VAM: le Value Added Medicines che in Italia non riescono a dimostrare il loro valore

I farmaci a valore aggiunto, in inglese Value Added Medicines (VAM), sono una nuova frontiera del farmaco che non punta a scoprire nuove molecole, ma nuovi modi di usare, potenziare e riposizionare molecole esistenti. Quali sono le potenzialità e qual è il panorama nel nostro paese? Ne parliamo con Geremia Seclì (Coordinatore VAM Group EGUALIA) e Gianni Sava (Società Italiana di Farmacologia).

L’innovazione nei farmaci da tempo ha iniziato a specializzarsi verso patologie meno note e meno diffuse rispetto a quelle croniche, già ampiamente coperte da farmaci a brevetto scaduto. Il risultato è che il mercato della medicina primaria rimane terreno dei generici, che per definizione non esprimono innovazione. Ma potrebbero essere “rivisitati”, associati ad altre molecole o dispositivi medici, per potenziare la loro efficacia, curare bisogni di cura sempre più esigenti e migliorare l’aderenza terapeutica. Parliamo dei farmaci a valore aggiunto, in inglese Value Added Medicines (VAM), una nuova frontiera del farmaco che non punta a scoprire nuove molecole, ma nuovi modi di usare, potenziare e riposizionare molecole esistenti. Un modo innovativo, questo sì, per rispondere alle esigenze ancora insoddisfatte della medicina di base.

Negli Usa queste medicine son ben regolamentate. Da noi al momento non sono così ben viste. O semplicemente, ancora non si è compreso il vero potenziale.

Che cosa sono le VAM?

Si tratta di prodotti farmaceutici off patent modificati o combinati, sia che si tratti di small molecules sia di biologici, e possono prevedere nuove forme farmaceutiche, nuovi modi di somministrazione, dosaggi, indicazioni, e possono essere usate in associazione a device e soluzioni digitali.  L’obbiettivo è intercettare e soddisfare particolari segmenti di pazienti/bisogni terapeutici insod­disfatti. Le VAM sono una parte della medicina personalizzata che ben pochi conoscono, soprattutto nel nostro paese.

I miglioramenti apportati dalle VAM possono contribuire alla sostenibilità dei sistemi sanitari attraverso una migliore aderenza, una maggiore sicurezza, una migliore efficienza nell’uso delle risorse di personale sanitario e una maggiore efficacia in termini di costi.

I farmaci a valore aggiunto puntano a scoprire nuovi modi di usare molecole esistenti

Per dare voce alle aziende impegnate nelle VAM, EGUALIA (ex Assogenerici) ha creato al proprio interno un Gruppo autonomo, denominato Italian Value Added Medicines o VAM Group.

“In Europa circa il 70% dei farmaci dispensati su prescrizione medica è un farmaco equivalente – afferma Geremia Seclì, coordinatore del VAM Group EGUALIA – c’è quindi un bacino enorme in cui fare innovazione, soprattutto nel campo delle terapie croniche. Le nostre aziende vogliono innovare andando a colmare dei bisogni inespressi, efficientando il percorso terapeutico dei pazienti. Le VAM risolvono questi unmet need, tramite la riformulazione, l’utilizzo di una nuova via di somministrazione, l’integrazione tra più molecole, oppure con un device, app o altri servizi”.

 

Le Value Added Medicines si possono classificare in tre macrocategorie:

  1. riformulazione (con diversa via di somministrazione o dosaggio);
  2. associazione di due o più molecole/offerte in un unico prodotto (farmaco/farmaco; farmaco/ dispositivo; farmaco/servizio);
  3. riposizionamento (lancio in una nuova indicazione).

Durante l’ultima conferenza sulle VAM organizzata da Medicine for Europe nel 2019 sono stati identificati i passi indispensabili per migliorarne la diffusione:

  • approvazione tempestiva di medicinali a valore aggiunto attraverso progetti di sperimentazione adatti allo scopo e percorsi di approvazione concordati con incentivi su misura per questo tipo di innovazione;
  • modello di riferimento per HTA che consideri i benefici specifici dei farmaci VAM;
  • valorizzazione della Digital Value Added Medicine che consideri il contributo di questi approcci nel cambiare il paradigma della gestione delle malattie e a beneficio dei pazienti, degli operatori sanitari e dei sistemi sanitari.

Esempi di Value Added Medicine

Per capire meglio di cosa stiamo parlando riportiamo qualche esempio di VAM, suddivise per le macrocategorie:

  • riformulazione: una riformulazione dell’antitumorale paclitaxel, in associazione all’innovativa tecnologia “Nab”, ha migliorato l’erogazione della chemioterapia. La migliore distribuzione del prodotto all’interno dei tessuti ha comportato numerosi benefici tra cui una riduzione del tempo di trattamento da 3 ore a 30 minuti, l’eliminazione della necessità di pre-trattamento con steroidi e antistaminici e, soprattutto, un miglioramento dei tassi di risposta oncologica e della sopravvivenza globale;
  • associazione di più molecole: una combinazione dell’ossicodone con l’antagonista del recettore degli oppioidi a lunga durata d’azione, il naloxone, ha determinato un miglioramento statisticamente significativo dell’indice di funzionalità intestinale (BFI) rispetto al solo ossicodone;
  • combinazione farmaco/device: la combinazione di ICS/LABA (budesonide / formoterolo) con un inalatore innovativo che riduce gli errori comuni nella preparazione dell’inalatore ne ha migliorato l’utilizzo poiché il paziente può verificare di aver assunto la dose e consente di utilizzare l’inalatore anche da sdraiato, dettaglio quest’ultimo che rappresenta un miglioramento importante rispetto ai dispositivi concorrenti che richiedono, invece, che il paziente si trovi in posizione eretta (particolarmente importante per gli anziani e popolazione con BPCO);
  • riposizionamento: la guanfacina, usata per il trattamento dell’ipertensione, è un esempio di molecola riposizionata per il trattamento del disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD). Si tratta di un’importante terapia “non stimolante” in un’area terapeutica in cui i sintomi si manifestano in modi diversi e sono necessarie opzioni alternative per quelli che non rispondono o non tollerano gli stimolanti.

Le VAM in Italia… e all’estero

Nel nostro paese le medicine a valore aggiunto non stanno avendo molta fortuna, principalmente perché gli enti regolatori non ne riconoscono il valore incrementale.

“La grande resistenza da parte del SSN in Italia, ma anche a livello europeo – riprende Seclì – deriva dal ragionamento ‘a silos’ che porta AIFA a negoziare il prezzo di un farmaco, senza considerare il contorno, come l’utilizzo di device che afferisce a budget diversi. Questa è la barriera più grande. Non essendoci l’uso di valutare il valore incrementale di questi farmaci, AIFA li equipara a tutti gli altri farmaci equivalenti, essendo la molecola alla base una molecola equivalente, che AIFA ha già autorizzato”.

Ad esempio, alcuni inalatori più evoluti per l’asma che misurano ogni spruzzo e lo comunicano al medico hanno dimostrato di poter migliorare l’aderenza e la persistenza al trattamento. Il farmaco è lo stesso, cambia però il modo in cui viene somministrato ed è questo il valore aggiunto della terapia.

Dietro tutto ciò ci sono degli investimenti in tecnologia che devono essere riconosciuti, non necessariamente a livello di prezzo, ma quantomeno sull’innovazione.

La definizione del loro valore aggiunto è un tema ancora aperto

“Per questi motivi stiamo cercando di avere un confronto con AIFA – sottolinea il coordinatore del VAM Group di EGUALIA – perché vogliamo creare awareness su questi farmaci e sul nostro impegno, come associazione, ad investire in questo settore. Organizzeremo una tavola rotonda con associazioni, società scientifiche, clinici, per definire le proposte da avanzare ad AIFA. Le modalità di valorizzazione delle VAM sono molteplici, da misurare l’incremento della qualità della vita (QALY) a efficientare il percorso sanitario del paziente, rendendo il SSN più sostenibile. Per ognuno di questi punti vogliamo proporre delle soluzioni concrete”.

Tornando all’esempio degli inalatori, tutte le aziende che li producono propongono di fare analisi di HTA, basandosi su dati di Real World: in questo modo AIFA avrebbe più informazioni per poter, forse, riconoscere finalmente il valore incrementale delle VAM.

“Ad esempio in Germania da circa un anno sono rimborsate le terapie digitali – rimarca Seclì – ma ad una condizione: che in un anno di tempo si producano dati sull’efficacia, sul beneficio che ne deriva per il Paese e il risparmio per il sistema sanitario”.

Per questo è importante definire i parametri (basati su Real world Data o QALY) per ragionare sulla definizione del valore aggiunto. E bisogna definire che tipo di studi pretendere per poter riconoscere il valore incrementale: non si possono chiedere studi clinici di fase 3 per un farmaco equivalente che viene associato a un device o ad una app, mentre hanno senso in caso di associazione tra due molecole esistenti, come il caso dell’ossicodone unito al naloxone.

Auspicabile un percorso regolatorio ad hoc per le VAM

L’aspetto che rende le cose ancora più difficili da un punto di vista regolatorio è che le VAM non hanno un percorso di approvazione dedicato che tenga conto dell’approccio olistico con cui sono pensate queste medicine: una VAM può presentarsi come riposizionamento ma anche in associazione ad altri device o app. AIFA si limita invece a valutare il farmaco, non valuta l’eventuale device associato (i dispositivi sono materia del Ministero della Salute), per cui se la VAM alla fine costa di più perché il device associato alza il prezzo del farmaco (mentre quello della molecola rimane invariato) AIFA non lo approva, perché non ne vede la giustificazione.

Negli USA da questo punto di vista sono molto avanti perché hanno una normativa favorevole e una categoria apposita per le VAM, con un percorso regolatorio ad hoc.

Che cosa ne pensano i farmacologi?

Secondo il Professor Gianni Sava della Società Italiana di Farmacologia le VAM sono potenzialmente interessanti anche se non sempre è facile valutarne l’innovazione: dietro ci sono dei costi da sostenere che vanno bilanciati con il miglioramento che ne ricava il paziente.

“Anche se il farmaco è vecchio, la miglioria è apprezzabile – afferma Sava – anche se credo che i valori incrementali siano perlopiù dovuti all’applicazione di tecnologie all’uso dei farmaci. Prendiamo ad esempio il farmaco levodopa usato per il Parkinson: deve essere assunto costantemente ma ci sono degli on/off nell’efficacia dovuti alla concentrazione plasmatica del farmaco. Si è quindi tentato di applicare tecnologie informatiche al farmaco per provare a risolvere il problema: il paziente porta un sensore che misura costantemente la concentrazione del farmaco nel sangue e quando questo scende sotto il livello soglia, il dispositivo avvisa il paziente con un segnale affinché assuma il farmaco. Esistono anche dei sistemi impiantati per la dispensazione del farmaco che in automatico lo mettono in circolo in modo da sopperire alla mancanza rilevata, per mantenere costante la concentrazione e ottimizzare l’attività del farmaco”.

Il valore aggiunto è facilmente riconoscibile quando c’è un beneficio pratico per il paziente

Altri casi fortunati di VAM sono state le combinazioni di anticorpi monoclonali in oncologia con sostanze tossiche per le cellule tumorali. Vedi trastuzumab, usato nel trattamento del tumore alla mammella in associazione alla sostanza tossica emtansine, aumentando in questo modo la sua attività e la selettività.

“Il valore aggiunto è facilmente riconoscibile quando c’è un beneficio pratico per il paziente, come per levodopa che non presenta più sbalzi nell’assunzione – riprende Sava – Anche la combinazione degli oppioidi con gli antidolorifici per il trattamento della stipsi offre un risultato non banale per chi soffre di queste patologie, spesso croniche o legate a situazioni di fine vita. Però, senza entrare nel merito di come lavora AIFA, per definire il prezzo di un farmaco ci deve essere sempre un bilanciamento tra i costi di realizzazione dei dispositivi modificati e i benefici per il paziente”.

Ed ecco quindi che torna centrale il ruolo dei dati del mondo reale, i Real World Data. E delle sperimentazioni, che secondo Sava ci vorrebbero comunque, anche se si tratta di farmaci già noti: “Il problema è che per le VAM non sono richieste tutte le sperimentazioni cliniche necessarie per lo studio di un nuovo farmaco e quindi all’AIFA non arriva tutta la documentazione che spiega nel dettaglio dosi, eventi avversi cc, … e questo è uno dei limiti più importanti. Se io metto insieme due farmaci creo scenari nuovi e complessi anche in termini di tossicità. Ci vogliono gli studi, ma la legislazione non è preparata, non è al passo con la tecnologia. E quindi, in definitiva, si rischia di creare anche false aspettative nei pazienti”.

Non solo molecole

Le VAM non sono le prime e non saranno le ultime terapie a far tremare i polsi agli enti regolatori. All’orizzonte si stagliano anche le terapie digitali, che sulla carta sono considerate dispositivi medici, ma dovranno essere valutate anche da AIFA.

Il farmaco oggi non è più solo una molecola. Può essere una nuova associazione di più molecole, un riposizionamento o può non c’entrare nulla con la chimica ed essere composto solo di microchip. L’innovazione tecnologica in ambito farmaceutico si sta muovendo molto velocemente, il concetto di farmaco sta evolvendo mentre gli enti regolatori rimangono legati a una visione più tradizionale. E questo blocca l’innovazione, a discapito della cura dei pazienti.

Sempre centrale il ruolo dei Real World Data

“Ad oggi – conclude Seclì – ciò che viene offerto oltre al farmaco è considerato un nice to have, domani sarà un must have. Ci sono aziende farmaceutiche che per loro natura fanno innovazione incrementale, mentre altre, quelle dei device o delle app innovano in maniera radicale. Le VAM cercano di unire questi due mondi. Ci sono straordinari passi in avanti, come le terapie Car-t, ma si possono fare anche altri passi più concreti, in terapie croniche, come il Parkinson, con l’opportunità delle VAM”.

 

Per dimostrare il valore aggiunto delle VAM occorre produrre dati di qualità in ottica RWD, che ad oggi però restano in molti casi difficili da raccogliere. Bisognerebbe ripensare a un ecosistema digitale in cui al farmaco e al device associato si possa integrare una sorta di telemonitoraggio che fornisca dati in tempo reale: questo potrebbe aiutare in ottica di farmacovigilanza, ma anche per dimostrare ai regolatori il valore aggiunto di queste terapie.

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Angelica Giambelluca
Giornalista professionista in ambito medico