Manager al posto di burocrati, condivisione delle conoscenze e delle competenze, visioni di lungo termine, capacità di intercettare i bisogni della sanità e tradurli in richieste concrete per il mercato. Diventare volano di innovazione e ricerca. Superare etichette di corruzione, immobilismo, abbracciando in modo serio la collaborazione con il settore privato. Questo, in buona sostanza, deve fare il procurement sanitario per passare dalla logica tradizionale degli ultimi anni a una più strategica. È quanto ci ha raccontato Veronica Vecchi, direttore scientifico dell’Osservatorio MASAN sul Management degli acquisti e dei contratti in sanità del CERGAS di SDA Bocconi e Associate Professor of Practice of Government, Health and Not for Profit della Bocconi. Un’intervista che in qualche modo anticipa i temi di cui si parlerà al prossimo convegno MASAN organizzato per il 24 febbraio.
La pandemia ha messo in luce il potenziale e le debolezze del sistema di acquisti della sanità italiana, troppo focalizzato al contenimento della spesa e agli approvvigionamenti a breve termine e incapace di pianificare sul lungo periodo. Errori che l’epidemia da coronavirus ha fatto emergere diverse volte in questi ultimi 12 mesi, dagli iniziali problemi di acquisti di mascherine al piano vaccinazione COVID-19, in cui il sistema centrale (ed europeo) non sta rispondendo in modo adeguato, causando iniziative autonome regionali che non avrebbero dovuto esserci. In tutto questo, sull’Italia stanno per piovere oltre 200 miliardi di euro del Next Generation EU, il più grande pacchetto di misure mai finanziato che rappresenta un’opportunità unica per stimolare investimenti nel nostro paese e per avere un SSN più resiliente in cui sperimentare nuovi modelli contrattuali che generino valore per il sistema. Anche attraverso la collaborazione pubblico-privato, una sinergia che nel nostro paese, se non fosse costantemente vista e tacciata come qualcosa che genera solo problemi e corruzione, potrebbe davvero fare la differenza.
Il procurement è parte integrante della programmazione sanitaria e non solo sistema di procedure
Il procurement dovrebbe essere visto come parte integrante della programmazione sanitaria e non solo come sistema di procedure. Ci sono provveditori in gamba, altri che fanno solo il loro compitino, ci sono responsabili delle centrali con visione manageriale e altri che si preoccupano solo di contrattare il prezzo più basso.
Da cosa occorre ripartire per avere quindi un sistema sanitario in grado di acquistare (e quindi crescere) in modo efficiente, ma che allo stesso tempo sia anche volano di innovazione nel proprio paese? A questa domanda cercherà di rispondere il prossimo convegno dell’Osservatorio MASAN che opera dal 2017 con l’obiettivo di stimolare la transizione del procurement sanitario da funzione operativa a funzione strategica, attraverso attività di ricerca e confronto tra i buyer nazionali, regionali e locali della sanità pubblica e gli operatori di mercato.
Professoressa Vecchi, qual è il messaggio che cercherete di lanciare al convegno?
Il tema principale è come riuscire a rendere possibile il passaggio verso un sistema sanitario efficiente, allocando meglio le risorse, concentrandosi su quello che genera valore per il sistema sanitario nazionale e per il paziente. Occorre passare da una logica di acquisti breve termine ad una di medio termine, focalizzando su quello che rende il sistema più efficiente, più capace di rispondere in termini rapidi ai bisogni. Oggi, in piena emergenza sanitaria, ci si sta rendendo conto che i soldi spesi in sanità non sono un costo, ma un investimento.
Il procurement sanitario, infatti, è sempre stato visto come funzione impiegatizia, senza nessuna visione strategica e sistemica. Un atteggiamento coerente con il programma di razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi della Pubblica amministrazione avviato nel 2000.
Ma il tempo della spending review è finito. La focalizzazione sulla ricerca di risparmi di breve termine e la difficile interazione tra programmazione, acquisti ed erogazione delle cure ha ostacolato la capacità del sistema di acquistare innovazione. Questo succede perché non si riescono a definire i bisogni, non si conosce bene il mercato e le programmazioni regionali sono spesso carenti. Esistono gap di governance, con centrali lontane e poco collaborative con le aziende locali, gap di competenze manageriali mentre prevalgono quelle giuridico-amministrative, a conferma del fatto che il procurement sanitario non è ancora considerato una funzione strategica.
Il procurement sanitario non è ancora considerato una funzione strategica
Ripartire dalle competenze quindi. Come fare?
C’è bisogno di manager e leader, non di burocrati che scrivano delibere e determine. Il problema non sta nel codice dei contratti, il problema è che nelle maglie intricate del sistema amministrativo stratificato bisogna sapersi muovere in modo efficace e rapido, pertanto bisogna saper scegliere le persone giuste, investendo soldi in un’attività di formazione pratica, che aiuti le persone a prendere decisioni di tipo manageriale.
Le centrali regionali spendono 10.000€ all’anno di formazione, cioè niente, pur avendo a disposizione le risorse. Non si tratta quindi di un problema di budget, ma di cultura. Bisogna rimettere al centro le competenze, la formazione dovrebbe essere l’elemento su cui si valuta il personale dirigente. Senza capacità manageriali ci si perde nei meandri burocratici.
Occorre alimentare quello che io chiamo managerial flow: mettere manager capaci nelle posizioni chiave, i quali, condividendo tra di loro obiettivi e competenze, arrivano più rapidamente a prendere delle decisioni, in perimetri a geometria variabile. Si ricrea quindi fiducia, trainando la macchina amministrativa in modo più semplice.
Occorre alimentare il managerial flow per trainare la macchina amministrativa in modo più semplice
I profili adatti potrebbero avere anche un background clinico, la cosa importante è che sappiano gestire delle progettualità e delle complessità. Perché da queste figure dipende il rapporto con il mercato, a cui occorre saper fare le richieste giuste. Possono essere forniture o soluzioni oppure anche prodotti che non esistono: in questo modo si stimola la produttività e la ricerca, si attiva un procurement for innovation.
La Commissione europea, per spendere i soldi che arriveranno dal Next Generation, chiede appropriatezza di spesa e approvvigionamento in tempi rapidi. Ci servono manager per raggiungere questi obbiettivi.
In che modo il procurement sanitario strategico potrebbe essere volano di innovazione e produttività?
Il procurement vale il 3% del PIL Nazionale. Se una parte di questi soldi fosse usata per stimolare innovazione nel mercato, potremmo attivare una leva di sviluppo economico estremamente interessante.
Il privato oggi è anche ben disposto verso logiche di partnership con il pubblico, ma i politici non riescono a cogliere l’occasione e i manager sanitari non vogliono rischiare perché lavorano in un contesto sottoposto a continui controlli, che premia il formalismo invece dell’innovazione. E oltre a questo ci vorrebbe una sorta di riconoscimento da parte delle istituzioni sul ruolo strategico del procurement, spogliandolo di quella etichetta di fonte di corruzione e di sprechi: il sistema degli approvvigionamenti non può essere visto solo in questo modo. Abbiamo l’occasione d’oro del Recovery Fund: usiamo una percentuale di queste risorse in contratti innovativi, per prodotti e processi. Occorre investire in formazione, in un nuovo parco tecnologico, in digitalizzazione e nel rafforzamento della medicina territoriale per gestire le cronicità.
In tutto questo ci vogliono figure che siano in grado di comprare meno e comprare meglio e rendere più produttivo quello che abbiamo acquistato.
Serve un cambio di paradigma per premiare l’innovazione e non il formalismo
Il procurement non può basarsi solo sul formalismo delle procedure perché allora anche il mercato risponderà con la stessa rigidità. La struttura sanitaria, organizzata su base regionale, deve interloquire con i territori, che in Italia sono diversificati. Le centrali di committenza regionali dovranno lavorare a stretto contratto con la programmazione sanitaria regionale e con le aziende sanitarie per iniziare a concepire nuove soluzioni, il che significa utilizzare molto di più le procedure negoziate, che consentono di stimolare la co-progettazione con il mercato in modo più veloce.
Il partenariato pubblico-privato è una soluzione?
Potrebbe esserlo, ma manca la volontà politica di realizzarlo. Il procurement tradizionale ha sempre acquistato beni non complessi perché non è strutturato e preparato per acquisire innovazione e complessità. Questo sistema ha in parte privato la capacità del pubblico di generare valore e ha anche privato il mercato di diventare un soggetto capace di proporre soluzioni interessanti per il servizio sanitario.
Il partenariato pubblico-privato è concepito come un articolo del codice dei contratti, ci sono stati tentativi di fare linee guida, approfondimenti, ma tutto in questo paese viene visto in modo rigido. Quando parlo di partenariato pubblico-privato credono mi riferisca al project-financing, che è solo una modalità di finanziamento.
Il fatto che in passato questo modello non abbia funzionato come si sperava non è ragione sufficiente per accantonarlo del tutto: occorre ripartire da dove ci si è fermati, capire dove si è fatto l’errore e provare lavorarci.
Noi proponiamo un modello diverso, bastato sulla condivisione di conoscenze, sulla collaborazione tra pubblico e privato, sulla co-creazione di valore pubblico condiviso.
Il partenariato pubblico-privato non è solo project-financing
Un modello che dovrebbe essere il modus operandi del sistema di approvvigionamenti, da adattare alle diverse situazioni.
Di questo e molto altro si parlerà al Convegno MASAN il prossimo 24 febbraio, a cui parteciperanno, tra gli altri, Stefano Lorusso, Capo Segreteria Tecnica del Ministro della Salute; Ivo Locatelli, Senior Expert, Team Leader Innovation Procurement e membro della DG GROW (Directorate General for Internal Market, Industry, Entrepreneurship and SMEs) della Commissione Europea; Valeria Vaccaro, Presidente Consip S.p.A., Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Generale del Personale e dei Servizi del Ministero dell’Economia e Fernanda Gellona, Direttore Generale Confindustria Dispositivi Medici.