «Questa adesso è basata sul welfare familiare: in Piemonte appena il 3% degli over 75 ha accesso all’assistenza domiciliare. Per alleggerire gli ospedali, che sono progettati con sempre meno posti letto, dobbiamo finanziare questi strumenti di assistenza territoriale». 

La salute disuguale

«Solo trasformando la salute in una metrica riusciamo ad avere dati a supporto di richieste e strategie – ha esordito Giuseppe Costa, già presidente dell’Associazione Italiana di Epidemiologia -. Farlo inserendo anche le disuguaglianze rende tutto ancora più interessante». Da decenni Costa lavora proprio sulle disuguaglianze di salute in base alla distribuzione del reddito all’interno di città come Torino.

I dati contenuti all’interno dell’ultima relazione sanitaria resa disponibile in Piemonte in accompagnamento al Piano regionale di Prevenzione segnalano che «tra il 2000 e il 2019 abbiamo avuto due decenni di miglioramento dell’aspettativa di vita distribuito in modo abbastanza equilibrato – ha riportato Costa -. Nel 2020 abbiamo invece visto un’inversione congiunturale di aumento della speranza di vita in modo disuguale».

Gli epidemiologi piemontesi stano lavorando ad alcuni dossier con un centinaio di indicatori declinati a livello microterritoriale e sociale (a livello di bisogno, di accesso, di qualità). «Quando gli stakeholder vedono questi fanno un salto sulla sedia e vengono ingaggiati. Vedere come mutano i risultati a distanza di pochi chilometri permette anche di richiamare le responsabilità di qualcuno. Se riusciamo a inserire queste metriche nella governance abbiamo vinto», ha concluso Costa, sintetizzando la sfida principale del prossimo futuro.

La sanità del futuro

«Esistono già numerose reti trasversali agli edifici che hanno mostrato di funzionare molto bene: tutti noi abbiamo assistito almeno una volta a una telefonata in diretta del nostro medico di medicina generale a uno specialista o di un ospedaliero a un collega in un altro reparto», ha esordito Roberto Cavallo Perin, avvocato esperto in diritto sanitario.

L’avvocato ha poi invitato la platea a uno sforzo di fantasia: «Lasciamo stare per un attimo le implicazioni di quello che sto per dire: i problemi si risolvono man mano che si pongono. Immaginate una sanità nella quale gli ospedali abbiano un sistema informatico unico, nella quale i cittadini, così come regalano quotidianamente dati ad aziende private attraverso il proprio cellulare, lo facciano anche con le strutture della sanità pubblica, che potrebbero così caratterizzare molto bene il singolo (a vantaggio della sua salute) e usare le informazioni a livello aggregato per elaborare dei trend».

E poi c’è il lato del personale sanitario: «L’intelligenza artificiale potrebbe essere utilizzata per avere dati più accurati su medici e infermieri – ha proseguito Cavallo Perin -. Chi sono e cosa fanno i professionisti, sia in termini di tipo di prestazioni sia di quantità, che in periodi diversi possono variare».

Pensare a una rete che vada al di là degli edifici fisici risolverebbe anche – almeno in parte – il problema dei posti letto: «Cooperando questi vengono moltiplicati, poiché le diverse strutture sarebbero funzionalmente collegate. Pensiamo a un responsabile del coordinamento del processo di cura che potrebbe indirizzare risorse e persone in modo ottimale, inglobando anche il privato accreditato».

Siamo ancora molto lontani da questo scenario, ma c’è una crescente presa di coscienza sul modo con cui ci si rapporta con modelli organizzativi diversi: «La sfida adesso è riuscire a rendere meno impattanti gli aspetti negativi del mio discorso, valorizzando sempre più quelli positivi. E questa non è fantascienza…», ha concluso Cavallo Perin.

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Michela Perrone
Giornalista pubblicista